Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28176 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. un., 10/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 10/12/2020), n.28176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente di Sez. –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4361/2020 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA,

681/D, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MALFARA’,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO PUGLIESE;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI TORINO, PROCURATORE GENERALE

PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 137/2019 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 16/11/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

6/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso in via principale per

l’improcedibilità, in subordine per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Maria Giuseppina Guerriero, per delega dell’avvocato

Vincenzo Pugliese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 1 dicembre 2015, l’avv. B.G. venne iscritto nel registro delle notizie di illecito disciplinare tenuto dal CDD di Torino, a seguito della segnalazione pervenuta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino relativa alla perquisizione disposta, nei suoi confronti, nell’ambito di un procedimento aperto per i reati appresso indicati:

“a) Reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., artt. 476-482 c.p., perchè, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, formava n. 2 comunicazioni della Cancelleria del Tribunale civile di Torino sezione lavoro false, in quanto relative al ricorso in realtà mai presentato nell’interesse di A.F. nei confronti delle Poste Italiane recanti l’informazione relativa all’esito del medesimo. In (OMISSIS) in data anteriore e prossima al (OMISSIS) e in data anteriore e prossima al (OMISSIS).

b) Reato di cui all’art. 476-482 c.p., perchè formava il falso decreto n. 3699/E/2011 apparentemente rilasciato dal Tribunale per Minorenni di Milano. In (OMISSIS) in data anteriore e prossima al (OMISSIS).

c) Reato di cui artt. 485-491 c.p., art. 61 c.p., n. 2, perchè, al fine di commettere il reato di cui ai capo che segue, alterava l’assegno portante la somma di Euro 1.239,50 modificando il nome dell’intestatario da G.M.L. a B.G.. In (OMISSIS) in data anteriore e prossima al (OMISSIS).

d) Reato di cui all’art. 646 c.p., perchè al fine di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, si appropriava della somma di Euro 1.239,50, incassando l’assegno di cui al capo che precede di cui aveva il possesso in quanto a lui consegnato da S.G. e affinchè il B. lo consegnasse a G.M.L. a titolo di canone annuale per l’affitto di un box. In (OMISSIS) in data anteriore e prossima al (OMISSIS)”.

Reso edotto della segnalazione in parola, l’avv. B. inoltrò al CDD le sue deduzioni difensive, evidenziando che la perquisizione aveva avuto esito negativo perchè non era stato rinvenuto alcun documento, cartaceo o digitale, contraffatto.

Con delib. 3 marzo 2017, venne, quindi, aperto il procedimento disciplinare per i seguenti capi d’incolpazione:

“a) Violazione degli artt. 9, 12, art. 26, comma 3 e art. 27, comma 6 del CDF vigente per avere l’avv. B.G. omesso di informare correttamente sullo svolgimento del mandato e di adempiere il mandato stesso ricevuto dal sig. A.F. e, nel contempo, formato due comunicazioni della cancelleria del Tribunale civile di Torino sezione lavoro false in quanto relative al ricorso in realtà mai presentato nell’interesse di A.F. nei confronti delle Poste Italiane recanti l’informazione relativa all’esito del medesimo;

b) Violazione degli artt. 9, 11, 12, art. 26, comma 3 e art. 27, comma 6 del CDF vigente per avere l’avv. B.G. omesso di informare correttamente sullo svolgimento del mandato e di adempiere il mandato stesso ricevuto dalla gig.ra P. e nel contempo formato il falso Decreto n. 3699/E/2011 apparentemente rilasciato dal Tribunale per i Minorenni di Milano relativamente al minore Sa.Fr.Ro..

c) Violazione degli artt. 9, 11, 12, art. 26, comma 3, art. 27, comma 6 e art. 30, commi 1, 2 e 4 del CDF vigente per avere l’avv. B.G. omesso di informare correttamente sullo svolgimento del mandato e di adempiere il mandato stesso ricevuto dal sig. S.G. ed alterato l’assegno portante la somma di Euro 1.239,50 modificando il nome dell’intestatario da G.M.L. a B.G., appropriandosi così della somm(a) di Euro 1.239,50 incassando l’assegno sopra descritto e di cui aveva il possesso in quanto a lui consegnato da S.G. affinchè l’avv. B. lo consegnasse alla sig.ra G.M.L. a titolo di canone annuale per l’affitto di un box”.

Il procedimento disciplinare venne sospeso per la pendenza del procedimento penale – conclusosi con la sentenza, emessa dal Tribunale di Torino, di condanna dell’avv. B. a un anno e un mese di reclusione nonchè al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite (Euro 2.000,00, in favore della P.; Euro 2.000,00 in favore dell’ A. ed Euro 3.239,50 in favore dello S.), essendone stata accertata la responsabilità per i reati ascritti – e venne successivamente riavviato.

All’esito dell’udienza dibattimentale del 29 settembre 2017, il CDD dichiarò l’avv. B.G. responsabile dei fatti indicati nei capi a), b) e c), rilevando che le incolpazioni elevate in sede disciplinare discendevano dagli stessi fatti per i quali il Tribunale di Torino aveva condannato il predetto alla già ricordata pena e ritenendo di condividere “pienamente le motivazioni rese in sentenza e documentalmente provate dagli atti nella disponibilità del Giudice Penale e della sezione disciplinare in relazione ai quali la sezione fa proprie le argomentazioni dei giudici di prime cure”, con la precisazione, a sostegno della decisione, che l’avv. B., sentito in sede cautelare, aveva confessato di aver incassato la somma di Euro 1.239,50 di spettanza della G. e di aver riconosciuto di doverla restituire alla stessa.

Il CDD comminò, quindi, la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per 2 anni e 6 mesi, ritenendo che, per i fatti di cui al capo c), dovesse applicarsi l’aggravante prevista dall’art. 22, comma 2, lett. c) del CDF, tenuto conto delle modalità dei fatti e della capacità delittuosa dimostrata.

Tale decisione vene impugnata dall’avv. B. dinanzi CNF che, con sentenza n. 137/2019, depositata il 16 novembre 2019, ridusse la sanzione disciplinare alla misura di 2 anni di sospensione dall’esercizio della professione.

Avverso la sentenza del CNF l’avv. B. ha proposto ricorso a queste Sezioni Unite basato su quattro motivi.

Nessuno dei soggetti intimati ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, lamentando “Violazione di legge in riferimento all’art. R.D. n. 37 del 1934, art. 64 e di conformità di una copia all’originale” (così testualmente), il ricorrente sostiene che la copia della sentenza notificatagli è “una copia fotostatica all’originale, analogica e non digitale e riporta a margine di ogni pagina la firma del presidente e del segretario, tranne che all’ultima pagina, dove le firme sono sostituite da un laconico “F.to avv….”” e, rilevato che “la pagina 12 dell’impugnata sentenza a differenza delle precedenti non è una copia fotostatica della stessa, ma una copia analogica di stampa”, assume che “in tale maniera, la parte non è in grado di verificare se le firme qui ivi mancanti siano in realtà presenti sull’originale, nè può verificare se la loro esistenza e conformità a quelle delle pagine precedenti. In tale maniera vi è anche una violazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 64, la dove la certificazione attesta che questa copia è conforme a quella originale e come tale senza espressa firma del presidente e segretario” (così testualmente).

Sostiene il ricorrente che sussisterebbe, nella specie, una violazione del diritto della parte alla verifica della conformità dell’atto, che ne determinerebbe la nullità anche ai fini della notifica e non potrebbe esplicare effetti nè con riferimento all’applicazione della sanzione nè con riferimento ai termini dell’impugnazione.

1.1. Il motivo è infondato alla luce del principio affermato da queste S.U. con la sentenza 20/05/2014, n. 11024, secondo cui, “in materia di decisioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, qualora la conformità all’originale della copia notificata della sentenza risulti attestata dal consigliere segretario recando, con la dicitura “firmato”, l’indicazione a stampa del nome e del cognome del presidente e del segretario, tale formulazione della copia non è idonea a dimostrare la mancanza della sottoscrizione dell’originale asseverando, anzi, il contrario”.

Nè la circostanza che l’ultima pagina non sia una fotocopia dell’originale firmato è ostativa a tale conclusione, proprio per l’esistenza, nella specie, di una siffatta asseverazione.

E’ pur vero che questa Corte ha pure precisato che “In materia di decisioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, qualora, nella copia allegata al ricorso per cassazione, la conformità della decisione all’originale sia stata attestata recando, con la dicitura “firmato”, l’indicazione a stampa del nome e del cognome del presidente e del segretario, tale formulazione non è idonea a dimostrare la mancanza della sottoscrizione sull’originale dell’atto, che l’apposizione di detta dicitura lascia presumere, ma la parte può dimostrarne la mancanza prendendo visione dell’originale e facendosi rilasciare specifica attestazione, da depositarsi ai sensi dell’art. 372 c.p.c.” (Cass., sez. un., 24/07/2009, n. 17357). Tuttavia, non risulta che il ricorrente abbia provveduto a tanto, sicchè non sussiste la lamentata nullità della notifica della sentenza impugnata.

2. Con il secondo motivo, rubricato “Eccesso di potere per motivazione e violazione di legge, L. n. 247 del 2012, artt. 34 e 35 e art. 112 c.p.c.” (così testualmente), il ricorrente rappresenta di aver lamentato, con il primo motivo di doglianza, che la motivazione del CDD in relazione ai capi di incolpazione a) e b) fosse inesistente, essendosi limitato il CDD a richiamare per relationem la decisione del Tribunale di Torino senza riportarne la motivazione, e sostiene che il CNF, violando le norme richiamate in rubrica e incorrendo in eccesso di potere, nella sentenza impugnata in questa sede, avrebbe non integrato ma riscritto totalmente la motivazione della decisione di prime cure, così sostituendosi al CDD e sanando un vizio evidente.

2.1. Il motivo è infondato.

E’ pur vero che il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, sancito in via generale dall’art. 112 c.p.c., trova applicazione anche nei procedimenti in materia disciplinare innanzi al Consiglio Nazionale Forense (Cass., sez. un., 5/12/1977, n. 5262; Cass., sez. un., 1/02/1999, n. 17), sicchè non è consentito al Consiglio stesso prendere in esame questioni che non siano state ad esso proposte ed annullare il provvedimento in base a vizi che il ricorrente non abbia denunciato (Cass., sez. un., 11/04/2003, n. 5715). Tuttavia, ben può il CNF, nel confermare la sentenza di primo grado, quanto al giudizio di colpevolezza dell’incolpato, integrare la motivazione di prime cure, senza violare il principio del contraddittorio, anche d’ufficio, purchè tale integrazione sia radicata nelle risultanze acquisite al processo e sia contenuta entro i limiti del “devolutum”, quali risultanti dall’atto di impugnazione.

Nella specie, il CNF, in virtù delle espressamente richiamate “prerogative postulate dalla natura di giudice (anche del merito)” si è limitato a esplicitare la “scarna” motivazione per relationem del provvedimento del CDD, che aveva fatto proprie le argomentazioni espresse dal Tribunale penale di Torino, a sostegno della condanna comminata, e ha correttamente e sostanzialmente evidenziato che: a) il CDD ha fatto proprio “l’ampio compendio istruttorio acquisito dal Tribunale penale di Torino”, ritualmente acquisito al processo disciplinare, nel rispetto delle regole sul contraddittorio; b) la prova formata in un diverso processo acquisisce il rango di “prova atipica” e la sua ammissibilità – salva ed impregiudicata l’applicazione di regole speciali ed espresse sull’utilizzabilità (che non operano nel procedimento disciplinare in esame, come questo Collegio osserva) dipende solo dalle regole sul contraddittorio dettate per il processo in cui la si vuole introdurre, nel rispetto dei diritti che in quel medesimo processo hanno le parti di produrle e di contrastarne le risultanze (Cass., sez. un., 2/12/2016, n. 24647, in motivazione); c) in sede disciplinare, l’incolpato non ha avanzato “richieste istruttorie volte a confutare il complessivo prodotto istruttorio formato in sede penale (e sostenuto da una duplice delibazione di merito conforme)”.

A quanto precede va aggiunto che le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi a queste Sezioni Unite, ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 36 (e, in precedenza, ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 3), soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonchè, ai sensi dell’art. 111 Cost., per vizio di motivazione, con la conseguenza che, salva l’ipotesi di sviamento di potere, in cui il potere disciplinare sia usato per un fine diverso rispetto a quello per il quale è stato conferito, l’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua gravità ai fini della concreta individuazione della condotta costituente illecito disciplinare e della valutazione dell’adeguatezza della sanzione irrogata non possono essere oggetto del controllo di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza (Cass., sez. un., 31/07/2018, n. 20344).

3. Con il terzo motivo si denuncia “Violazione di legge – della L. n. 247 del 2012, art. 54 e eccesso di potere e violazione delle prerogative giurisdizionali L. n. 247 del 2012, ex artt. 35 e 36 e del R.D. n. 37 del 1934, artt. 59 a 65 e mancanza di motivazione”.

Sostiene il ricorrente che erroneamente il CNF, come già il CDD di Torino, si sarebbe limitato ad accogliere le risultanze del procedimento penale senza alcuna ulteriore valutazione critica e senza valutare i fatti alla luce delle norme deontologiche.

3.1. Il motivo va disatteso.

Anzitutto va evidenziato che, in relazione a tutti gli illeciti disciplinari ascritti e per i quali la decisione impugnata ha confermato il giudizio di colpevolezza, il ricorrente lamenta “violazione di legge per mancanza di motivazione circa la violazione disciplinare” (v. ricorso pp. 17, 19 e 23), sicchè, nella specie, si è di fronte ad una inammissibile commistione dei diversi profili di violazione di legge e di vizi motivazionali.

3.2. In aggiunta a quanto precede, in relazione ai denunciati vizi motivazionali, deve rilevarsi che il presente ricorso è, ratione temporis, soggetto all’applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, e che, in relazione a tale modificazione, queste Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare il principio – che si applica anche al procedimento disciplinare (v. Cass., sez. un., 25/07/2016, n. 15287; Cass., sez. un., 20/09/2016, n. 18395) – secondo cui “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; sicchè è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., S.U., nn. 8053, 8054 e 19881 del 2014)”.

Orbene, emerge con chiarezza che la sentenza impugnata non è affetta da una siffatta anomalia motivazionale, risultando la decisione del CFN motivata in relazione alla sussistenza dei contestati illeciti disciplinari (v. sentenza impugnata p. p. 7, quanto al capo di incolpazione sub c), p. 9, quanto al capo di incolpazione sub a), p. 10, quanto al capo di incolpazione sub b)).

3.3. Con riferimento alle denunciate violazioni di legge, va comunque evidenziato che, contrariamente all’assunto del ricorrente, il giudice disciplinare ha autonomamente valutato i fatti in questione e ne ha evidenziato la valenza ai fini disciplinari.

Deve, infine, ribadirsi che: “Le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite della S.C., ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 3 (v., ora, della L. n. 247 del 2012, art. 36) soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonchè, ai sensi dell’art. 111 Cost., per vizio di motivazione, con la conseguenza che, salva l’ipotesi di sviamento di potere, in cui il potere disciplinare sia usato per un fine diverso rispetto a quello per il quale è stato conferito, l’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua gravità ai fini della concreta individuazione della condotta costituente illecito disciplinare e della valutazione dell’adeguatezza della sanzione irrogata non può essere oggetto del controllo di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza” (Cass., sez. un., 31/07/2018, n. 20344; Cass., sez. un., 2/12/2016, n. 24647).

4. Con il quarto motivo si denuncia “violazione di legge L. n. 247 del 2012, art. 54 e contraddittorietà della motivazione”.

Assume il ricorrente che il CNF avrebbe violato la legge e contraddetto la sua sentenza laddove ha rigettato la richiesta di sospensione del procedimento mentre, a suo avviso, il procedimento avrebbe dovuto essere sospeso sino alla definizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado penale ed invoca al riguardo la norma di cui alla L. n. 247 del 2012, art. 54.

4.1. Il motivo va disatteso.

4.2. Risulta evidente che il CNF, sia pure implicitamente, non ha ritenuto indispensabile ulteriormente acquisire “atti e notizie appartenenti al processo penale”, essendosi già provveduto a tanto con la sospensione disposta in prime cure, ed ha correttamente fatto riferimento – richiamando giurisprudenza di legittimità sul punto – al principio dell’autonomia della valutazione disciplinare rispetto a quella effettuata dall’autorità giudiziaria, atteso che gli stessi fatti irrilevanti in sede penale possono, invece, esser idonei a ledere i principi della deontologia professionale e dar luogo, pertanto, a responsabilità disciplinare (arg. ex Cass. 15/11/2000, n. 14810, richiamata nella sentenza del CNF,e conf. 29/05/2003, n. 8639).

Le doglianze proposte circa il mancato accoglimento dell’istanza di sospensione non colgono specificamente tale ratio decidendi della sentenza impugnata in questa sede, con conseguente inammissibilità, sotto tale profilo, delle stesse.

4.3. Inoltre, non sussiste alcuna insanabile contraddittorietà nella motivazione della sentenza impugnata, atteso che in tale sentenza si dà meramente atto della già intervenuta sospensione – “per la pendenza del procedimento penale” – del giudizio disciplinare poi riavviato.

5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

6. Il rigetto del ricorso assorbe l’esame della richiesta di sospensiva degli effetti della sentenza impugnata.

7. Non vi è luogo a provvedere per le spese del presente giudizio, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.

8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

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