Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2817 del 06/02/2018


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Cassazione civile, sez. I, 06/02/2018, (ud. 24/10/2017, dep.06/02/2018),  n. 2817

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. (OMISSIS) s.r.l. ((OMISSIS)) ricorre per cassazione contro la sentenza App. Roma 9.1.2012, n. 49, R.G. 57878/2010, che ha respinto il suo reclamo avverso la sentenza Trib. Roma 19.7.2010 dichiarativa del proprio fallimento, reso su istanza del creditore D.S.M.G.;

2. la corte ha preliminarmente ritenuto inammissibile la censura di difetto di giurisdizione, proposta solo all’udienza ed ai sensi dell’art. 11 Trattato Lateranense – in ragione della pretesa natura di ente ecclesiastico della società – stante il passaggio in giudicato della sentenza del tribunale contenente implicito riconoscimento della giurisdizione italiana;

3. quanto alla dedotta violazione della L. Fall., art. 15, se ne è statuita l’infondatezza essendo irrilevante la supposta negligenza della titolare dello studio professionale che, avendo ricevuto la notifica, non ne avrebbe informato l’amministratore; sul piano sostanziale, ricorrevano poi sia la legittimazione del creditore (sufficiente essendo il dispositivo della sentenza di condanna in proprio favore), sia i requisiti soggettivi (avendo mancato la debitrice di assolvere alla prova contraria e comunque essi emergendo dallo stato passivo), sia l’insolvenza (per gli inadempimenti notevoli, la non adeguatezza del capitale sociale, il mancato deposito dei bilanci dal 2003);

4. in quattro motivi, la società censura la sentenza per la omessa interruzione del processo a causa di morte del legale rappresentante, il difetto di giurisdizione, la violazione del contraddittorio, l’inesistenza dei presupposti soggettivi.

5. Ritenuto che:

6. va ribadito, nel disattendere le corrispondenti istanze, che “non sussiste alcun obbligo, nè vi sono ragioni di opportunità, perchè, all’esito dell’adunanza in camera di consiglio, il collegio rimetta la causa che preveda la trattazione di questioni rilevanti o, comunque, prive di precedenti in pubblica udienza, mediante una sorta di mutamento del rito di cui all’art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Invero, una simile soluzione sarebbe priva di costrutto, essendo la trattazione con il rito camerale pienamente rispettosa sia del diritto di difesa delle parti, le quali, tempestivamente avvisate entro un termine adeguato del giorno fissato per l’adunanza, possono esporre compiutamente i propri assunti, sia del principio del contraddittorio, anche nei confronti del P.G., sulle cui conclusioni è sempre consentito svolgere osservazioni scritte” (Cass.8869/2017);

7. il primo motivo di ricorso è inammissibile, ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, non potendosi invocare alcun effetto interruttivo del processo per l’ipotesi, rappresentata dalla reclamante e quale avvenuta nel corso di quel giudizio, di morte dell’amministratore della società (OMISSIS); va invero dato corso al principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e che non ha trovato qui contestazione con nuovi argomenti già non esaminati, per cui “la morte del legale rappresentante di un ente munito di personalità giuridica non comporta l’interruzione del processo, poichè il concetto di rappresentanza legale, richiamato dall’art. 299 c.p.c., si riferisce soltanto alla rappresentanza dei soggetti incapaci, mentre gli amministratori od i liquidatori di enti muniti di personalità giuridica sono mandatari dell’ente medesimo, in conformità di tutta la struttura e della disciplina legale del rapporto che li lega a questo, sicchè è privo di efficacia interruttiva il cambiamento della persona fisica investita della rappresentanza della società o dell’ente, sia nel caso di cambiamento della persona dell’amministratore nello stadio di vita normale dell’ente che nell’ipotesi di passaggio della rappresentanza del medesimo da un amministratore all’altro.” (Cass. 8584/1994, 10534/1998, 15735/2004);

8. la seconda censura è infondata, posto che l’eccezione del difetto di giurisdizione – sollevata dalla parte non con il reclamo ma in corso d’udienza e senza documentazione a comprova – è stata dalla corte (che ne ha comunque apprezzato il non fondamento) valutata come tardiva, poichè introdotta dopo che, sul punto, la sentenza del giudice di merito, avanti a cui la stessa eccezione non era stata sollevata, poteva dirsi passata in giudicato, in quanto non ritualmente aggredita direttamente nemmeno con l’atto di reclamo; va ribadito in tema invero “il principio sancito dalla L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 11 per il quale il difetto di giurisdizione del giudice italiano è rilevabile d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del processo, fino alla costituzione del convenuto” e ciò “implica che il convenuto contumace può eccepire il difetto di giurisdizione del giudice adito dall’attore anche nel corso del giudizio, purchè ciò faccia nella prima difesa e sempre che sulla questione di giurisdizione non si sia formato il giudicato.” (Cass. 22035/2014); va dunque escluso che non vi sia stata un’accettazione tacita della giurisdizione, in considerazione del difetto della necessaria specifica eccezione, non formulata nel primo atto difensivo possibile nel procedimento per la dichiarazione di fallimento e non riproposta subito in reclamo;

9. il terzo motivo è inammissibile, posto che la effettuazione, pacifica, della notifica del ricorso-decreto ai sensi della L. Fall., art. 15 proprio alla sede legale della società, con ritiro dell’atto, esclude ogni rilevanza – ai fini della regolarità del contraddittorio – dell’eventuale cattivo esercizio dell’incarico di consegna dell’atto stesso verso il legale rappresentante della debitrice a cura della persona che la società aveva preposto o accettato ivi fissando la propria sede;

10. il quarto motivo è inammissibile, trovando applicazione alla vicenda il principio per cui “l’onere della prova del mancato superamento dei limiti di fallibilità previsti dalla L. Fall., art. 1, comma 2, nella formulazione derivante dal D.Lgs. n. 5 del 2006, applicabile “ratione temporis”, grava sul debitore, atteso che la menzionata disposizione, anche prima delle ulteriori modifiche ad essa apportate dal D.Lgs. n. 169 del 2007, già poneva come regola generale l’assoggettamento a fallimento degli imprenditori commerciali e, come eccezione, il mancato raggiungimento dei ricordati presupposti dimensionali.” (Cass. 625/2016); mentre, quanto all’insolvenza, opera il principio per cui “nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento l’accertamento dello stato di insolvenza va compiuto con riferimento alla data della dichiarazione di fallimento, ma può fondarsi anche su fatti diversi da quelli in base ai quali il fallimento è stato dichiarato, purchè si tratti di fatti anteriori alla pronuncia, anche se conosciuti successivamente in sede di gravame e desunti da circostanze non contestate dello stato passivo.” (Cass. 10952/2015);

11. ne deriva che il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2018

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