Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28186 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. I, 31/10/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 31/10/2019), n.28186

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23285-2017 proposto da:

K.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI, 8,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE FACHILE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO VERRASTRO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 253/2017 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 04/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/06/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito l’Avvocato.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

K.M., cittadino originario della Costa d’Avorio, propone ricorso per cassazione, con due motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Campobasso, che, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto le domande di protezione proposte dal richiedente. La Corte territoriale, in particolare, ha escluso la sussistenza in Costa d’Avorio di una situazione di violenza indiscriminata derivante da una situazione generale di conflitto armato e che il ricorrente appartenesse ad una delle categorie esposte a violenza, torture o altre forme di trattamento inumano riconducibili ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 ex art. 360 c.p.c., n. 3) ed il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, avuto riguardo alla mancata valutazione della situazione esistente in Costa d’Avorio, sulla base dei report allegati, nonchè l’omessa attività istruttoria.

Ad avviso del ricorrente, un esame più accurato di quello svolto dalla Corte territoriale avrebbe evidenziato che la Costa d’Avorio è tuttora afflitto da una situazione complessiva di instabilità e pericolosità, con concreto rischio di aggravamento derivante dalla cessazione della missione di (OMISSIS) dell’ONU come rilevato da HRW – Human Rights Watch e desumibile dalle stesse indicazioni divulgate dal Ministero degli Affari esteri, secondo cui in quel paese la sicurezza sarebbe precaria a causa della presenza di bande armate e forze irregolari.

Il motivo è inammissibile in quanto contesta in modo generico l’accertamento della Corte territoriale secondo cui, pur sussistendo una situazione generale di insicurezza e di precarietà in alcune aree della Costa d’Avorio, non è ravvisabile una situazione di violenza indiscriminata inerente ad una situazione generale di conflitto armato interno o internazionale, quale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Si osserva al riguardo che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza della Corte di Giustizia del 30.1.2014 (causa C285/12 – Diakitè) dev’essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ovvero che il grado di violenza indiscriminata abbia raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel paese o regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 13858 del 31.5.2018).

Nel caso di specie, non risultano indicati dal ricorrente elementi idonei ad evidenziare una minaccia individuale alla vita o alla persona, nè una situazione di violenza cosi generalizzata nel paese di provenienza si che il solo rientro integri in sè pericolo di vita o all’integrità personale.

Il secondo mezzo denuncia violazione di legge ed omessa motivazione e con esso si censura la statuizione della sentenza impugnata secondo cui, non essendo stato proposto appello incidentale sul mancato riconoscimento dello status di rifugiato e sulla richiesta di protezione umanitaria, tali profili non potevano essere presi in considerazione nel giudizio di appello.

Il motivo è infondato, pur dovendo correggersi la motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo è peraltro conforme a diritto.

Si osserva infatti che nel caso di specie il Tribunale aveva rigettato la domanda relativa allo status si rifugiato ed accolto la domanda di protezione sussidiaria.

A seguito di tali statuizioni, di parziale accoglimento del ricorso, oggetto di impugnazione da parte del Ministero dell’Interno sul capo che aveva accolto la domanda di protezione sussidiaria, era rimasta assorbita la domanda di protezione umanitaria (avente carattere residuale).

Ora, in assenza di appello incidentale del richiedente, si è senz’altro formato il “giudicato interno” sulla domanda avente ad oggetto lo status di rifugiato espressamente respinta.

Non era invece necessario proporre appello incidentale in relazione alla domanda di protezione umanitaria (in quanto assorbita, in mancanza di pronuncia espressa del primo giudice, a seguito dell’accoglimento della domanda di protezione sussidiaria), domanda che andava però riproposta nelle forme dell’art. 346 c.p.c..

In assenza di riproposizione ex art. 346 c.p.c. di detta domanda, deve ritenersi che sia rimasto precluso, in sede di impugnazione, l’esame della stessa, in conformità a quanto recentemente statuito dalle Sez. U. di questa Corte, secondo cui, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite (Cass. Sez. U. 7940/2019).

Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

Considerato che il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del giudizio, in favore del Ministero dell’interno, che liquida in complessivi 2.100,00 Euro per compensi, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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