Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28184 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. I, 10/12/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 10/12/2020), n.28184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3489/2016 proposto da:

R.L., ved. F., F.F., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Donatello n. 23, presso lo studio

dell’avvocato Villa Piergiorgio, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Pizzirusso Gerardo, giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Banca Popolare di Ancona, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Giangiacomo Porro n.

8, presso lo studio dell’avvocato Pizzoli Giancarlo, rappresentata e

difesa dall’avvocato Monticelli Paoloandrea, giusta procura in calce

al controricorso e ricorso incidentale condizionato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.A., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1120/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 02/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/07/2020 dal Cons. Dott. DI MARZIO MAURO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – R.L. e F.F. ricorrono per un mezzo, nei confronti della Banca Popolare di Ancona S.p.A., nonchè di Ri.Pa. e degli altri intimati indicati in epigrafe, contro la sentenza del 2 novembre 2015 con cui la Corte d’appello di Ancona, provvedendo in accoglimento dell’appello della banca ed in riforma della sentenza ivi impugnata ha, per quanto rileva, rigettato la domanda delle R. – F., intervenute in un giudizio introdotto dal Ri. ed altri, di nullità delle operazioni di acquisto di prodotti finanziari.

2. – La Banca Popolare di Ancona S.p.A. resiste con controricorso e

spiega ricorso incidentale condizionato.

Gli altri intimati non svolgono difese.

Ubi Banca S.p.a., quale incorporante la Banca Popolare di Ancona

S.p.A. ha depositato tardivamente memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’unico mezzo denuncia omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sulla domanda di accertamento dell’inadempimento della banca e di risarcimento dei danni.

Per quanto riesce a comprendersi, le ricorrenti sostengono di essere intervenute in un giudizio già introdotto dal Ri. ed altri, avente ab origine ad oggetto la dichiarazione di nullità di operazioni di acquisto di prodotti finanziari, spiegando già con l’atto di intervento sia la domanda di nullità, sia quella di risoluzione contrattuale per inadempimento, da parte dell’intermediario finanziario, degli obblighi informativi su di esso gravanti, mentre gli originari attori avevano proposto quest’ultima domanda soltanto al momento della precisazione delle conclusioni in primo grado; in tale frangente il primo giudice aveva dichiarato la nullità di dette operazioni, disponendo – così si esprimono le ricorrenti a pagina 5 del ricorso -“il non luogo a provvedere sulla domanda relativa agli acquisti di bond (OMISSIS) e (OMISSIS) (doc. ti 1/2) ritenendola svolta in via gradata”; dopo di che il giudice di appello, una volta respinta la domanda di nullità, aveva dichiarato inammissibile perchè tardiva quella fondata sull’inadempimento degli obblighi informativi, in ciò errando, dal momento che soltanto gli originari attori l’avevano proposta per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni, mentre esse intervenute avevano introdotto la domanda già in occasione dell’intervento.

2. – Il ricorso è inammissibile.

E’ difatti inammissibile l’unico mezzo spiegato.

2.1. – L’art. 366 c.p.c., n. 6, impone la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti (oltre che dei contratti e accordi collettivi) sui quali il ricorso si fonda.

La norma “costituisce il precipitato normativo del c.d. principio di autosufficienza” (Cass. 25 marzo 2013, n. 7455 e la giurisprudenza ivi richiamata; da ult. tra le tante Cass. 30 giugno 2020, n. 12997; Cass. 12 giugno 2020, n. 11370), avendo la novella che ha introdotto la disposizione (il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 5) offerto una formulazione definita e puntuale del principio medesimo, già da tempo (il vocabolo compare nella giurisprudenza di questa Corte nel 1986, ma il concetto è ben più risalente) affermatosi, principalmente, quale corollario del requisito di specificità dei motivi di ricorso per cassazione (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8077).

2.2. – Il principio di autosufficienza, compendiato nella previsione della “specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti”, costituisce corollario del requisito di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, quale mezzo di impugnazione a critica limitata, perchè essi, i motivi, siccome richiesti a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 4, consistono in questioni mediante le quali il ricorrente delimita l’oggetto del giudizio di fronte alla Cassazione, motivi che devono perciò necessariamente tradursi in una mirata critica alla decisione impugnata, riconducibile alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1 (p. es. tra le tante Cass. 24 settembre 2018, n. 22478).

Poichè il ricorrente ha l’onere di individuazione del motivo, che deve essere riconducibile in maniera immediata ed inequivocabile, oltre che corretta, ad una delle cinque ragioni di impugnazione previste, pur senza l’adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica (Cass., Sez. Un., 24 luglio 2013, n. 17931), un motivo che non indichi specificamente gli atti e i documenti su cui si fonda – e che così solleciti la Corte a ricercare quegli atti o documenti tra gli altri di cui si compone il fascicolo processuale – è perciò stesso un motivo aspecifico.

Spetta cioè in esclusiva al ricorrente dire perchè la decisione impugnata è errata, nel quadro di applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, a partire dall’analisi del pregresso svolgimento del giudizio, ed avuto perciò riguardo agli atti processuali e ai documenti in esso formatisi, fissando in tal modo il thema decidendum, mentre è compito della Corte di Cassazione verificare se il vizio denunciato – nei termini in cui è denunciato – sia o no sussistente, ponendo a fondamento della sua decisione le risultanze emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente.

2.3. – In ciò non solo è destinato a realizzarsi il compito istituzionale della Corte di cassazione di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge nonchè l’unità del diritto oggettivo nazionale, ma è anche garantito “il pieno contraddittorio tra le parti… sulla base di atti e documenti specificamente indicati, con la conseguente esclusione di ogni discrezionalità del giudice di legittimità nella formazione del percorso logico posto a fondamento della sua decisione” (Cass., Sez. Un., 31 ottobre 2007, n. 23019).

E’ difatti palese che, se potesse ammettersi la formulazione di censure fondate su atti o documenti non specificamente indicati, finirebbe per attribuirsi alla Corte il potere di riempire le censure di contenuto, il che comporterebbe non solo un elevato rischio di soggettivismo (ancora Cass. 25 marzo 2013, n. 7455), ma assegnerebbe al giudice di legittimità – come è stato detto pur ad altro riguardo – “il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente al fine di decidere successivamente su di esse”, lettura del dato normativo, questa, inaccettabile, “perchè sovverte i ruoli dei diversi soggetti del processo, e rende il contraddittorio aperto a conclusioni imprevedibili, gravando l’altra parte del compito di farsi interprete congetturale delle ragioni che il giudice potrebbe discrezionalmente enucleare dal conglomerato dell’esposizione avversaria” (Cass. 23 settembre 2011, n. 19443).

2.4. – Indicare specificamente un atto o documento significa anzitutto dire qual è il suo contenuto, senza di che il motivo non può che rimanere confinato nell’oscurità.

In ciò il principio di autosufficienza costituisce presidio, accanto e prima ancora che della specificità dei motivi, della stessa intelligibilità del ricorso per cassazione: ed è, quella dell’intelligibilità, una ulteriore collegata radice del principio di autosufficienza, che, come si accennava, avrebbe determinato l’inammissibilità del motivo anche prima dell’introduzione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, giacchè “la sanzione di inammissibilità trova la sua giustificazione nella necessaria autonomia del ricorso che deve mettere in grado il giudicante di rendersi conto dell’oggetto della controversia, in relazione alle esposte censure, senza indagini determinate da indicazioni per relationem, e con la certezza dell’esatto intendimento del ricorrente e dei punti della decisione oggetto di censura” (Cass. 16 luglio 1964, n. 1939).

Il ricorso per cassazione deve dunque contenere in sè tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in condizione di avere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonchè di cogliere il significato e la portata delle censure contrapposte alle argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass. 28 dicembre 2017, n. 31082, in cui l’ovvia affermazione che, nell’ipotesi di fattispecie interessata da ripetuti interventi legislativi, è necessario indicare gli elementi indispensabili per individuare la normativa applicabile ratione temporis; Cass. 3 febbraio 2015, n. 1926; Cass. 4 aprile 2006, n. 7825; da ult. tra le tante Cass. 22 giugno 2020, n. 12191; Cass. 28 maggio 2020, n. 10143).

In breve, per quest’aspetto, posto che il giudizio di legittimità è retto dal principio di autonomia del ricorso per cassazione (p. es. Cass., Sez. Un., 22 maggio 2014, n. 11308, con riguardo all’osservanza dell’altro requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa), principio che preclude alla Corte il diretto accesso al fascicolo processuale, è del tutto ovvio che il ricorrente per cassazione debba riferire ad essa quale sia, per la parte rilevante, il contenuto dell’atto o del documento, riassumendolo o trascrivendolo a seconda di quanto di volta in volta occorra, per la ragione, intuitiva, che, altrimenti, la Corte non ha modo di intendere di cosa il ricorrente stia discorrendo.

2.5. – Indicare specificamente un atto o documento significa ancora, come le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto ripetutamente modo di chiarire, che il rispetto delle citata disposizione, l’art. 366 c.p.c., n. 6, da misurarsi con riguardo alla singola censura (Cass., Sez. Un., 5 luglio 2013, n. 16887), esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere, ulteriormente, anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass., Sez. Un., 2 dicembre 2008, n. 28547). Come è stato ribadito, l’osservanza del requisito della specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, requisito previsto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, richiede “che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur indicato nel ricorso, risulta prodotto, poichè indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile” (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; di recente, tra le tantissime, sulla stessa linea, Cass. n. 9341 del 2020; Cass. n. 2520, Cass. n. 2020 e n. 710 del 2020; Cass. n. 28712 del 2019; Cass. n. 17337 del 2019).

2.6. – Il dire dove l’atto o il documento acquisito al processo è rintracciabile si traduce in un adempimento intuitivo e di agevolissima attuazione (adempimento, perciò, senza dubbio armonico con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, sancito dalla Convenzione EDU: Cass. 3 gennaio 2020, n. 27; Cass. 25 marzo 2015, n. 7455), ossia nella “localizzazione” dell’atto o del documento, i.e. nell’indicazione del fascicolo (di parte o d’ufficio, senza che occorra soffermarsi sulle differenze intercorrenti tra le due ipotesi) in cui essi, atti o documenti, sono collocati (espressa applicazione di un onere, testualmente, di “localizzazione”, si trova effettuata in numerosissime decisioni, v. tra le ultime Cass. n. 14151 del 2020; Cass. n. 14011 del 2020; Cass. n. 14010 del 2020; Cass. n. 13733 del 2020; Cass. n. 13612 del 2020; Cass. n. 13476 del 2020; Cass. n. 12997 del 2020; Cass. n. 12990 del 2020).

2.7. – Va per completezza notato che la specifica indicazione, intesa quale “localizzazione” degli atti e/o dei documenti, lungi dal presentarsi quale accanimento formalistico, manifesta un’attitudine di segno esattamente opposto, ed ha in concreto reso la nozione di autosufficienza ben più elastica di quanto non fosse nella giurisprudenza precedente: se non è per lo più richiesta, dalla giurisprudenza di questa Corte, l’integrale trascrizione degli atti o dei documenti, ma è consentito “un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto” (a mero titolo di esempio Cass. 29 gennaio 2019, n. 2331), ciò è proprio perchè la “localizzazione” di essi, a condizione che siano stati anche depositati, come richiede a pena di improcedibilità il successivo art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, consente al giudice di coniugare, non discrezionalmente, ma in stretta adesione al motivo come formulato, il resoconto dell’atto o del documento ed il suo integrale contenuto.

2.8. – Nè assume decisivo rilievo la circostanza che nel caso di specie sia stato denunciato un error in procedendo, quale la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Difatti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno confermato il principio, già più volte affermato, secondo cui, allorquando sia denunciato un error in procedendo, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale. Infatti, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli (Cass., Sez. Un., 26 febbraio 2019, n. 5640).

2.9. – Ora, nel caso in esame, nella sua unica censura, il ricorso si fonda essenzialmente sull’assunto secondo cui l’atto di intervento avrebbe recato in sè sia la domanda di nullità delle operazioni di investimento in contestazione, sia la domanda di risoluzione di inadempimento degli obblighi informativi, domanda, quest’ultima, sulla quale il giudice di primo grado avrebbe dichiarato il “non luogo a provvedere” e che, a seguito dell’appello della banca, R.L. e F.F. avrebbero riproposto nella loro comparsa di costituzione in sede di impugnazione: in ipotesi legittimamente riproposto, ove pure il deposito della comparsa di costituzione in appello fosse stato tardivamente effettuato, come sostenuto dalla banca nel controricorso, dal momento che la pur inappropriata formula “non luogo a provvedere”, asseritamente impiegata dal Tribunale, parrebbe ineluttabilmente da dover essere intesa quale dichiarazione di assorbimento, tale da consentire al vincitore nel merito la mera riproposizione anche in una comparsa tardivamente depositata (Cass., S.U. 7940/2019).

Ma il fatto è che nè la comparsa di intervento nel giudizio di primo grado, nè la sentenza di primo grado, nè la comparsa di costituzione in appello R. – F. sono “localizzate”, il che basta alla dichiarazione di inammissibilità, senza che occorra ulteriormente soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante “contenutistico” cui già si è fatto cenno.

3. – Il ricorso incidentale condizionato è assorbito.

4. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito l’incidentale, e condanna le ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

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