Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28183 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. I, 31/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 31/10/2019), n.28183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5936/2014 proposto da:

COMUNE DI ACCADIA, in persona del Sindaco in carica elettivamente

domiciliato in Roma, Va Alessandria, 184 presso lo studio

dell’avvocato Rocco Mele e rappresentato e difeso dall’avvocato

Franco Furore per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.M., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in Roma,

Via Cosseria, 2 presso lo studio Placidi e rappresentati e difesi

dall’avvocato Gianni Cerisano per procure speciali a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bari del 26/06/2013 n.

677;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/05/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Comune di Accadia ricorre in cassazione con tre motivi di annullamento avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte di appello di Bari, in accoglimento delle domande di opposizione alla stima non definitiva – determinata D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 54 – proposte da P.A., + ALTRI OMESSI, lo aveva condannato al pagamento delle indennità di occupazione legittima e di esproprio dagli istanti maturate in ragione dell’assoggettamento dei terreni in loro proprietà a procedura di esproprio, giusta decreto n. 4082 del 13 luglio 2006, perchè asserviti al Piano Insediamenti Produttivi (P.I.P.), approvato con Delib. 30 novembre 2001, art. 4.

2. Resistono con controricorso I.M., + ALTRI OMESSI, con cui deducono l’inammissibilità del ricorso che avrebbe proposto questioni correttamente risolte dalla Corte territoriale in applicazione della giurisprudenza di legittimità.

Il Comune di Accadia ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’amministrazione ricorrente denuncia vizi di motivazione per illogicità e contraddittorietà ed errata interpretazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 con riferimento al decreto di esproprio nonchè la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c.

La Corte di appello avrebbe errato nel qualificare tempestiva l’opposizione D.P.R. n. 327 cit., ex art. 54, comma 2, ritenendo necessaria a tal fine, come già nel vigore della L. n. 865 del 1971, art. 19 con la notifica con il decreto di esproprio la comunicazione della relazione di stima ex art. 27 D.P.R. cit. effettuata dalla Commissione provinciale.

Il decorso del termine perentorio di trenta giorni per proporre opposizione si sarebbe invece avuto a far data dalla notifica del decreto di esproprio che, effettuata il 20 luglio 2006, avrebbe reso tardiva l’opposizione notificata il 15 ottobre 2007. La relazione di stima, depositata negli atti comunali con il p.i.p. e pubblicizzata nei termini di legge era stata riportata nel decreto.

I contenuti della citazione a firma degli attori avrebbero dimostrato la piena conoscenza dei criteri di liquidazione applicati che erano stati contestati con dovizia di particolari.

In mancanza di contestazione degli attori sul deposito della relazione e la adeguata pubblicizzazione del procedimento, la Corte di merito avrebbe deciso in violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. dando ingresso, d’ufficio, a profili di illegittimità.

Il motivo di ricorso è infondato per ragioni che toccano la stessa ammissibilità del proposto mezzo.

1.1. Per consolidato principio di legittimità, il termine di trenta giorni per l’opposizione alla stima dell’indennità espropriativa decorre, ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19 dall’inserzione, nel foglio annunzi legali della provincia (F.A.L.), della relazione della Commissione provinciale solo se tale inserzione rappresenti l’atto finale del procedimento, mentre in caso di inosservanza del modello procedimentale – e, in particolare, nell’ipotesi in cui la pubblicazione sul F.A.L. abbia preceduto la notificazione ai proprietari dell’ammontare dell’indennità definitiva e del decreto di esproprio – il termine breve decorre dalla notifica dell’ultima di tali formalità, trovando applicazione, in mancanza, la prescrizione ordinaria decennale.

Ed infatti, atteso lo scopo di assicurare l’unicità del giudizio di opposizione e la decorrenza unitaria del termine per tutti gli interessati, resta escluso che, dopo la pubblicazione sul F.A.L., il decreto possa essere utilmente notificato ad alcuni soltanto dei comproprietari facendo decorrere il termine anche per glì altri (Cass. 03/07/2013 n. 16614; in termini: Cass. 25/06/2014 n. 14452; Cass. 27/10/2016 n. 21731).

Le indicate formalità e per esse il descritto modello procedimentale valgono altresì a determinare se si sia in presenza di una stima definitiva o provvisoria e se quindi all’espropriato si offra la facoltà di esercitare il rimedio tipico dell’opposizione alla stima o di proporre azione di accertamento nei termini di cui alla sentenza n. 69/90 della Corte costituzionale.

Ed infatti, ferma l’indicata distinzione, questa Corte di legittimità ha affermato che in tema di espropriazione, il termine per la proposizione dell’opposizione alla stima decorre non in presenza di una stima provvisoria (quale quella predisposta dallo stesso ente espropriante, la cui finalità è soltanto quella di consentire la cessione volontaria del bene in caso di accettazione dell’espropriato, L. n. 865 del 1971, ex art. 12), ma in conseguenza del deposito L. n. 865 del 1971, ex art. 19 della relazione di stima definitiva determinata dall’apposita commissione di cui all’art. 16 legge citata (Cass. 06/12/2002 n. 17351).

In siffatto quadro, con affermazione di chiusura, si è rilevato che là dove, in materia di esproprio e di opposizione alla stima dell’an della indennità, la notifica del decreto ablatorio rechi l’indicazione di una indennità non specificata nella sua natura, provvisoria o definitiva, e non vi sia prova certa dell’avvenuto svolgimento della stima definitiva, l’adempimento non è mai idoneo a far decorrere il termine decadenziale per l’opposizione (Cass. 01/12/1999 n. 13409).

In applicazione degli indicati principi, tra il ventaglio di ipotesi che la pratica ha offerto all’esame della giurisprudenza di legittimità, si è ancora precisato che nel caso in cui l'”anomalia procedimentale” che si registra là dove il decreto di esproprio segua – in tal caso provvedendo a fissare l’indennità definitiva -, e non preceda – così integrando l’indennità provvisoria – la stima, allorchè a proporre opposizione sia l’espropriante, il termine per l’opposizione decorre dall’adozione del medesimo decreto (Cass. 06/06/2003 n. 9086; Cass. 25/11/2010 n. 23966) e tanto nel sostanziale rilievo della peculiarità della posizione rivestita dall’opponente, pieno partecipe dei contenuti dell’atto.

La decadenza dall’azione per proporre l’opposizione alla stima può essere rilevata a condizione che dagli atti risultino compiuti gli adempimenti che ne costituiscono il presupposto (sulla indennità di occupazione legittima, in termini: Cass. 28/01/2016 n. 1622).

La Corte di appello di Bari in corretta applicazione degli indicati principi, in una fattispecie in cui è stato notificato alle parti private il solo decreto di esproprio e mancando l’iter amministrativo del segmento finalizzato a dare conoscenza a tutte le parti del procedimento della indennità di esproprio e dei criteri applicati dalla competente Commissione per la sua quantificazione – mancanza sintomaticamente espressa dal difetto della pubblicazione sul F.A.L. i) dell’atto ablatorio – trova applicazione il termine decennale di prescrizione.

Il termine di decadenza per l’opposizione alla stima non può mai decorrere quando la procedura indennitaria sia rimasta priva, per una anomalia procedimentale, della determinazione definitiva di un organo terzo; in tal caso l’espropriato ha diritto di proporre l’azione di accertamento che introdotta dalla Corte costituzionale con la sentenza additiva n. 67/1990 rinviene nell’ordinario termine di dieci anni dalla data del decreto di esproprio (Cass. 21/10/2011 n. 21886; Cass. 06/10/2011 n. 20527).

In tema di espropriazione, in mancanza di un atto determinativo dell’indennità di esproprio, definito dal pieno dispiegarsi del procedimento amministrativo e dall’integrale osservanza delle sue forme, resta preclusa la declaratoria di inammissibilità per maturata decadenza dell’impugnazione e rimane salva la regola, residua, nell’intervenuto accertamento del diritto all’indennità in forza di un giudizio di cognizione, della diversa e necessaria osservanza, nel promuovimento dell’azione, del termine ordinario di prescrizione giusta sentenza n. 67/1990 della Corte costituzionale.

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 37 e ss. l’erronea qualificazione della natura del vincolo derivante dal Piano di Insediamento Produttivo (P.I.P.), la mancata valutazione della non edificabilità dei terreni in seguito alla loro inclusione nel primo ed il mancato riconoscimento della natura di riforma economico-sociale dell’intervento urbanistico.

Di contro a quanto ritenuto dalla Corte di appello i vincoli derivanti dal P.I.P. dovevano qualificarsi come ablatori con conseguente inedificabilità delle aree interessate D.P.R. n. 327 cit., ex art. 37, comma 3

Prima dell’adozione del Piano di Insediamento Produttivo (P.I.P.) intervenuta con Delib. Consiglio comunale di Accadia n. 41 del 2001, e con esso della dichiarazione di pubblica utilità delle opere, la destinazione dei terreni era quella agricola secondo il PRG vigente nel Comune che tipizzava le aree in questione come “Zona H”.

Non vi sarebbe stata possibilità di edificazione prima dell’approvazione del piano nè all’esito dell’attivazione del procedimento di esproprio.

La destinazione degli immobili interessati era infatti quella di porre in essere interventi di strettissima rilevanza pubblicistica la cui realizzazione poteva aversi su iniziativa dei privati, ma all’interno di un programma di natura e modalità autoritative.

Il vincolo derivante dalla ricomprensione dei terreni nel P.I.P. non avrebbe avuto carattere conformativo della proprietà ma ablatorio, attivando con il suo valore di dichiarazione di pubblica utilità la procedura di esproprio definita con l’adozione del relativo decreto e avrebbe posto i beni in una condizione di inedificabilità assoluta se non per interventi pubblici, contrapponendosi, ex art. 37, comma 3 D.P.R. cit., alla loro qualificazione come edificabili.

Gli interventi previsti in attuazione di Piani di Insediamento Produttivo, in quanto volti al soddisfacimento di rilevanti interessi di natura economico sociale, avrebbero dovuto assoggettarsi alla decurtazione del 25 per cento di cui all’art. 37 D.P.R. cit.

Il motivo è infondato.

2.1. Ai fini della determinazione dell’indennità espropriativa la destinazione a zona edificabile di un fondo può aversi per inserimento in un piano per gli insediamenti produttivi (P.I.P.) che anche ove sia in variante rispetto al piano regolatore generale, nel senso di attribuire prerogative di edificabilità, è su tale punto strumento conformativo (arg. ex Cass. 24/04/2007 n. 9891).

Secondo più generale principio, ai fini della determinazione dell’indennità espropriativa, il D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis conv. con modif. nella L. 8 agosto 1992 (ora recepito nel D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 32 e 37) ha prescelto, quale unico criterio per individuare la destinazione urbanistica del terreno espropriato, quello dell’edificabilità legale, per cui un’area va ritenuta edificabile quando (e per il solo fatto che) essa risulti classificata come tale dagli strumenti urbanistici al momento della vicenda ablativa, senza possibilità legale di edificazione tutte le volte in cui la zona sia stata concretamente vincolata da un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) dallo strumento urbanistico vigente. Nè rileva, in tali ultime ipotesi, che la destinazione zonale consenta la costruzione di edifici e attrezzature pubblici atteso che l’attività di trasformazione del suolo per la realizzazione dell’opera pubblica rimessa inderogabilmente all’iniziativa pubblica non è assimilabile al concetto di edificazione preso in considerazione dal menzionato L. n. 359 del 1992, art. 5 agli effetti indennitari, da intendersi come estrinsecazione dello “ius aedificandi” connesso al diritto di proprietà (Cass. 23/05/2014 n. 11503; Cass. 07/10/2016 n. 20228).

La destinazione industriale di un terreno secondo le previsioni dello strumento urbanistico anche se mediata dalla programmazione pubblicistica è comunque idonea a consentire l’esplicazione dello “ius aedificandi” da parte dei privati, con conseguenti sue ricadute in punto di determinazione dell’indennità in caso di esproprio. (Cass. 07/10/2016 n. 20228).

Là dove, infatti, la previsione urbanistica introduca una destinazione realizzabile anche ad iniziativa privata, non può parlarsi di vincolo, e dunque non può escludersi la vocazione edificatoria del suolo non configurandosi in tal caso un vincolo conformativo della proprietà a fini pubblicistici (Cass. 17/09/2015 n. 18239).

La Corte territoriale ha dato corretta applicazione degli indicati principi nella parte in cui, qualificata l’approvazione del P.I.P. oltre che strumento di attuazione, anche variante al P.R.G. – avendo le disposizioni del primo trasformato al momento di adozione del decreto di esproprio o di consumazione del fatto acquisitivo la destinazione dei terreni in esso compresi da aree agricole, “Zona H” del P.R.G., ad aree edificabili perchè ricomprese in zona destinata ad insediamenti produttivi – ha concluso nel senso della natura conformativa dell’indicato strumento urbanistico, nel carattere innovativo del preesistente strumento generale di programmazione del territorio.

2.2. E’ infondato anche l’ulteriore profilo del motivo con cui si contesta la mancata applicazione della riduzione del 25% sulle indennità D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 37 nella nuova versione introdotta dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90.

Sul punto i resistenti in controricorso hanno dedotto, in modo incontestato in giudizio, l’inapplicabilità ratione temporis dell’indicato istituto, in tal modo fissando l’epoca in cui si è definita la procedura ablatoria che la novellata norma vuole ancora in corso perchè possa poi giungersi alla sua applicazione, non investendo, invece, la pendenza richiesta dall’indicata previsione, il processo (Cass. 19/03/2013 n. 6798; Cass. 18/08/2017 n. 20177).

Ciò posto in ordine al regime temporale, vero è poi che in ogni caso l’istituto non può trovare applicazione per il principio che in tema di espropriazione per pubblica utilità, nel caso in cui il procedimento sia adottato per realizzare un programma di insediamento produttivo (P.I.P.), non sussiste il presupposto dell’intervento di riforma economico-sociale che giustifica la riduzione del 25% del valore venale del bene ai fini della determinazione dell’indennità, dovendo quest’ultimo riguardare l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate ed essere, quindi, attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca (per un programma di edilizia convenzionata: vd., in tal senso: Cass. 23/02/2012 n. 2774).

3. Con il terzo motivo si fa questione sul carattere errato ed illogico della motivazione e sulla violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c.

La Corte di appello avrebbe quantificato il valore dei beni dalla risposta fornita dal c.t.u. che, chiamato a chiarimenti e richiesto di integrare la precedente relazione “mediante specifica indicazione dei parametri (ed in particolare degli atti di compravendita) utilizzati ai fini della stima sintetico comparativa dei suoli ablati”, avrebbe operato in modo contraddittorio.

Dopo aver indicato nella prima relazione che la stima compiuta si basava su “indagini compiute sull’effettivo valore di mercato di immobili aventi analoghe caratteristiche presenti in un intorno più ampio del solo comune di Accadia”, nella successiva, resa a chiarimenti, il nominato tecnico aveva riferito che, data la qualità del mercato di Accadia, egli si era basato sulle quotazioni al metro quadro del mercato immobiliare dell’epoca, senza precisare l’epoca ed il mercato immobiliare di riferimento e quale fosse la zona urbanistica di confronto.

L’amministrazione resistente aveva richiesto che la Corte di merito rideterminasse l’indennità di esproprio tenendo conto della insussistenza di manufatti edilizi sui suoli espropriati, e la Corte aveva disatteso immotivatamente il rilievo.

Il motivo si espone ad un giudizio di inammissibilità; plurimi ne sono i profili.

3.1. Il motivo è inammissibile perchè reitera una critica difensiva alla quale ha pienamente e congruamente risposto la Corte di appello con l’impugnata sentenza in applicazione di principi di questa Corte di legittimità, non individuando ragioni di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. o errori di valutazione della prova.

Con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poichè in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 24/09/2018 n. 22478).

La motivazione, d’altra parte, dà conto del ragionamento osservato dal nominato c.t.u. nella stima del valore di mercato dei fondi con richiamo agli esiti di una ricerca di mercato condotta al di fuori del confini del Comune di Accadia che, di modeste dimensioni, non lasciava registrare compravendite degli immobili aventi le caratteristiche di quelli espropriati. Nessuna contraddizione logica nelle argomentazioni svolte dalla Corte di appello che danno atto del carattere confermativo delle precedenti conclusioni delle risposte a chiarimento fornite dal tecnico di ufficio.

3.2. Nel resto la censura è ancora inammissibile là dove, il ricorrente vuole infirmare la tenuta logica della motivazione della sentenza per avere questa recepito acriticamente le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio senza tenere conto delle deduzioni difensive svolte nel grado.

Nella insussistenza dell’indicata premessa, avendo la Corte di merito pienamente argomentato sulle ragioni di condivisione delle conclusioni del nominato tecnico in punto di quantificazione della indennità di esproprio, il motivo, non dialogando con la motivazione, si fa portatore di censura non specifica e come tale inammissibile.

4. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso proposto e condanna il ricorrente a rifondere a I.M., + ALTRI OMESSI le spese di lite che liquida in Euro 4.200,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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