Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28175 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/12/2020, (ud. 17/11/2020, dep. 10/12/2020), n.28175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8571/14 R.G. proposto da:

M.A., rappresentato e difeso, per procura in calce al

ricorso, dagli avv.ti Nino Scripelliti, Elena Bellandi e Ornella

Manfredini, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima,

in Roma, via G. Avezzana, n. 1, int. 3;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Toscana n. 93/05/13 depositata in data 24 settembre 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 novembre

2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate emetteva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), avviso di accertamento nei confronti di M.A., esercente l’attività di tassista in Firenze, rideterminando, per l’anno 2005, il reddito ai fini IRPEF e IRAP, avendo rilevato gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati.

2. Impugnato l’atto impositivo dal contribuente, che deduceva la mancanza di presunzioni qualificate, in presenza di scritture contabili regolarmente tenute, la Commissione tributaria provinciale di Firenze rigettava il ricorso con sentenza che veniva impugnata dinanzi alla Commissione tributaria regionale.

3. I giudici di appello, accogliendo parzialmente il gravame, riducevano il reddito accertato nella misura del 30 per cento.

Rilevata la legittimità dell’accertamento analitico induttivo, ritenevano che l’Amministrazione finanziaria avesse fornito ampio riscontro dell’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dai dati risultanti dallo svolgimento del servizio (quali i giorni di attività, l’orario medio, i chilometri percorsi dal mezzo di servizio, i rifornimenti di benzina); sulla base di tali dati il compenso medio derivante dall’applicazione dei ricavi dichiarati risultava irrisorio ed economicamente non realistico, tenuto conto anche degli studi realizzati dal Comune di Firenze.

Osservavano, tuttavia, che l’Ufficio, nel determinare i ricavi, aveva applicato i compensi medi chilometrici basati su corse brevi, non tenendo conto che nelle corse medio lunghe i compensi medi si riducevano e non considerando i chilometri percorsi a vuoto, ed aveva applicato una riduzione forfettaria del 20 per cento del tutto esigua; ritenevano, pertanto, più rispondente alle reali condizioni dell’attività svolta dal contribuente apportare una decurtazione ai ricavi accertati nella misura percentuale del 30 per cento, confermando nel resto la sentenza impugnata.

4. Ricorre per la cassazione della suddetta decisione M.A., affidandosi a cinque motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. a mezzo di PEC.

Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate che propone anche ricorso incidentale, con un unico motivo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente, si rende necessario valutare l’ammissibilità della memoria illustrativa ex art. 380-bis.1 c.p.c., tramessa dal difensore del ricorrente a mezzo posta elettronica certificata e pervenuta all’indirizzo PEC di questa Sezione in data 6 novembre 2020, allorquando non era più operante il Protocollo d’intesa del 9 aprile 2020, sottoscritto tra la Corte di Cassazione ed il Consiglio Nazionale dell’Ordine forense, che ha esaurito i suoi effetti in data 31 luglio 2020.

1.1. La questione riveste particolare rilevanza perchè il processo telematico non è stato ancora esteso dal legislatore al giudizio di cassazione, che è tuttora un processo analogico, con la sola eccezione delle comunicazioni e notificazioni a cura della Cancelleria D.L. n. 179 del 2012 ex art. 16, convertito dalla L. n. 221 del 2012.

Tale impedimento – transitorio – ha indotto la giurisprudenza di legittimità a esaminare, con diverse interpretazioni, il tema della legittimità della trasmissione con mezzi diversi, da parte dei difensori, di atti che devono essere depositati nell’ufficio del giudice.

1.2. Con particolare riguardo alla presentazione delle memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c., questa Corte, con diverse pronunce (Cass., sez. 6-3, 19/01/2017, n. 1349; Cass., sez. 6-3, 7/02/2017, n. 3264 e Cass. sez. 6-2, 3/03/2017, n. 5460), ha ritenuto irrituale il deposito delle memorie trasmesse a mezzo PEC.

Nella stessa linea, è stato affermato che “In tema di giudizio di cassazione, il rispetto del termine per il deposito delle memorie scritte di parte deve essere verificato con riguardo al momento in cui le stesse pervengono in cancelleria, e non a quello in cui sono spedite, non essedo applicabili le modalità di spedizione previste, in via eccezionale, solo per il ricorso ed il controricorso, atteso che non sono ancora operative, per il giudizio di legittimità, le norme relative al cd. processo telematico e che, pertanto, deve essere assicurato il diritto della controparte di prenderne visione entro un tempo ragionevole” (Cass., sez. 6-3, 10/08/2017, n. 19988).

Si è, in particolare, spiegato che l’art. 134 disp. att. c.p.c., comma 5, a norma del quale il deposito del ricorso e del controricorso, nei casi in cui sono spediti a mezzo posta, si ha per avvenuto nel giorno della spedizione, non è applicabile per analogia al deposito della memoria ex art. 378 c.p.c., poichè questo ultimo termine è diretto esclusivamente ad assicurare al giudice e alle altre parti la possibilità di prendere cognizione dell’atto con il congruo anticipo, rispetto all’udienza di discussione, ritenuto necessario dal legislatore (Cass., sez. 1, 5/03/2019, n. 6386) e che l’applicazione del citato art. 134 finirebbe con il ridurre, se non con l’annullare, con lesione del diritto di difesa delle controparti (Cass., sez. 2, 19/04/2016, n. 7704).

In applicazione del medesimo principio, questa Corte ha affermato che le memorie ex art. 380-bis 1 c.p.c., se depositate a mezzo posta, vanno dichiarate inammissibili ed il loro contenuto non può essere preso in considerazione, non essendo applicabile per analogia il disposto dell’art. 134 disp. att. c.p.c., comma 5 (Cass., sez. 1, 27/04/2020, n. 8216; Cass., sez. 6-3, 27/11/2019, 31041; Cass., sez. 2, 19/04/2016, n. 7704).

1.3. Le argomentazioni che sorreggono le pronunce sopra richiamate perdono consistenza nel caso di trasmissione della memoria a mezzo PEC, in ragione della sostanziale contiguità cronologica tra la spedizione del messaggio e la consegna telematica e tenuto conto che la diversa modalità di deposito non impedisce che l’atto, seppure pervenuto presso la Cancelleria con modalità diverse dal deposito cartaceo, possa essere preso in considerazione dal Collegio se posto alla sua attenzione.

Infatti, qualora il file, munito di certificazioni informatiche e proveniente dall’indirizzo indicato dal difensore in sede di costituzione, sia stato regolarmente ricevuto, stampato ed inserito nel fascicolo d’ufficio a disposizione del Collegio e delle altre parti, risulta pienamente garantito il diritto di prendere cognizione del contenuto della memoria entro un tempo ragionevole, dovendo in ogni caso, ai fini della sua tempestività, aversi riguardo esclusivamente alla data di ricezione del documento da parte della Cancelleria.

1.4. Tale conclusione risulta rafforzata dalla considerazione che, per espressa previsione di legge (abrogato D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 48, e ora vigente medesimo D.Lgs., art. 6, comma 1), la posta elettronica certificata viene equiparata alla raccomandata con ricevuta di ritorno. L’equivalenza trova ragione nel fatto che la PEC offre le medesime certezze della raccomandata in ordine all’identificazione del mittente e all’avvenuta ricezione dell’atto, documentabile, nel caso della PEC, attraverso la produzione del rapporto di consegna al destinatario e della ricevuta di accettazione.

1.5. Anche in sede penale, d’altro canto, sebbene resti fermo l’orientamento prevalente secondo il quale nel processo penale non è consentito alla parte privata l’uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti nè per il deposito presso gli uffici, perchè l’utilizzo di tale strumento informatico – ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 – è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 c.p.p. e per le notificazioni ai difensori disposte dall’autorità giudiziaria (Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo), altra parte della giurisprudenza penale ha affermato che le istanze irritualmente pervenute con modalità diverse dal deposito ex art. 121 c.p.p. “possono essere prese in considerazione dal giudice se poste alla sua attenzione” (Sez. 6, n. 2951 del 25/09/2019, dep. 2020, Di Russo, relativa ad istanza di rinvio per legittimo impedimento avanzata a mezzo PEC dal difensore di fiducia dell’imputato; Sez. 2, n. 47427 del 7/11/2014, Pigionanti).

1.6. Per l’ammissibilità del deposito irrituale della memoria a mezzo posta elettronica certificata depone, d’altro canto, il principio cardine di strumentalità delle forme, desumibile dal combinato disposto degli artt. 121 e 156 c.p.c. (Cass., Sez. U, 3/11/2011, n. 22726; Cass., sez. U, 18/04/2016; n. 7665; Cass., sez. 2, 12/05/2016, n. 9772), siccome prescritte dalla legge non per la realizzazione di un valore in sè o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma in quanto strumento più idoneo per la realizzazione di un certo risultato, il quale si pone come il traguardo che la norma disciplinante la forma dell’atto intende conseguire; con conseguente irrilevanza della eventuale inosservanza della prescrizione formale se l’atto viziato ha comunque raggiunto lo scopo cui è destinato.

E’ stato, infatti, rilevato “che l’applicazione di tale principio consente di effettuare un ragionevole bilanciamento dei molteplici principi e valori in gioco che sono immanenti al “giusto processo” e non possono certamente essere recessivi rispetto alle forme e modalità con le quali viene configurato il processo da parte del legislatore nell’esercizio dell’ampia discrezionalità che gli compete in materia” (Corte Cost., sentenze n. 216 del 2013 e n. 243 del 2014).

Muovendosi in tale prospettiva, le Sezioni Unite di questa Corte, esaminando una ipotesi di deposito irrituale, avvenuto attraverso l’invio a mezzo posta dell’atto processuale destinato alla cancelleria al di fuori delle ipotesi speciali in cui tale modalità è consentita, con la sentenza del 4 marzo 2009, n. 5160, sono giunte alla conclusione che l’attestazione da parte del cancelliere del ricevimento degli atti e del loro inserimento nel fascicolo processuale integrano il raggiungimento dello scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e che, in tal caso, la sanatoria si produce dalla data di ricezione dell’atto da parte del cancelliere ai fini processuali, e in nessun caso da quello di spedizione (in senso conforme, Cass., sez. 1, 17/06/2015, n. 12509)

1.7. Alla stregua delle considerazioni che precedono, può dunque ritenersi che la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., tempestivamente consegnata alla cancelleria di questa sezione a mezzo di PEC proveniente dall’indirizzo indicato dal difensore del ricorrente in sede di costituzione, costituisce difesa utilizzabile e può essere legittimamente esaminata da questo Collegio, essendo stato il relativo file regolarmente ricevuto, stampato e inserito dal cancelliere nel fascicolo d’ufficio.

2. Con il primo motivo del ricorso principale – rubricato “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697,2727,2729 c.c. e della L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” – il contribuente lamenta che la decisione impugnata non tiene conto, ai fini di una corretta distribuzione dell’onere della prova, del fatto che i ricavi dichiarati erano congrui e coerenti rispetto allo studio di settore per l’anno in contestazione e che, pertanto, sussisteva, in suo favore, una presunzione di normalità reddituale, per superare la quale l’Amministrazione avrebbe dovuto dare prova di una situazione economica del contribuente diversa da quella dichiarata.

La prova delle presunte incongruenze legittimanti l’accertamento ed i maggiori redditi non poteva essere data utilizzando medie di settore, che non costituivano “fatto noto” dal quale poter inferire, con giudizio critico, quello ignoto da provare, ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, come tali non idonei ad integrare prova per presunzioni.

3. Con il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, rilevando che i giudici di secondo grado, sia pure procedendo ad una riduzione percentuale del reddito accertato, hanno ritenuto erroneamente valido l’avviso di accertamento impugnato, sebbene non fosse stata rispettata la prescrizione che impone di allegare gli atti nello stesso richiamati.

Dalla motivazione dell’atto impositivo si evinceva che la percorrenza della corsa media era stata individuata sulla base di presunti accordi intercorsi tra il Comune di Firenze e le associazioni di categoria per la revisione del Tariffario 2007 e di un comunicato stampa del Comune di Firenze del 13 febbraio 2007, riportato da alcuni quotidiani locali, e che il cd. costo medio era stato individuato sulla base del piano tariffario comunale per il 2005, ma tali atti, da cui scaturiva l’accertamento, non risultavano allegati.

4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia motivazione insufficiente e/o meramente apparente in merito ai presupposti dell’accertamento analitico-induttivo D.L. n. 331 del 1993 ex art. 62-sexies, convertito dalla L. n. 427 del 1993 o, comunque, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e si duole che la Commissione regionale, a sostegno della decisione, ha fatto un generico richiamo, tra parentesi, agli elementi fondanti dell’accertamento, omettendo di chiarire le ragioni per le quali li ha ritenuti prevalenti a fronte delle ulteriori deduzioni difensive svolte, ed ha, poi, nel successivo passaggio logico-giuridico, affermato che il compenso medio derivante dall’applicazione dei ricavi dichiarati dal tassista risulterebbe irrisorio “sulla base anche degli studi realizzati dal Comune di Firenze”, nonostante avesse fatto presente in primo grado che il Comune aveva dichiarato espressamente di non avere effettuato uno studio sulle percorrenze medie dei tassisti.

I giudici di merito, ad avviso del ricorrente, hanno invece trascurato di considerare che i numerosi elementi presuntivi utilizzati dall’Ufficio, quali la resa chilometrica, il turno di lavoro, le corse in convenzione, non presentavano, se adeguatamente valutati alla luce delle risultanze di causa e della normativa di settore, i requisiti della gravità, precisione e concordanza richiesti. A tal fine ribadisce di avere evidenziato: a) l’impossibilità di assumere le fatture delle corse in convenzione come efficace parametro di valutazione, considerato che si trattava di un campione molto limitato e, quindi, non significativo; b) l’impossibilità di rapportare i corrispettivi del tassista – giudicati esigui dall’accertamento ad un impegno lavorativo giornaliero di dodici o di otto ore; c) l’utilizzo della vettura per il servizio taxi e anche per uso privato e l’assenza di strumentazione di bordo che consentisse di distinguere i chilometri percorsi per l’uno e l’altro utilizzo; d) l’irrilevanza del confronto tra il costo a chilometro esposto nel tariffario comunale e la cd. resa chilometrica del tassista, che includeva necessariamente i chilometri “a vuoto” e costituiva, pertanto, un valore inevitabilmente più basso del costo a chilometro per il cliente, come previsto dal tariffario. La sentenza impugnata non aveva preso in minima considerazione tutte le eccezioni sopra sollevate volte a sottolineare l’inesistenza di “gravi incongruenze” e, dunque, l’insussistenza dei presupposti legittimanti l’accertamento analitico-induttivo, pur trattandosi di argomenti relativi a punti rilevanti e decisivi.

5. Con il quarto motivo, rubricato “motivazione insufficiente e illogica su punti decisivi della controversia (o, in ipotesi di applicazione anche al contenzioso tributario della riforma ex D.L. n. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, la “corsa media”, il “costo medio”, la “percorrenza annua” ed il loro fondamento probatorio. Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″.

Premettendo che i parametri utilizzati per il calcolo contenuto nell’avviso di accertamento sono la corsa media, la percorrenza chilometrica annua dichiarata dal tassista nello studio di settore ed il costo medio, stimato dall’Ufficio in Euro 6,93, e che tutti e tre i fattori hanno formato oggetto di dibattito tra le parti, il ricorrente pone in rilievo che la C.T.R., pur mostrando una minima valutazione degli elementi della percorrenza chilometrica annua e del costo medio, ha del tutto omesso di considerare l’elemento della “corsa media”, pur costituendo tale dato valore determinante ai fini della ricostruzione induttiva dei redditi e, quindi, fatto decisivo della controversia.

Precisa, al riguardo, che il dato della “corsa media” utilizzato dall’Ufficio si fonda soltanto sul contenuto del comunicato stampa del Comune di Firenze, riportato da alcuni quotidiani, che avevano diramato la notizia dell’avvenuta approvazione, da parte della Giunta comunale, di un nuovo sistema tariffario, per l’anno 2007, del servizio taxi; dalla documentazione prodotta nel giudizio di primo grado si evinceva, al contrario, che il Comune di Firenze non aveva mai condotto una indagine finalizzata al calcolo della percorrenza media delle corse dei taxi.

La decisione impugnata aveva altresì omesso di considerare che neppure la percorrenza annua complessiva, il numero delle corse annue ed il costo medio potevano considerarsi dati oggettivi, poichè nessuna conferma di tali dati poteva essere tratta dalle risultanze istruttorie.

6. Con il quinto motivo censura la decisione per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e degli artt. 2727 e 2729 c.c., sostenendo che i dati su cui si fonda la deduzione presuntiva dei ricavi non costituiscono presunzioni gravi, precise e concordanti idonee a contrastare la congruità dei dati dichiarati allo studio di settore.

7. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, la difesa erariale deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere i giudici di appello ridotto in modo forfettario i ricavi accertati, senza tenere conto che lo stesso contribuente nello studio di settore aveva dichiarato di avere percorso durante l’anno 40.000 chilometri, mentre dalle schede carburante ne risultavano 50.000, e che nella motivazione dell’avviso di accertamento erano stati già presi in considerazione i chilometri percorsi a vuoto e quelli percorsi per uso promiscuo e non erano stati applicati i supplementi per le corse dall’aeroporto.

8. Il secondo motivo del ricorso principale, che va esaminato con priorità, è inammissibile.

Invero, il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non ha indicato in quale parte del ricorso introduttivo fosse contenuta tale doglianza.

Nell’illustrare lo svolgimento del giudizio di primo grado e le contestazioni sollevate avverso l’atto impugnato, a pag. 20 del ricorso per cassazione lo stesso ricorrente evidenzia di avere dedotto che l’Ufficio era pervenuto alla determinazione della percorrenza di una corsa media di taxi basandosi, secondo quanto indicato nell’avviso di accertamento, su accordi intercorsi tra il Comune di Firenze e le associazioni di categoria, nonchè sul contenuto di un comunicato stampa e che, al fine di contrastare tale assunto e dimostrare l’inesistenza di tali accordi, aveva prodotto dinanzi alla C.T.P. alcuni documenti dai quali si evinceva che il Comune di Firenze non aveva mai elaborato un calcolo o una indagine volta a stimare la percorrenza media di una corsa a Firenze.

Sebbene sia stata sollevata una doglianza sul merito della ripresa a tassazione fondata sui documenti richiamati nell’avviso di accertamento, non risulta, tuttavia, dalla sentenza impugnata che il ricorrente abbia prospettato con il ricorso introduttivo la specifica questione in termini di vizio di motivazione dell’avviso di accertamento per mancata allegazione dei documenti fondanti la pretesa tributaria, con la conseguenza che il mezzo articolato in questa sede è inammissibile.

9. Il terzo ed il quarto motivo sono fondati nei termini che si espongono, con assorbimento dei restanti motivi del ricorso principale.

Il ricorrente lamenta che la C.T.R., nonostante le critiche sollevate sul punto nel corso del giudizio di merito, non avrebbe considerato che il dato relativo alla lunghezza di una “corsa media” del taxi (ritenuta dall’Ufficio pari a 3,2 km nell’atto impositivo), adottato dall’Amministrazione come parametro ai fini della ricostruzione del reddito, non deriva da una indagine statistica svolta dal Comune di Firenze, ma piuttosto da un comunicato stampa dell’Ente, riportato da alcuni quotidiani locali, che si riferisce alla presentazione pubblica del tariffario dei taxi, relativo all’anno 2007, fatto di per sè non idoneo a suffragare la ricostruzione induttiva dei ricavi operata dall’Ufficio.

Sottolinea la decisività di tale dato, che è stato utilizzato nell’avviso di accertamento sia per determinare il numero delle corse presuntivamente effettuate nel corso dell’anno d’imposta in contestazione – ottenuto dividendo i chilometri dichiarati nello studio di settore, come percorsi in quell’anno per lo svolgimento dell’attività, per la percorrenza attribuita ad una corsa media, pari a 3,2 km – sia per quantificare il costo della “corsa media”.

Al fine di dimostrare l’inattendibilità del dato emergente dall’atto impositivo, richiama l’avvenuta produzione nel giudizio di primo grado di una nota informativa redatta dalla Guardia di Finanza che, in risposta ad una richiesta formulata dalla Commissione provinciale di Firenze nell’ambito di diversa controversia tributaria, all’esito di un accesso, ha accertato che “non esiste negli archivi del Comune di Firenze un vero e proprio studio inerente alla percorrenza delle corse dei taxi, ma solo una indagine condotta in via empirica allo scopo di costituire una base di riferimento per la trattativa delle tariffe da applicare con i rappresentanti delle cooperative dei tassisti operanti sul territorio”.

La C.T.R., a fronte delle specifiche contestazioni rivolte dal contribuente alla fonte utilizzata dall’Ufficio per la determinazione della “corsa media” e della produzione documentale offerta nel giudizio di merito – nuovamente prodotta unitamente al ricorso per cassazione – ha implicitamente respinto le critiche del contribuente, rilevando che sulla base dei dati emergenti dall’avviso di accertamento, “il compenso medio derivante dall’applicazione dei ricavi dichiarati risulterebbe irrisorio ed economicamente non realistico, sulla base anche degli studi realizzati dal Comune di Firenze, così come il reddito dichiarato che deriva dall’applicazione di tali ricavi”.

Le argomentazioni svolte evidenziano che la C.T.R. ha completamente omesso di accertare la percorrenza media delle corse, aderendo acriticamente ai dati assunti dall’Amministrazione nell’accertamento, ritenuti attendibili, e facendo espresso riferimento ad uno studio realizzato dal Comune di Firenze, desunto da un comunicato stampa, di cui il contribuente ha negato la validità producendo documentazione comprovante l’inesistenza di una indagine di tal genere condotta dall’Ente territoriale.

Nel confermare, seppure parzialmente, l’atto impositivo, i giudici di appello hanno, quindi, fatto ricorso ad un ragionamento presuntivo che ha omesso ogni verifica della gravità e concordanza degli elementi indiziari con riferimento alla percorrenza della “corsa media”, dando per scontata l’attendibilità del dato richiamato nell’atto impositivo, incorrendo in tal modo non solo nel vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere omesso di verificare un fatto decisivo e rilevante ai fini della ricostruzione del maggior reddito accertato rispetto a quello dichiarato dal contribuente -ossia se la percorrenza media delle corse in taxi equivale a quella assunta dall’Amministrazione nell’accertamento – ma anche nella violazione delle regole che devono caratterizzare il giudizio in tema di valutazione della prova presuntiva.

Questa Corte ha già affermato in fattispecie analoghe al caso di specie, concernenti accertamenti a carico di tassisti fiorentini, che “la mera provenienza del dato dall’ente territoriale – e tanto più, come nel caso di specie, non da un provvedimento di quest’ultimo, ma da un suo informale comunicato stampa – non equivale di per sè ad elemento che ne conforti l’attendibilità..”, e che tale considerazione non può mutare “per mero effetto della pubblicazione dello stesso dato, in conseguenza del comunicato, sulla stampa, in quanto si tratta di circostanza che ne presupponga il vaglio critico” (Cass., sez. 5, 16/12/2019, n. 33042; Cass., sez. 5, 2/03/2020, n. 5664; Cass., sez. 5, 19/08/2020, n. 17349).

10. Merita accoglimento anche il ricorso incidentale.

La Commissione regionale, pur avendo in premessa riconosciuto la legittimità dell’accertamento analitico induttivo del reddito effettuato dall’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), ha poi diminuito l’ammontare dei ricavi attraverso una riduzione di natura equitativa al 30 per cento.

La decisione risulta viziata in quanto il ragionamento svolto non è supportato dalla dimostrazione di fatti certi ed approda ad un risultato non consentito dall’ordinamento.

Infatti, una volta accertata la legittimità della rettifica del reddito, ai sensi dell’art. 39 citato, sulla base dell’esistenza di elementi indiziari ritenuti implicitamente gravi, precisi e concordanti, la C.T.R. non poteva procedere ad un abbattimento del reddito accertato in base ad un ragionamento di tipo equitativo, criterio del tutto irrituale ed estraneo al processo tributario.

Posto, infatti, che il processo tributario non è annoverabile tra quelli di “impugnazione – annullamento”, ma tra i processi di “impugnazione merito”, in quanto non è solo diretto alla eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’Ufficio, il giudice tributario che ritenga invalido l’avviso di accertamento non per motivi formali, ma per ragioni di carattere sostanziale relative alla determinazione del quantum imponibile o dell’imposta, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria, e, operando una motivata valutazione sostitutiva, procedere egli stesso alla esatta quantificazione della pretesa impositiva, riconducendola alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (Cass., sez. n. 17127 del 3/8/2007; Cass. n. 15825 del 12/7/2006).

Tale operazione di rideterminazione del reddito o dell’entità del tributo non può, tuttavia avvenire sulla base di un inesistente potere di equità sostitutiva, ma, in applicazione della regola generale della pronuncia secondo diritto, deve essere suffragata da una motivazione che contenga la chiara esposizione delle circostanze di fatto, desunte dal materiale probatorio agli atti, e delle ragioni di diritto poste alla base della rideterminazione dell’imponibile (Cass., sez. 5, 17/04/2019, n. 10658; Cass., sez. 5, 24/09/2019, n. 23714; Cass., sez. 5, 28/06/2016, n. 13294).

Infatti, per univoco orientamento di questa Corte, il ricorso ad un ragionamento di tipo equitativo non è consentito al giudice tributario che non ha poteri di equità sostitutiva, dovendo il giudizio estimativo essere motivato in rapporto al materiale istruttorio Cass., sez. 5, 3/09/2001, n. 11354; Cass., sez. 5, 21/11/2005, n. 24520; Cass., sez. 5, 24/02/2010, n. 4442; Cass., sez. 6-5, 21/12/2015, n. 25707; Cass., sez. 3, 23/03/2018, n. 7534; Cass., sez. 5, 31/10/2018, n. 27862; Cass., sez. 5, 25/06/2019, n. 16960).

L’apprezzamento svolto dai giudici di merito, che poggia su una valutazione puramente soggettiva, si esprime attraverso una argomentazione che non consente di sapere come e perchè si sia giunti all’individuazione di quella determinata percentuale di abbattimento (pari al 30 per cento) piuttosto che ad ud un’altra maggiore o minore, nè se la valutazione operata tenga conto di tutte le doglianze esposte dalla parte contribuente, analiticamente richiamate nel ricorso per cassazione.

11. La sentenza va, pertanto, cassata con rinvio alla competente Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, perchè proceda, in relazione alle censure accolte, a nuovo esame, oltre che alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il secondo motivo del ricorso principale; accoglie il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA