Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28184 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. I, 31/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 31/10/2019), n.28184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorso n. 21706/2014 proposto da:

Q.G.L., Q.D. elettivamente domiciliati in

Roma, in Via Cosseria, 2 presso il Dott. Alfredo Placidi e

rappresentati e difesi dall’avvocato Benedetto Graziosi per procure

speciali a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

RFI RETE FERROVIARIA ITALIANA S.p.A., in persona del legale

rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, Via Panama,

58 presso lo studio degli avvocati Luigi Medugno e Claudia Molino

che la rappresentano e difendono per procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

Nonchè

CONSORZIO ALTA VELOCITA’ PER L’EMILIA E LA TOSCANA – CAVET, in

persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in

Roma Via dei Gracchi, 39 presso lo studio dell’avvocato Adriano

Giuffrè e rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Carullo

giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

e

F.I.A.T. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t.,

W.E., Q.A.M., Q.F.;

– intimati –

e

sul ricorso n. 23379/2014 proposto da:

W.E., elettivamente domiciliata in Roma, Via Latina, 27 presso

lo studio dell’avvocato Luigi Arcarese che la rappresenta e difende

per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

RFI RETE FERROVIARIA ITALIANA S.p.A., in persona del legale

rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, Via Panama,

58 presso lo studio degli avvocati Luigi Medugno e Claudia Molino

che la rappresentano e difendono per procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

Nonchè

CONSORZIO ALTA VELOCITA’ PER L’EMILIA E LA TOSCANA – CAVET, in

persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in

Roma Via dei Gracchi, 39 presso lo studio dell’avvocato Adriano

Giuffrè e rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Carullo

giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

E

F.I.A.T. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t.,

Q.A.M., Q.F.

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna del 25/11/2013

n. 2098;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/05/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Bologna con la sentenza in epigrafe indicata ha respinto la domanda di accertamento della giusta indennità proposta dalle sorelle N. ed W.E. proprietarie di un compendio immobiliare che, costituito da due ville con parco e tenuta agricola, servito da una strada di collegamento alla (OMISSIS), era stato interessato nella seconda parte degli anni ‘90 dello scorso secolo dai lavori dell’Alta Velocità Ferroviaria, realizzati dal Consorzio CAVET, in nome e per conto di TAV S.p.A., poi incorporata da RFI S.p.A., concessionaria dell’opera pubblica.

Nel corso dei lavori CAVET aveva provveduto ad occupare in via di urgenza, e quindi ad asservire, la strada di collegamento della proprietà delle istanti, la via “(OMISSIS)”, con la via (OMISSIS), provvedendo altresì ad espropriarne in favore di TAV il tratto finale ed alcune aree limitrofe.

La causa veniva estesa a FIAT S.p.A.

Nel corso del giudizio si costituiva la società RFI-Rete Ferroviaria Italiana S.p.A., in qualità di incorporante e successore di TAV S.p.A.

Decedeva l’attrice W.N. e si costituivano in prosecuzione gli eredi, Q.G., Q.D., Q.F. ed Q.A.M..

La Corte di appello rigettava la domanda e stabiliva che la legittimazione passiva all’azione spettava a TAV-RFI e non a CAVET e FIAT e, nel merito, che le indennità originariamente offerte da CAVET/TAV dovevano ritenersi irretrattabili sebbene non vi fosse stata una stima definitiva della Commissione provinciale ex L. n. 865 del 1971.

Le germane W. avevano infatti proposto l’azione indennitaria oltre il termine di decadenza previsto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 51 e avevano comunque “incassato” detta indennità con relativa “accettazione”.

2. Avverso l’indicata sentenza hanno proposto due distinti ricorsi in cassazione: Q.G.L., ai quali gli altri eredi avevano ceduto i propri diritti sulla indennità, insieme a Q.D., con sette motivi ed W.E. con tre motivi.

Resistono ad entrambi i ricorsi RFI e CAVET.

Le parti hanno provveduto a depositare memorie illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I ricorrenti Q.G.L. e Q.D. con il ricorso n. 21706/2014 articolano censure ai due capi della decisione di rigetto impugnata, sinteticamente e rispettivamente riportati come relativi:

a) il primo capo, all’esistenza di una “determinazione definitiva” ex L. n. 2359 del 1865 della indennità di esproprio;

b) il secondo capo, all’esistenza di “quietanze di incasso” delle indennità.

A) Quanto al primo capo vengono dedotti tre motivi di ricorso, in via gradata tra loro proposti.

1.1. Con il primo motivo si denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 115 del 1974, art. 4 conv. in L. n. 247 del 1974, in combinato disposto con la L. n. 865 del 1971, artt. 11-20.

La Corte felsinea aveva riconosciuto che nel procedimento non era mai stata svolta la stima definitiva della Commissione provinciale di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15,16 e 20 ma aveva ritenuto che tale anomalia non avesse impedito al procedimento di pervenire ad una “definitiva determinazione dell’indennità” attraverso l’applicazione, in concreto operata, del procedimento previsto dalla L. n. 2359 del 1865.

Segnatamente, le attrici sarebbero decadute dall’azione per non averla proposta nei termini di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 51 “secondo il modello procedimentale concretamente seguito dalla PA”.

La conclusione dei giudici di merito sarebbe stata erronea perchè anche se vi fosse stata una definitiva determinazione dell’indennità secondo le procedure di cui alla L. del 1865 cit. essa non sarebbe mai stata idonea a far decorrere il termine di decadenza per l’opposizione dinanzi alla Corte di appello.

In seguito all’entrata in vigore del D.L. n. 115 del 1974, art. 4 conv. in L. n. 247 del 1974, la determinazione dell’indennità di esproprio di tutte le procedure ablatorie, si deduce in ricorso, avviene unicamente ai sensi delle norme del titolo II della L. n. 865 del 1971 (artt. 1020) che hanno sostituito le diverse norme contenute nella L. n. 2359 del 1865 ed in ogni altra legge speciale.

La giurisprudenza di legittimità avrebbe infatti riconosciuto che la generalizzazione del sistema indennitario di cui alla L. n. 865 del 1971 avrebbe riguardato non solo i criteri sostanziali di determinazione dell’indennizzo, ma anche quella procedimentale di determinazione indennitaria prevista dagli artt. 10-16 e la disciplina processuale per l’opposizione alla stima.

La sentenza sarebbe stata quindi errata per avere ritenuto che la determinazione definitiva dell’indennità intervenuta, per una anomalia procedurale, in applicazione della L. n. 2359 del 1865 sarebbe stata comunque giuridicamente inidonea a far decorrere il termine per l’opposizione alla stima e tanto là dove, invece, detto termine decorre unicamente in presenza di stima definitiva della Commissione provinciale, secondo il modello tipico della L. n. 865 del 1971, reso vincolante dal D.L. n. 115 del 1974.

1.2. Con il secondo motivo, in via subordinata dedotto, si fa valere la violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 30-51.

Il modello procedurale “anomalo” adottato dall’espropriante non corrisponderebbe, in ogni caso, alla procedura di “definitiva determinazione dell’indennità” prevista dalla L. n. 2359 del 1865 e non sarebbe idoneo a far decorrere il termine decadenziale per l’opposizione. Di tale procedimento mancherebbe la parte relativa alla determinazione dell’indennizzo e quindi la fase di redazione e deposito della “stima peritale”, diretta a fissare definitivamente l’indennizzo in assenza di opposizione giudiziale entro i trenta giorni di cui all’art. 51.

CAVET avrebbe richiesto soltanto il deposito dell’indennizzo provvisorio, non accettato, per poi procedere direttamente all’emissione del decreto di esproprio saltando in tal modo la fase relativa alla stima definitiva peritale prevista dalla L. n. 2359 del 1865, artt. 31-38 all’esito del cui deposito avrebbe dovuto essere notificato il decreto di esproprio ex art. 51, comma 1 Legge cit. e l’espropriato avrebbe avuto il termine di trenta giorni per l’opposizione contro la stima fatta dai periti.

Il modello osservato nella specie sarebbe stato solo parzialmente quello descritto dalla L. n. 2359 cit. mancando della fase della stima peritale definitiva e, in tal caso, l’espropriato avrebbe avuto infatti diritto di proporre l’azione di accertamento della giusta indennità, come introdotta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 67/1990, nel termine di dieci anni dalla data del decreto di esproprio.

1.3. In ulteriore subordine, con il terzo motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il,giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Per poter applicare la procedura indennitaria del 1865 la Corte di appello di Bologna avrebbe dovuto accertare l’intervenuta esecuzione del “segmento” della stima definitiva peritale previsto dagli artt. 31-38 e 51 L. cit. ai fini specifici della proposizione della opposizione giudiziale. Si sarebbe trattato di un momento essenziale non surrogato dalla notifica del decreto di esproprio, titolo che portava una indennità diversa da quella determinata con la stima peritale.

B) Sul secondo capo della decisione, relativo all’esistenza di quietanze di incasso delle indennità, i ricorrenti articolano i successivi motivi che vanno dal quarto al settimo.

1.4. Nel quarto motivo si deduce la violazione del canone di interpretazione letterale e sistematica dei contratti di cui agli artt. 1362,1363 c.c., con riguardo alle “quietanze” sottoscritte dalle sorelle W.. I giudici di appello avevano ritenuto che le germane avessero incassato e quindi accettato le indennità provvisorie sull’evidenza che tanto sarebbe risultato “da debita quietanza” firmata dalle prime “senza riserve”.

La Corte di merito avrebbe riscontrato l’esistenza agli atti di “quietanze”, ritenute “di incasso”, in forza del solo loro nomen iuris senza dare conto dell’oggetto delle dichiarazioni ivi riportate che, come riprodotte all’interno del ricorso, avrebbe invece rivelato delle prime la natura di mere ricevute di consegna delle polizze di deposito dell’indennità (L. n. 865 del 1971, art. 12 e L. n. 2359 del 1865, art. 30) e non avrebbe avuto alcun effetto di accettazione dell’indennizzo.

Dalle polizze risultava piuttosto che il Tribunale aveva constatato la non accettazione degli indennizzi provvisori e che ne aveva ordinato il deposito. L’intervenuto deposito degli indennizzi presso la Cassa DD.PP. sosteneva il loro mancato incasso da parte delle espropriate W., risultando i due adempimenti alternativi nel sistema delle L. n. 2359 del 1865 e L. n. 865 del 1971.

1.6. Con il sesto e settimo motivo si fa valere l’omessa motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ed all’art. 132 c.p.c., n. 4.

La motivazione sarebbe stata apparente perchè l’asserito “incasso” dell’indennità non avrebbe potuto motivarsi con il mero richiamo a documenti denominati “quietanze” e, ancora, contraddittoria là dove si era ritenuto che l’incasso sarebbe avvenuto dopo che il Tribunale di Bologna con decreto del 23.5.2001 aveva disposto il deposito degli indennizzi, trattandosi di adempimenti alternativi e incompatibili.

2. Il ricorso n. 23379/2014 di W.E..

2.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’omessa valutazione dell’insussistenza della determinazione definitiva delle indennità secondo la Legge del 1865, dedotta come fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riproponendo le censure introdotte nel parallelo giudizio dagli eredi della germana N., G.L. e Q.D..

2.2. Con il secondo motivo si fa valere la violazione della L. 1865 per la ritenuta definitività delle indennità di esproprio.

La sentenza impugnata avrebbe erroneamente apprezzato come perfezionato il procedimento di determinazione definitiva delle indennità in forza del “raggiungimento dello scopo”.

La domanda di accertamento della giusta indennità sarebbe stata quindi rigettata perchè proposta oltre il termine della “definitiva determinazione delle indennità” anche se non intervenuta attraverso l’opera della Commissione Provinciale Espropri di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16 generalizzato nella sua applicazione dal D.L. n. 115 del 1975, art. 4 conv. in L. n. 247 del 1974.

In assenza di determinazione definitiva, l’espropriato avrebbe mantenuto la facoltà di proporre l’azione per la determinazione della giusta indennità nel termine decennale di prescrizione.

La determinazione definitiva mancava agli atti e non era contenuta, di contro a quanto ritenuto dalla Corte di appello, nel decreto del Tribunale di Bologna e nei decreti di esproprio.

2.3. Con il terzo motivo la ricorrente fa valere l’omessa valutazione della insussistenza di “un incasso senza riserve” dell’indennità di esproprio quale fatto decisivo del giudizio nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 reiterando le censure proposte dagli eredi Q..

3. In via preliminare vanno riuniti i ricorsi separatamente proposti (nn. 21706/2014 e 23379/2014) avendo gli stessi ad oggetto la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

4. Tanto premesso, i motivi primo e quarto proposti con il ricorso n. 21706/2014 sono fondati e vanno accolti, con conseguente annullamento con rinvio, nei termini di seguito precisati, dell’impugnata sentenza; gli ulteriori restano assorbiti nel carattere gradato dagli stessi rivestito secondo prospettazione difensiva.

Va poi accolto, perchè sorretto da medesima ratio, il secondo motivo del ricorso n. 23379/2014, restando nel resto assorbite le ulteriori censure con il messo proposte.

4.1. Nella definita cornice, può darsi congiunta trattazione al primo motivo del ricorso n. 21706/2014 ed al secondo motivo del ricorso n. 23379/2014.

Viene negli indicati termini in valutazione la questione della inammissibilità, per tardività, ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 51 della opposizione alla stima della indennità definitiva di esproprio che sia stata determinata, per un’anomalia del procedimento in concreto osservato dall’amministrazione, ai sensi della L. n. 2359 del 1865 e non, invece, in ragione delle diverse previsioni, ratione temporis applicabili giusta L. n. 247 del 1974, di cui alla L. n. 865 del 1971 (artt. 10-20).

La giurisprudenza di legittimità si è espressa riconoscendo a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o d’interventi dello Stato e degli altri enti pubblici ancorchè attuate a norma della L. 25 giugno 1865, n. 2359, là dove il decreto di espropriazione sia stato emanato dopo l’entrata in vigore del comma premesso al D.L. 2 maggio 1974, n. 115, art. 4 dalla Legge di conversione 27 giugno 1974, n. 247, l’assoggettabilità dell’opposizione alla stima della relativa indennità alla L. n. 865 del 1971, art. 19, dovendo ritenersi il richiamo a quest’ultima operato comprensivo delle norme attinenti alla disciplina procedimentale di determinazione dell’indennità prevista dalla L. n. 865 cit., artt. 10-16 (Cass. SU n. 253/1987; Cass. n. 1397/1987; Cass. n. 3549/1985) ed ai rimedi giurisdizionali esperibili ed alla loro disciplina (Cass. 13/06/1985 n. 3547; Id., 27/08/1999 n. 8989; Cass. 30/01/2009, n. 2435, massimata su altro, in motivazione p. 10).

Quanto al procedimento di determinazione della indennità, si è rilevato come la normativa del 1971, innovando rispetto alla previgente disciplina di cui alla L. n. 2359 del 1865 – che prevedeva l’emanazione del decreto di esproprio dopo la determinazione dell’indennità definitiva e non prima -, ha individuato il dies a quo per la decorrenza del termine di decadenza per fare opposizione (L. 865 cit., art. 19) con riferimento ad un atto diverso dalla notificazione del decreto di esproprio.

L’adozione del decreto di esproprio, secondo la Legge del 1971, è invero condizione per l’esperibilità della diversa azione giudiziale di quantificazione dell’indennità (Cass. SU 20/06/2000, n. 453; Cass. 25/05/2006, n. 12408; Cass. 15/03/2007 n. 6026; Cass. 17/06/2009 n. 14080; Cass. 31/07/2018 n. 20308) ed integra come tale il dies a quo del termine di prescrizione di tale azione in quanto il diritto all’indennità sorge in conseguenza del provvedimento ablatorio (Cass. 5/11/2004, n. 21622; Cass. 26/03/2004, n. 6076).

Ciò posto, la notificazione del decreto di esproprio non costituisce più, ed invece, in ragione del testuale ed esplicito tenore della L. n. 865 cit., il momento iniziale del decorso del termine di decadenza, e tanto anche ove nel decreto possa essere stata indicata l’indennità definitiva.

In base alla L. n. 865 cit. (art. 19) perchè si abbia il decorso del termine di decadenza per proporre opposizione non è sufficiente la notifica del decreto di esproprio, essendo invece necessari degli atti ulteriori “in conformità di una sequenza procedimentale che non è rimessa all’arbitrio dell’espropriante, ma costituisce suo onere rispettare – costituendo garanzia per gli espropriati – la quale prevede, per l’inizio del decorso del termine decadenziale, non solo la notifica da parte sua agli espropriati della misura dell’indennità definitiva, ma anche il deposito della relazione di stima presso la segreteria del Comune, contenente i criteri utilizzati nella stima, e la pubblicazione sul F.A.L. dell’avvenuto deposito di tale relazione, assunta dalla legge quale dies a quo per il decorso del termine di decadenza” (Cass. n. 2435/2009 cit., in motivazione, p. 19).

Per gli indicati passaggi non può quindi ritenersi che vi sia equipollenza, negli effetti, dell’osservanza dei modelli procedimentali di determinazione della indennità definiti dalle L. n. 2359 del 1865 e L. n. 865 del 1971 e che là dove si adotti, per una sofferta anomalia della procedura, quella prevista dalla L. n. 2359 cit. non potrà maturare ai danni dell’espropriato il termine di decadenza dall’opposizione alla stima di cui all’art. 51 legge ult. cit., rimedio da introdursi, dinanzi al Tribunale competente, entro trenta giorni dalla notifica del decreto di esproprio.

La stima definitiva è un momento essenziale di caratterizzazione della procedura di determinazione della indennità definitiva e ove sia mancante essa dà contenuto alla diversa azione di accertamento della giusta indennità introdotta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 67/1990, rimedio di carattere generale diretto a supplire alle indicate deviazioni procedimentali.

Nella specie si è verificato che, in concreto, a fronte di decreti di esproprio intervenuti in data 6.3.2003 e 19.4.2002, e come tali assoggettabili alla L. n. 865 del 1971, il modello procedimentale adottato è stato quello della L. n. 2359 del 1865.

Come riportato nell’impugnata sentenza, infatti, alla fase di determinazione della indennità, non definitiva e non operata dalla competente Commissione provinciale e non segnalata dalle debite pubblicazioni, è seguito il provvedimento del Tribunale di Bologna, comprendente le indennità di esproprio e di occupazione, pronunciato ai sensi della L. n. 2359 del 1865, artt. 30 e 48 i cui importi sono stati riportati nei decreti di esproprio solo successivamente notificati agli espropriati per consentire l’opposizione ex art. 51 L. ut. cit.

L’anomalia procedurale segnata dall’inosservanza in concreto delle scansioni di cui alla procedura della L. n. 865 del 1971, invece applicabile, fa sì che non si abbia il decorso del termine di opposizione di cui all’art. 51 L. cit. e con esso che resti non integrata l’inammissibilità dell’opposizione invece ritenuta nell’impugnata sentenza.

4.2. E’ fondato anche il quarto motivo di ricorso.

L’interpretazione dei contratti, e degli atti negoziali in genere, è riservata all’esclusiva competenza del giudice di merito, essendo il sindacato di legittimità limitato alla sola verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., nonchè al vizio di motivazione neì termini di omesso esame di un fatto decisivo (Cass. 04/07/2017 n. 16409).

Pertanto, qualora venga dedotta la violazione dei citati canoni interpretativi, deve essere precisato in qual modo il ragionamento del giudice se ne sia discostato, senza che sia sufficiente all’uopo il generico richiamo ai criteri astrattamente intesi e neppure una critica della ricostruzione della volontà dei contraenti non riferibile a tale violazione e consistente nella prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza impugnata (Cass. 27/01/2006 n. 1754; Cass. 10/05/2018 n. 11254).

Le norme in tema di interpretazione dei contratti di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., in ragione del rinvio ad esse operato dall’art. 1324 c.c., trovano applicazione anche rispetto ai negozi unilaterali, nei limiti della compatibilità con la particolare natura e struttura di tali negozi, sicchè, mentre non può aversi riguardo alla comune intenzione delle parti ma solo all’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, rispetto ai negozi unilaterali vale altresì il criterio dell’interpretazione complessiva dell’atto (vd. Cass. 06/05/2015 n. 9127).

Fermi gli indicati principi di diritto, la Corte territoriale ha mancato di farne applicazione nella interpretazione del dato letterale sottoposto alla sua valutazione, incorrendo altresì in una errata valutazione delle norme e degli istituti giuridici la cui applicazione era univocamente evocata dalla scrutinata dichiarazione.

I giudici di merito hanno infatti ritenuto che le “ricevute” sottoscritte dalle germane W. avessero natura di “quietanza” in ragione dell’utilizzo nel corpo della dichiarazione del relativo termine.

Dai contenuti delle dichiarazioni degli indicati documenti, riprodotti all’interno del ricorso per cassazione in piena applicazione del principio dell’autosufficienza, si ha invece che le germane N. ed W.E. ricevevano dal Consorzio CAVET, che realizzava i lavori dell’Alta Velocità per conto di TAV S.p.A., “Quietanza di deposito dell’indennità di esproprio…depositata…presso la Tesoreria Provinciale dello Stato Sezione di Bologna” per le particelle interessate, secondo i rispettivi importi.

Il rilascio della quietanza interveniva quindi rispetto al deposito presso la Cassa depositi e prestiti, rivelando in siffatto oggettivo contesto la natura differente, rispetto a quella ritenuta nell’impugnata sentenza, di mero accantonamento delle somme non accettate come indennità provvisoria di esproprio da parte dei proprietari espropriati, incombente alternativo al pagamento diretto delle somme.

La sottoscrizione delle ricevute di consegna delle polizze di deposito da parte dei proprietari espropriandi vale a documentare l’intervenuta comunicazione ai proprietari dell’accantonamento delle indennità che non siano state a tal fine accettate dal privato (L. n. 2359 del 1865, artt. 30,48 e 52; L. n. 865 del 1971, art. 12, comma 3, là dove è espressamente previsto che “Decorso il termine di cui al precedente comma, il presidente della giunta regionale ordina all’espropriante, in favore degli espropriandi, il pagamento delle indennità che siano state accettate, ed il deposito delle altre indennità (n. d. r.) presso la Cassa depositi e prestiti”).

La valorizzazione del mero termine “quietanza” utilizzato nel corpo degli scrutinati documenti ha lasciato non osservati i criteri di interpretazione del dato negoziale di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c.

La Corte di merito ha omesso l’integrale lettura della dichiarazione non provvedendo a ricostruirne il significato suo proprio fatto chiaro dall’evidenza, compiutamente riportata nel documento, che si trattava di una “quietanza di deposito dell’indennità di esproprio” presso la Tesoreria provinciale dello Stato, da definirsi, come indicato, all’interno di un sistema alternativo al pagamento diretto della indennità e finalizzato a dar corso alla procedura ablatoria, con trasferimento di ogni contestazione sulla indennità in deposito.

La violazione dei canoni di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c. nella interpretazione della dichiarazione unilaterale di quietanza, esclude poi che quest’ultima possa valere, in quanto accettazione della indennità provvisoria di esproprio, anche, quale rinuncia del privato espropriando a far valere ogni altra pretesa determinativa della indennità a mezzo di un’azione di accertamento della giusta indennità, in tal modo segnando l’inammissibilità, per tardività, di ogni successiva iniziativa assunta dinanzi alla Corte di appello, giudice funzionalmente competente all’accertamento.

5. La sentenza impugnata, pertanto, in accoglimento degli indicati motivi, assorbiti gli altri, va cassata con rinvio alla Corte di appello di Bologna che, in diversa composizione, provvederà a rivalutare la fattispecie in applicazione dei principi formulati ed a liquidare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Riuniti i giudizi, cassa la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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