Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28183 del 21/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 21/12/2011, (ud. 12/12/2011, dep. 21/12/2011), n.28183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza del

Popolo n. 18, presso l’Avv. FRISANI Pietro L., che lo rappresenta e

difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Bologna rep.

n. 13 depositato il 5 gennaio 2010.

Nonchè sul ricorso n. 21144/10 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza del

Popolo n. 18, presso l’Avv. Pietro L. Frisani che lo rappresenta e

difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

per la cassazione de decreto della Corte d’appello di Bologna rep. N.

1551 depositato il 13 ottobre 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 12 dicembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per

l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso;

udito l’Avv. Pietro Frisani.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I ricorrenti in epigrafe ricorrono separatamente per cassazione nei confronti dei decreti della Corte d’appello che hanno rigettato le loro domande di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR Emilia Romagna a far tempo dal 22.5.1996 e non ancora definito alla data di presentazione della domanda (30.12.2008).

L’Amministrazione intimata non ha proposto difese.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente i ricorsi debbono essere tra loro riuniti benchè siano stati proposti avverso decisioni diverse. Premesso infatti che sono principi già affermati quelli secondo cui “La riunione dei procedimenti, in applicazione della norma generale di cui ali art. 274 c.p.c., è ammessa anche nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, atteso che, tra i compiti di quest’ultima, oltre a quello istituzionale di garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale, rientra anche l’altro di assicurare l’economia ed il minor costo dei giudizi, risultati cui mira la menzionata norma del codice di rito civile” (Cassazione civile, sez. 3^, 20/12/2005, n. 28227) e “La riunione delle impugnazioni, obbligatoria ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove investano la stessa sentenza, può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro diverse sentenze pronunciate fra le medesime parti, in relazione a ragioni di unitarietà sostanziale e processuale della controversia; ed invero dalle disposizioni del codice di rito prescriventi l’obbligatorietà della riunione, in fase di impugnazione, di procedimenti formalmente distinti, in presenza di cause esplicitamente ritenute dal legislatore idonee a giustificare la trattazione congiunta (art. 335 c.p.c. e art. 151 disp. att. c.p.c.), è desumibile un principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre i casi espressamente previsti, ove ravvisi in concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il foro esame congiunto” (Cassazione civile, sez. 2^, 17/06/2008, n. 16405), non vi è dubbio che le ragioni che giustificano la trattazione congiunta nella fattispecie sussistano in quanto le pretese delle parti traggono origine dalla durata, ritenuta eccessiva, dello stesso giudizio al quale hanno partecipato con identiche posizioni e vicende e non sono stati evidenziati elementi che differenzino le diverse posizioni in questa fase.

Con i due motivi uguali in tutti i ricorsi, che per la loro complementarietà possono essere trattati congiuntamente, gli impugnati decreti vengono censurati in relazione alla ritenuta insussistenza del patema d’animo conseguente alla pendenza del giudizio a causa della consapevolezza della totale infondatezza della pretesa.

I motivi sono fondati.

La Corte ha già enunciato il principio secondo cui “In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la circostanza che la causa di merito sia configuratile come lite temeraria o che la parte abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il diritto all’equa riparazione, costituendo circostanze di abuso del processo e derogando alla regola secondo cui il diritto all’indennizzo è indipendente dall’esito del processo presupposto (L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2), deve essere provata dall’Amministrazione resistente, anche con presunzioni, in modo che possa ritenersi accertata la assoluta consapevolezza dell’infondatezza della pretesa;

l’Amministrazione non è tuttavia tenuta a dedurre formalmente le predette circostanze, non trattandosi di eccezione in senso stretto, per la quale la legge richiede espressamente che sia soltanto la parte a rilevare i fatti impeditivi; conseguentemente, se gli elementi rilevanti ai fini della prova di tali circostanze sono stati comunque ritualmente acquisiti ai processo o attengono al notorio, gli stessi entrano a far parte del materiale probatorio che il giudice può liberamente valutare” (Sez. 1, Ordinanza n. 8513 del 9/04/2010).

Alla luce di tale principio non appare appagante la valutazione operata dal giudice del merito in quanto l’incertezza anche rilevante del giudizio non esclude di per sè il patema d’animo, ben potendosi confidare, ad esempio, in un mutamento della giurisprudenza, mentre è solo l’accesso al giudizio finalizzato a lucrare sulla sua durata che consente di escludere il diritto all’indennizzo.

I ricorsi devono dunque essere accolti. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto, non essendo seriamente contestabile l’eccessiva durata di una procedura ultra decennale, in applicazione del principio (sentenza n. 14753/2010) secondo cui, in fattispecie in cui non sia applicabile il disposto del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, l’importo dell’indennizzo per giudizi avanti al giudice amministrativo protrattisi per lungo tempo in assenza di iniziative sollecitatorie l’indennizzo può essere liquidato in via forfettaria e tenuto conto della giurisprudenza in materia della Corte, il Ministero della Economia e delle Finanze deve essere condannato al pagamento di Euro 6.500,00 a ciascun ricorrente a titolo di equo indennizzo.

Le spese seguono la soccombenza tenuto conto, quanto alla liquidazione, del principio affermato in tema di abuso del processo (Cass. civ., 3 maggio 2010, n. 10634).

PQM

la Corte, riuniti i ricorsi, li accoglie; cassa i decreti impugnati e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e delle Finanze al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 6.500,00 oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonchè alla rifusione delle spese del giudizio di merito che liquida in complessivi Euro 1.240,00 di cui Euro 700,00 per diritti, Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.000,00 di cui Euro 900,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011

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