Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28177 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. I, 31/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 31/10/2019), n.28177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25079/2014 R.G. proposto da:

V.P., elettivamente domiciliato in Roma, Foro Traiano n.

1/a, presso lo studio dell’avvocato Satta Filippo, rappresentato e

difeso dagli avvocati Soldano Laura Ornella Alba, Roderi Giorgio,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Provincia di Milano, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via di Porta Pinciana n. 6,

presso lo studio dell’avvocato Sciacca Giovanni Crisostomo,

rappresentata e difesa dagli avvocati Gabigliani Nadia Marina,

Ferrari Marialuisa, Zimmitti Alessandra, giusta procura a margine

del controricorso e all’atto di integrazione di mandato alle liti;

– controricorrente –

e contro

Comune di Lissone;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2205/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

pubblicata il 12/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/05/2019 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2205/2014 pubblicata il 12/6/2014, la Corte d’Appello di Milano, pronunciando in unico grado, determinava in complessivi Euro459.000 l’indennità definitiva di esproprio e in Euro 51.326,26 l’indennità di occupazione dovute per l’espropriazione del terreno di proprietà dell’attore disposta per la realizzazione della variante alla (OMISSIS) al servizio dell’Ospedale di (OMISSIS) – II lotto in Comune di Lissone, ordinando alla Provincia di Milano il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti delle somme suddette, oltre interessi legali come specificato nella motivazione della sentenza. La Corte territoriale riteneva che con PRG n. 77 del 24-4-1970 fosse stato imposto sulle aree un vincolo urbanistico a destinazione standard di carattere conformativo, poichè si era trattato di una zonizzazione generale (progetto comunale di viabilità che interessava i comuni di Monza Lissone e Vedano al Lambro) coinvolgente un’area estesa del Comune e non, quindi, riferibile specificamente al bene di proprietà del V. per la localizzazione di una determinata opera pubblica, come risultava dall’azzonamento della variante generale di PRG del comune di Lissone dell’anno 1997 (doc. n. 12 Provincia di Milano). Secondo la ricostruzione giuridica e fattuale della Corte d’appello, in conformità a quanto accertato mediante C.T.U., dopo la reiterazione di detto vincolo conformativo nei successivi P.R.G. sino al 2001, solo con la variante al P.R.G. n. 7/5791 del 27-7-2001 era stato imposto il vincolo destinato all’esproprio e l’area del V. era stata compresa per 2/3 nella zona destinata a standard urbanistici secondari e per 1/3 nella zona destinata alla viabilità, da qualificarsi urbanizzazione primaria. La Corte territoriale ha quindi affermato che il suolo espropriato, in quanto avente destinazione a standard imposta dal P.R.G. comunale del 1970, non aveva capacità edificatoria e il valore di mercato è stato parametrato, in conformità alle risultanze della C.T.U., sul valore delle aree con destinazione ad urbanizzazione primaria e secondaria. 2.Avverso questa sentenza, V.P. propone ricorso affidato a quattro motivi, resistiti con controricorso dalla Provincia di Milano. Il Comune di Lissone è rimasto intimato.

3. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 (Vincoli derivanti dai piani urbanistici) del D.P.R. n. 327 del 2001 – in relazione all’art. 42 Cost. Violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”. Ad avviso del ricorrente il vincolo preordinato all’esproprio è stato apposto con il P.R.G. del 1970, in quanto l’Amministrazione aveva sin da allora previsto la realizzazione di un’opera pubblica ben determinata (la variante (OMISSIS)), l’opera pubblica era precisa nel suo tracciato e il vincolo ha sacrificato la sola proprietà privata del ricorrente. Di conseguenza sostiene il ricorrente che per individuare la natura del bene si debba fare riferimento alla destinazione urbanistica anteriore al 1970 (area B edificabile). Denuncia il vizio della sentenza, in primo luogo, per la mancata considerazione di un fatto decisivo per il giudizio, che indica nel procedimento di apposizione del vincolo, e secondariamente per errore di sussunzione, rilevante come falsa applicazione di norme di diritto, consistito nell’errata qualificazione del vincolo apposto con il P.R.G. del 1970 come conformativo.

2. Con il secondo motivo lamenta “Violazione nella forma della falsa applicazione di norme di diritto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione degli artt. 32 (Determinazione del valore del bene) e (Determinazione dell’indennità di esproprio di un’area edificabile) del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37”. Il ricorrente deduce che dall’errata qualificazione del vincolo da parte della Corte territoriale erano dipesi sia l’erronea qualificazione della natura del bene ablato, da ritenersi edificabile, sia l’erronea determinazione dell’indennità di espropriazione, da effettuarsi in base alle norme di cui alla rubrica, dovendo prescindersi dall’incidenza del vincolo preordinato all’esproprio. Sottolinea che la Commissione Espropri, sul presupposto della natura edificabile del suolo espropriato, aveva determinato un valore dello stesso pari a Euro 169,49 mq., di gran lunga superiore a quello riconosciuto con la sentenza impugnata (Euro90 mq.).

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta “Violazione di legge – Nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti: art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 – Nullità della sentenza che traluce anche da un difetto assoluto di motivazione o riscontro sulle contestazioni formulate dall’attore nei confronti delle conclusioni del CTU”. Ad avviso del ricorrente il C.T.U. aveva solo genericamente contestato la relazione del C.T.P. di parte attrice ed aveva tenuto conto di due soli documenti del tutto irrilevanti ai fini della valutazione dell’area ablata, ossia dell’atto di compravendita del luglio 2005 tra la Selam s.r.l. e lo stesso ricorrente V. e la DDC del Comune di Lissone n. 24 del 4 aprile 2006 (pag. n. 23 ricorso). Deduce che quei documenti non rappresentano il valore dell’area, posto che la destinazione a standard è solo conseguenza dell’imposizione di un vincolo espropriativo su di un’area in precedenza tutta edificabile, con la sola esclusione di mq.1.200 per viabilità interna al comparto. Invece il C.T.U. avrebbe dovuto accertare e comparare il valore di altre aree edificabili del Comune di Lissone, e non considerare solamente i valori dichiarati nei due documenti sopra indicati.

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta “Violazione di legge e falsa applicazione di norme di diritto e dei principi affermati dalla Corte Costituzionale e dalla CEDU: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 anche sotto un finale profilo”. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale ha fondato la propria decisione in violazione dei principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 181/2011, pur se riferita ad area agricola. Ribadisce di avere diritto ad un serio ristoro in relazione alle caratteristiche essenziali ed alle potenzialità economiche edificatorie del bene ablato, mentre la quantificazione dell’indennità di esproprio di cui alla sentenza impugnata era illogica, inadeguata e sommamente ingiusta, anche ove raffrontata a quella riconosciuta dalla Commissione Provinciale Espropri.

5. Il primo motivo è privo di fondamento.

5.1. La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato, con un orientamento a cui il Collegio intende dare continuità, che “La distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi cui possono essere assoggettati i suoli non dipende dal fatto che siano imposti mediante una determinata categoria di strumenti urbanistici, piuttosto che di un’altra, ma deve essere operata in relazione alla finalità perseguita in concreto dell’atto di pianificazione: ove mediante lo stesso si provveda ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo, mentre, ove si imponga solo un vincolo particolare, incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, lo stesso deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, pertanto, prescindersi nella qualificazione dell’area, e ciò in quanto la realizzazione dell’opera è consentita soltanto su suoli cui lo strumento urbanistico ha impresso la correlativa specifica destinazione, cosicchè, ove l’area su cui l’opera sia stata in tal modo localizzata abbia destinazione diversa o agricola, se ne impone sempre la preventiva modifica ” (da ultimo Cass. n. 23572/2017 e Cass. n. 16084/2018).

5.2. Nel caso di specie, incontestato che, in base alle stesse allegazioni del ricorrente, il vincolo sia stato apposto con il P.R.G. n. 77 del 24-4-1970, la Corte territoriale ha accertato che, nell’ambito di un progetto comunale di viabilità che interessava i comuni di Monza Lissone e Vedano al Lambro, il suddetto vincolo conseguiva ad una zonizzazione generale, coinvolgente un’area estesa del Comune e non, quindi, riferibile specificamente al bene di proprietà del V. per la localizzazione di una determinata opera pubblica, come risultava dall’azzonamento della variante generale di PRG del comune di Lissone dell’anno 1997 (doc. n. 12 Provincia di Milano).

La Corte d’appello ha perciò qualificato come di natura conformativa il vincolo urbanistico apposto con il P.R.G. n. 77 del 24-4-1970 sull’area del V., il quale, invece, allega che vi sia stata un’imposizione a titolo particolare incidente solo sui beni di cui è proprietario.

La ricostruzione giuridica effettuata dalla Corte territoriale è corretta, essendosi il giudice del merito attenuto ai principi di diritto suesposti, mentre la ricostruzione fattuale non è sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’anomalia motivazionale o dell’omessa valutazione di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. S.U. n. 8053/2014).

I requisiti oggettivi, di natura e struttura, che presenta il vincolo, nel caso di specie, sono stati esaminati dalla Corte d’appello, sicchè non ricorre l’omesso esame del fatto decisivo nei termini precisati.

La Corte territoriale, con motivazione adeguata e superiore al “minimo costituzionale”, ha altresì accertato che la nuova zonizzazione di parte del territorio comunale incideva su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti in funzione della destinazione della intera zona in cui questi ricadono ed in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, sicchè non ricorre l’anomalia motivazionale che si traduce in vizio di nullità della sentenza (Cass. S.U. n. 8053/2014 citata) e neppure sussiste la lamentata violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 9 non trovando applicazione nella fattispecie il citato D.P.R. (la dichiarazione di pubblica utilità è del 27-7-2001).

6. In ordine al secondo motivo valgono le medesime considerazioni appena espresse circa l’inapplicabilità, nel caso che si sta scrutinando, del D.P.R. n. 327 del 2001. Peraltro la censura è formulata anche sul presupposto che il vincolo di cui trattasi fosse espropriativo e, sotto tale profilo, resta assorbita in conseguenza del rigetto del primo motivo.

7. Il terzo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono parimenti assorbiti nella parte in cui si correlano alla natura edificabile dell’area ablata in dipendenza del carattere espropriativo del vincolo, mentre nella restante parte sono inammissibili.

La Corte territoriale ha determinato, in conformità alle conclusioni della C.T.U., il valore venale dell’area non edificabile oggetto di esproprio parametrandolo a quello delle aree con destinazione ad urbanizzanizzazione primaria e secondaria e mediante il metodo sintetico comparativo, ossia in base ai prezzi di mercato di aree omogenee o similari, avuto riguardo anche al valore risultante dalla compravendita del luglio 2005 tra il precedente proprietario e lo stesso V..

La valutazione sulla congruità del valore del bene ablato, nella specie adeguatamente motivata, è espressione di un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, mentre le censure di cui si sta trattando si risolvono nell’impropria richiesta di una revisione della stima di mercato dei beni e, quindi, di un nuovo giudizio di merito.

Nè rileva nel senso prospettato in ricorso la doglianza sul mancato esame della consulenza tecnica di parte, che costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, atteso che la censura riguardante l’omessa valutazione di deduzioni difensive non è inquadrabile nel paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Cass. n. 26305/2018).

8. Alla stregua delle considerazioni espresse nei paragrafi che precedono, il ricorso è rigettato.

9. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

10. Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro7.200,00, di cui Euro200 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Dichiara che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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