Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28178 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. un., 10/12/2020, (ud. 03/11/2020, dep. 10/12/2020), n.28178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente di Sez. –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3562/2020 proposto da:

R.A., M.A., A.A., A.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso lo

studio dell’avvocato GIAMPIERO PROIA, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MAURIZIO PANIZ, e STEFANIA FULLIN;

– ricorrenti –

contro

CAMERA DEI DEPUTATI, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3/2019/ApCons della CAMERA DEI DEPUTATI,

depositata il 19/11/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/11/2020 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso;

uditi gli avvocati Maurizio Paniz, Ruggero Di Martino e Roberto Di

Felice entrambi per l’Avvocatura Generale dello Stato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.A., A.G., R.A. e M.A., tutti deputati cessati dalla carica con un mandato parlamentare svolto dal 2001 al 2018 per quattro legislature o comunque con anzianità contributiva di più di 20 anni, hanno impugnato con ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., la sentenza del Collegio d’Appello della Camera dei Deputati del 17/10/2019 che, confermando la sentenza del Consiglio di giurisdizione del 27/6/2019, aveva rigettato la domanda volta ad ottenere il vitalizio parlamentare immediatamente o in subordine al compimento 53 anni o in ulteriore subordine a 58 anni di età.

2.1 ricorrenti domandano la cassazione di detta pronuncia per cinque motivi, ai quali premettono l’affermazione secondo cui la previsione dei poteri di autodichia non può impedire la ricorribilità per cassazione delle pronunce dell’organo interno di ultima istanza ex art. 111 Cost., comma 7.

3. L’Amministrazione della Camera dei Deputati ha resistito con controricorso denunciando in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per difetto assoluto di giurisdizione e, comunque, il rigetto del ricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. I ricorrenti formulano cinque motivi ai quali premettono la questione della sussistenza del sindacato giurisdizionale della Corte di Cassazione sulle pronunce adottate in sede di autodichia parlamentare.

Richiamano i principi affermati da questa Corte (ordinanze del 18265/2019) secondo cui l’attività degli organi di autodichia è oggettivamente giurisdizionale, tanto che si può sollevare davanti ad essi una questione di legittimità costituzionale, e dunque, secondo i ricorrenti, escludere il ricorso per cassazione alle Sezioni Unite contro le decisioni degli organi di autodichia rappresenterebbe un’evidente inaccettabile incongruenza.

5. Il ricorso è inammissibile dovendo essere confermati i principi già affermati da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 10775/2018, le ordinanze n. 18265/2018, n. 1720/2020 che devono essere qui richiamati non essendo stati formulati rilievi idonei a consentire di pervenire a diverse conclusioni.

6. Si è affermato nei citati provvedimenti che nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite è stato precisato che per autodichia si intende, comunemente, la capacità di una istituzione – ed in particolar modo degli organi costituzionali che siano muniti di autonomia organizzativa e contabile – di decidere direttamente, con giudizio dei propri organi, ogni controversia attinente all’esercizio delle proprie funzioni senza che istituzioni giurisdizionali esterne possano esercitare sui relativi atti controlli e sindacati di sorta, applicando la disciplina normativa che gli stessi organi si sono dati nelle materie trattate (vedi, per tutte: Cass. SU 17 marzo 2010, n. 6529).Come sottolineato anche nelle sentenze della Corte costituzionale n. 120 del 2014 e n. 262 del 2017, l’autodichia costituisce manifestazione tradizionale della sfera di autonomia riconosciuta agli organi costituzionali, a quest’ultima strettamente legata nella concreta esperienza costituzionale.

7. Questa Corte (vedi, per tutte: Cass. SU 4 maggio 2018, n. 10775) ha altresì rilevato che nella citata sentenza della Corte costituzionale n. 262 del 2017 sono altresì contenute le seguenti significative precisazioni:

a) i collegi dell’autodichia, benchè siano “interni” all’organo costituzionale di appartenenza e quindi estranei all’organizzazione della giurisdizione, tuttavia sono tenuti al rispetto della “grande regola” del diritto al giudice e alla tutela giurisdizionale effettiva dei propri diritti, essendo questa una scelta che appartiene ai grandi principi di civiltà del tempo presente, che non può conoscere eccezioni (Corte Cost., sentenza n. 238 del 2014);

b) infatti, i suddetti collegi oggi, in seguito alle ultime modifiche, risultano costituiti secondo regole volte a garantire la loro indipendenza ed imparzialità e sono quindi chiamati a svolgere funzioni obiettivamente giurisdizionali per la decisione delle controversie loro attribuite come del resto, in relazione alla funzione del giudicare, impongono i principi costituzionali ricavabili dagli artt. 3,24,101 e 111 Cost. e come ha richiesto la Corte Europea dei diritti dell’uomo, in particolare nella sentenza 28 aprile 2009, Savino e altri contro Italia;

c) per quanto qui interessa, presso la Camera dei Deputati – e presso il Senato della Repubblica – le controversie in argomento si svolgono, in primo e in secondo grado, secondo moduli procedimentali di natura sostanzialmente giurisdizionale, idonei a garantire il diritto di difesa e un effettivo contraddittorio;

d) è da escludere, quindi, che tali collegi siano stati configurati quali giudici speciali ex art. 102 Cost., sicchè avverso le loro decisioni non è neppure ipotizzabile il ricorso ex art. 111 Cost., comma 7, essendo la sottrazione delle decisioni stesse al controllo della giurisdizione comune, in definitiva, un riflesso dell’autonomia degli organi costituzionali in cui sono inseriti;

e) ma il carattere oggettivamente giurisdizionale dell’attività degli organi di autodichia, posti in posizione d’indipendenza, li rende giudici ai fini della loro legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio (sentenza n. 213 del 2017; in precedenza, per la qualificazione di situazioni analoghe, sentenze n. 376 del 2001 e n. 12 del 1971).

8. Dall’insieme delle suddette affermazioni si desume che, nel caso di specie, le censure sono state espressamente escluse dalla Corte costituzionale, in quanto le funzioni svolte dagli organi di autodichia nelle controversie di cui si tratta sono state configurate come “obiettivamente giurisdizionali” e quindi conformi agli artt. artt. 3,24,101 e 111 Cost., invocati dagli attuali ricorrenti, mentre la sottrazione delle relative decisioni al controllo di queste Sezioni Unite ex art. 111 Cost., comma 7, è stato considerato un riflesso dell’autonomia degli organi costituzionali in cui i suddetti organi sono inseriti. D’altra parte, eventuali dubbi di legittimità costituzionale delle norme di legge cui i regolamenti parlamentari e le fonti di autonomia in genere fanno rinvio, possono essere evidenziati davanti agli organi dell’autodichia stessa (cosa che avrebbe potuto essere fatta anche nella specie).

9. Ne consegue che è da escludere che, in questa sede, vi sia spazio per l’esame delle suindicate violazioni, così come per qualsiasi altra censura.

10. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese di lite seguono la soccombenza.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare le spese di lite liquidate in Euro 5.500,00 per compensi professionali, 15% per spese generali oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

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