Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28166 del 14/10/2021

Cassazione civile sez. lav., 14/10/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 14/10/2021), n.28166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20564/2017 proposto da:

S.C., ESSELUNGA S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA F. CONFALONIERI

2, presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO PARISI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MANFREDO VITALIANO

LAVIZZARI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DEL LAVORO e DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 434/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/03/2017 R.G.N. 1889/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/01/2021 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA

Mario, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis,

convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha

depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 22 marzo 2017, la Corte d’Appello di Milano chiamata a pronunziarsi sul gravame avverso la decisione resa dal Tribunale di Lecco sull’opposizione proposta da S.C. (quale amministratore delegato di Esselunga S.p.A. e diretto responsabile) e Esselunga S.p.A. (quale responsabile in solido) nei confronti del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali – Direzione territoriale del Lavoro di Lecco avverso l’ordinanza-ingiunzione da questa emessa a carico dei predetti in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 7, per non aver la Società consentito la fruizione di n. 780 riposi giornalieri, di 11 ore consecutive tra ogni turno di lavoro, in parziale riforma della predetta decisione, rideterminava in diminuzione la somma dovuta a titolo sanzionatorio;

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto l’infondatezza dei denunciati vizi formali della procedura e dell’ordinanza-ingiunzione e nel merito sussistente l’irrogata violazione, inapplicabile il cumulo giuridico ma, comunque, da rideterminarsi l’importo della sanzione alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 153/2014, e correttamente effettuata tale rideterminazione, rimessa, per invito della Corte territoriale medesima, alla stessa Amministrazione convenuta, con applicazione del R.D.L. n. 692 del 1923, art. 9 e L. n. 370 del 1934, art. 27, in ragione di un terzo del massimo previsto.

Per la cassazione di tale decisione ricorrevano il S. e la Società, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resisteva, con controricorso, il Ministero del Lavoro e della Politiche sociali Direzione territoriale del Lavoro di Lecco;

Fissata l’udienza di discussione in adunanza camerale i ricorrenti depositavano memoria.

Alla predetta udienza del 15.9.2020 il Collegio riteneva la non ricorrenza dei presupposti per la decisione della causa in Camera di consiglio e rimetteva la causa sul ruolo per la pubblica udienza. Nelle more il Pubblico Ministero faceva pervenire la propria requisitoria, concludendo per l’accoglimento del primo motivo di ricorso con assorbimento dei rimanenti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, i ricorrenti, nel denunciare la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 19, comma 2, come modificato dal D.Lgs. n. 213 del 2004, art. 1, comma 1, lett. g), lamentano la non conformità a diritto dell’applicabilità sancita dalla Corte territoriale delle norme sanzionatorie preesistenti alla declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni che le avevano novellate, nonostante la sopravvivenza della norma di cui alla novella che ne aveva disposto l’abrogazione;

Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 692 del 1923, art. 9 e L. n. 370 del 1934, art. 27, in una con il vizio di omessa motivazione, i ricorrenti ribadiscono la censura relativa alla non conformità a diritto dell’applicabilità riconosciuta dalla Corte territoriale delle norme sanzionatorie preesistenti alla declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni che le avevano novellate, tuttavia, questa volta, in relazione al contenuto precettivo delle predette norma.

Il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 692 del 1923, art. 9 e L. n. 370 del 1934, art. 27, in una con il vizio di omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, è inteso a denunciare l’incongruità logica e giuridica dell’operazione aritmetica di determinazione dell’importo della sanzione operata dalla Corte territoriale, importo non rispondente alla misura prevista dalle norme applicate pari al terzo del massimo edittale.

I primi due motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati alla luce dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass., ord. 9.11.2017, n. 26603 e Cass., ord, 13.5.2019, n. 12659) secondo cui, “a seguito della caducazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 18 bis, commi 3 e 4, per effetto della sentenza della Corte costituzionale 4 giugno 2014, n. 153, per il principio della cd. reviviscenza normativa, trova applicazione la precedente disciplina sanzionatoria, di cui al R.D.L. n. 692 del 1923, art. 9 e L. n. 370 del 1934, art. 27, già abrogata dalla disposizione dichiarata incostituzionale” (così testualmente Cass. 26603/2017), conclusione cui “non osta il fatto che quest’ultima normativa sia stata abrogata espressamente, non dall’art. 18 bis, ma dello stesso D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 19 (nel testo modifcato dal D.Lgs. n. 213 del 2004, art. 1, comma 1, lett. g)), disposizione quest’ultima non fatta oggetto della pronunzia di costituzionalità” (così ancora Cass. 26603/2017), e ciò, secondo quanto si legge ancora in Cass. 26603/2017, in quanto sussistono vari elementi esegetici che consentono di ritenere la sentenza della Corte costituzionale n. 153/2014 in toto abrogativa del sistema sanzionatorio introdotto dal D.Lgs. n. 66 del 2003, in particolare considerato che il D.Lgs. n. 66 del 2003, artt. 4,7 e art. 9, comma 1, nella originaria formulazione, regolavano la materia dell’orario di lavoro e dei riposi giornalieri e settimanali senza prevedere specifiche sanzioni per la violazione di dette norme; che tale silenzio del legislatore collegato con la direttiva della legge delega n. 39/2002 che, in materia sanzionatoria, imponeva il rispetto del rapporto di omogeneità del nuovo sistema sanzionatorio rispetto a quello previgente, induce a ritenere che il legislatore, nella specie, abbia inteso normare, implicitamente la materia sanzionatoria con riferimento al previgente sistema contenuto nel R.D.L. n. 92 del 1923 e nella L. n. 370 del 1934; che, conseguentemente l’introduzione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 18 bis, che, invece, ha disciplinato espressamente la materia sanzionatoria, ha comportato, necessariamente, l’abrogazione della precedente normativa, atteso che il successivo art. 19, recante “disposizioni finali e deroghe”, ha previsto l’abrogazione di “tutte le disposizioni legislative e regolamentari nella materia disciplinata dal D.Lgs. medesimo, salve le disposizioni espressamente richiamate e le disposizioni aventi carattere sanzionatorio” e tale disposizione non è riferibile al previgente regime sanzionatorio, posto che nel regolamentare il nuovo regime sanzionatorio il legislatore riteneva che non fossero vigenti, al tempo, norme regolanti il sistema sanzionatorio.

E’ quanto emerge dal passaggio motivazionale della citata sentenza della Corte costituzionale n. 153/2014, laddove si dà conto dell’errore in cui è incorso il legislatore che, come si evincerebbe dalla consultazione degli atti parlamentari “ha riformato il sistema sanzionatorio nella erronea convinzione di poter intervenire liberamente per l’assenza di norme sanzionatorie precedenti”.

Di contro inammissibile si rivela il terzo motivo, stante la genericità della contestazione, che si limita a rilevare la non corrispondenza aritmetica tra il massimo edittale della sanzione e la dichiarata applicazione del terzo del massimo, senza tenere in alcun conto sia della inapplicabilità del cumulo giuridico sia della quintuplicazione delle sanzioni amministrative previste per il periodo 1.1.2007/24.6.2008 dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1177. Il ricorso va dunque rigettato, senza attribuzione delle spese per essere stato il controricorso tardivamente notificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021

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