Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28171 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/12/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 10/12/2020), n.28171

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11654/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello

Stato e presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

B.G., rappresentato e difeso, giusta procura a margine del

controricorso, dall’Avv. Antonino Attanasio, elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’Avv. Ottorino Agati, in Roma, via

Porta Pertusa 4;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana n. 17/9/2011, depositata il 18 marzo 2011;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 settembre

2020 dal Consigliere D’Orazio Luigi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Commissione tributaria regionale della Toscana accoglieva l’appello proposto da B.G., esercente la professione di taxi a Firenze, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Firenze, che aveva respinto il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento emesso, con il metodo analitico-induttivo, nei suoi confronti per l’anno 2004. In particolare, il giudice di appello rilevava che l’Agenzia delle entrate aveva fondato la rettifica ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, sulla base di presunzioni costituite dai chilometri percorsi nell’anno, ricavati dalle schede carburante (unico dato certo), dalla percorrenza media di Km 3,2 (desunta da presunti studi statistici provenienti dal Comune di Firenze) e dal costo relativo ad una corsa media (Euro 6,87) estrapolato dal sistema tariffario comunale; tuttavia, non vi era un studio certo ed ufficiale dell’ufficio di statistica del Comune di Firenze, nè alcun elemento affidabile diretto a determinare la percorrenza media delle corse dei taxi, come affermato dal responsabile dell’ufficio vetture pubbliche e taxi del Comune di Firenze; l’accertamento, dunque, si basava su elementi incerti ed aleatori, mentre l’unico elemento certo era la coerenza dei dati del contribuente con gli studi di settore della categoria di appartenenza.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

3. Resiste con controricorso il contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, convertito in L. n. 427 del 1993 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto laddove il giudice di appello ha affermato che l’unico elemento certo è la coerenza tra gli elementi indicati dal contribuente nella “denuncia” e gli studi di settore, e che, in ragione della sussistenza di una presunzione di normale redditività, era onere della Amministrazione fornire elementi certi ed idonei a supportare l’accertamento, non ha tenuto conto, però, della circostanza che l’Ufficio può anche disattendere le risultanze degli studi di settore, in presenza di “gravi incongruenze” risultanti dalle caratteristiche e condizioni di esercizio dell’attività svolta. Il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, infatti, prevede una modalità alternativa di rinvenimento delle “gravi incongruenze”, basata o sugli studi di settore, oppure nelle incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta. Tra l’altro, anche l’irragionevolezza della condotta del contribuente e l’abnormità delle risultanze finali, tenendo conto della esiguità del reddito dichiarato, è indice di tali incongruenze.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce anche la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, convertito in L. n. 427 del 1993, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto il giudice di appello ha ritenuto “possibile e non arbitraria” la sussistenza delle circostanze evidenziate dall’Ufficio, ma ha ritenuto trattarsi solo di presunzioni semplici, quindi soggette ad integrazione attraverso ulteriori elementi obiettivi di riscontro. Inoltre, la Commissione regionale ha pretermesso la valutazione di ulteriori circostanze evidenziate nell’accertamento. In particolare, il giudice del gravame non ha tenuto conto: delle ricevute rilasciate ai clienti del servizio “convenzionato”, con importi nettamente superiori al costo di una corsa media come indicata dall’Ufficio in via prudenziale; l’esiguità del reddito di impresa pari ad Euro 11.795,00, in contrasto con le giornate lavorative (299), orari effettuati (turni di 12 ore) e chilometri percorsi (28.000 Km dichiarati nello studio di settore a fronte di Km. 31.877 indicati nelle schede carburante), oltre che con le spese per contributi previdenziali e per previdenza complementare pari ad Euro 2.198,00; i corrispettivi giornalieri di importi eseguiti e, comunque, sempre “appiattiti” ad una cifra pressochè costante; esiguità dei costi di manutenzione del mezzo; resa chilometrica pari ad Euro 0,91, in contrasto con il tariffario comunale di Euro 0,81; resa chilometrica pari a 15,16 Km/l eccessiva tenendo conto delle condizioni di traffico di Firenze; compravendita della licenza per Euro 300/400 Euro; percorso medio di Km 3,2. Il giudice di appello con una lettura “parziale” e “frazionata” degli elementi forniti dall’Ufficio ha privato agli stessi la valenza presuntiva idonea a giustificare l’emissione dell’accertamento, qualificando quali presunzioni semplici le uniche due circostanze prese in considerazione ed affermando la necessità di ulteriori elementi di riscontro che, in realtà, erano stati forniti dalla Amministrazione.

2.1. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

2.1. Invero, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), nella versione all’epoca vigente, “per i redditi di impresa delle persone fisiche l’ufficio procede alla rettifica….d) se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’art. 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonchè dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’art. 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti”.

Inoltre, ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, “Gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e successive modificazioni, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi del presente decreto, art. 62-bis”.

2.2. Pertanto, come affermato da questa Corte (Cass., sez. 5, 6 febbraio 2009, n. 2876), l’Agenzia delle entrate prevede che gli accertamenti analitici-induttivi possano essere fondati, non solo sulla base degli studi di settore (“ovvero dagli studi di settore”), ma anche in base alle “gravi incongruenze” tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, quindi al di fuori delle ipotesi previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d). In tal caso vi è un ulteriore elemento presuntivo, di carattere legale, ammissibile anche in caso di contabilità formalmente regolare; il richiamo alla non aderenza dell’accertamento eseguito agli studi di settore non può ritenersi decisivo, in quanto l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito dei contribuenti.

Pertanto, non è corretta l’affermazione del giudice di appello, per cui “l’unico elemento certo è la coerenza tra gli elementi indicati dal contribuente nella denuncia e gli studi di settore relativi alla categoria di appartenenza dello stesso”.

2.3. In relazione alle eccezioni di inammissibilità dei due motivi sollevate dal controricorrente, si rileva che la denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. può essere, poi, prospettata sotto più profili (Cass., sez.un., 24 gennaio 2018, n. 1785). Il giudice di merito può affermare che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni che non siano gravi, precisi e concordanti, incorrendo in un errore di diretta violazione della norma. Il Giudice di merito può, poi, fondare la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto alla conseguenza ignota, sì che la censura ricade ancora nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il terzo caso è quello in cui la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito si concreta in una attività diretta solo ad evidenziare che le circostanze di fatto avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo, allegando una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice, ma in tal caso la censura impinge in un apprezzamento di merito, che riguarda la quaestio facti e si pone nel solco del vizio della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Civ., sez. un., 8053 e 8054 del 2014).

Nella fattispecie in esame, la censura della ricorrente resta nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Commissione regionale neppure ha indicato i fatti che sarebbero stati posti dall’Ufficio alla base delle presunzioni gravi, precise e concordanti, quindi, non investendo la quaestio facti in alcun modo.

In particolare, il giudice di appello si è limitato ad affermare che l’unico dato certo è costituito dai chilometri percorsi nell’anno, mentre i dati relativi alla lunghezza della corsa media (Km 3,2) ed al costo di tale corsa (Euro 6,87) sono presunzioni semplici, prive delle caratteristiche di precisioni, gravità e concordanza, sussistendo, invece, una presunzione di normale redditività derivante dagli stessi studi, con necessità della Amministrazione di fornire ulteriori elementi.

Il giudice di appello, dunque, non ha considerato tutti gli altri elementi forniti dalla Agenzia delle entrate ed in particolare: le ricevute rilasciate ai clienti del servizio “convenzionato”, con importi nettamente superiori al costo di una corsa media come indicata dall’Ufficio in via prudenziale; l’esiguità del reddito di impresa pari ad Euro 11.795,00, in contrasto con le giornate lavorative (299), orari effettuati (turni di 12 ore) e chilometri percorsi (28.000 Km dichiarato nello studio di settore a fronte di Km. 31.877 indicati nelle schede carburante), oltre che con le spese per contributi previdenziali e per previdenza complementare pari ad Euro 2.198,00; i corrispettivi giornalieri di importi esigui e, comunque, sempre “appiattiti” ad una cifra pressochè costante; esiguità dei costi di manutenzione del mezzo; resa chilometrica pari ad Euro 0,91, in contrasto con il tariffario comunale di Euro 0,81; resa chilometrica pari a 15,16 Km/l eccessiva tenendo conto delle condizioni di traffico di Firenze; compravendita della licenza per Euro 300/400 Euro.

2.4. Inoltre, a prescindere dalla rubrica della norma, il contenuto del motivo di ricorso per cassazione attiene all’omesso esame di fatti decisivi non considerati dal giudice di appello, dovendosi, peraltro, tenere conto che la sentenza è stata depositata il 18-3-2011, quando era applicabile l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11-9-2012.

3. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

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