Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28165 del 24/11/2017


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 28165 Anno 2017
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

sul ricorso 24856/2015 proposto da:
Decio Francesco, Decio Luigi, Decio Emanuele, in proprio e guaii
procuratori generali di Cacherano d’Osasco Lydia, elettivamente
domiciliati in Roma, Via di Monte Fiore n. 22, presso lo studio
dell’avvocato Gattamelata Stefano, che li rappresenta e difende
unitamente all’avvocato Decio Luigi, giusta procura a margine del
ricorso;
-ricorrenti contro

Data pubblicazione: 24/11/2017

Comune di Spinea, in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in Roma, Via F. Confalonieri n. 5, presso lo
studio dell’avvocato Manzi Luigi, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato Domenichelli Vittorio, Neri Paolo, giusta
procura a margine del controricorso;

avverso la sentenza n. 668/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,
depositata il 13/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/07/2017 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 13.3.2015, la Corte d’Appello di
Venezia ha rigettato la domanda, proposta con atto del 1.3.2013, da
Francesco, Luigi ed Emanuele Decio nonché da Lydia Cacherano
d’Osasco per ottenere la determinazione dell’indennizzo ex art. 39 del
d.P.R. n. 327 del 2001 per la reiterazione di vincoli espropriativi sul
fondo, di cui erano rispettivamente nudi proprietari ed usufruttuaria,
attuata dal Comune di Spinea, mediante variante approvata nel 2000
e successiva variante, adottata nel 2004 ed approvata nel 2007. In
relazione alla prima reiterazione del vincolo, oggetto di apposito
contenzioso amministrativo, la Corte ha rilevato, da una parte, che
l’istanza di indennizzo, avanzata dagli attori il 6.10.2008, era stata
rigettata dal Comune con nota del 9.6.2008, senza che gli stessi
avessero proposto impugnazione nel termine decadenziale di cui
all’art. 39 TU espropriazioni, decadenza che non era stata superata
dalla rinnovazione della richiesta d’indennizzo, avanzata nel 2012
perchè riferita ad un atto ricognitivo, ed ha aggiunto, dall’altra, che la
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-controricorrente –

disciplina invocata non era applicabile ai fatti, come nella specie,
antecedenti alla sua entrata in vigore, evidenziando, infine, che
l’usufruttuaria era priva di legittimazione, e che l’esame del giudicato
amministrativo, favorevole alla tesi dei proprietari, ma di rigetto del
ricorso dagli stessi proposto, restava assorbito. Il vincolo afferente alla

invece, reiterazione di precedente omologo vincolo, che risultava
apposto ex novo.
Per la cassazione della sentenza, hanno proposto ricorso
Francesco Decio e consorti con cinque motivi illustrati da memoria, ai
quali il Comune ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo ed il secondo motivo, i ricorrenti deducono la
violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 327 del 2001,
la nullità della sentenza per contraddittorietà ed illogicità della
motivazione e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio,
oltre che la violazione dell’art. 112 c.p.c. La Corte d’Appello, affermano
i ricorrenti, ha, da una parte, sanzionato con la decadenza il mancato
rispetto del termine di cui all’art. 39 del TU sulle espropriazioni, e,
dall’altra, ha affermato che l’intera disciplina del predetto TU non era
applicabile perché inerente a fatti antecedenti alla sua entrata in
vigore, quando avrebbe dovuto valutare la domanda al lume della
sentenza della Corte Cost. n. 179 del 1999, sulla quale si era fondato
il giudicato amministrativo. La statuizione di decadenza non poteva
dunque esser emessa, anche perché la nota comunale del 9.6.2008
non conteneva alcuna stima da impugnare, ma negava la spettanza
dell’indennizzo, per l’assenza dei relativi presupposti, sicchè non
poteva ipotizzarsi alcun onere d’impugnazione a loro carico. La rilevata
carenza di legittimazione dell’usufruttuaria era avvenuta in
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viabilità, previsto nella variante, adottata del 2004, non costituiva,

ultrapetizione, stante l’assenza di eccezione ex adverso, ed era
infondata nel merito.
2. Disattesa l’eccezione d’inammissibilità dei motivi, essendo
ammissibile la formulazione di più censure nell’ambito di un motivo
formalmente unico, quando, come nella specie, la relativa

prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato (cfr.
Cass. SU n. 9100 del 2015), la falsa applicazione della disposizione di
cui all’art. 39 del d.P.R. n. 327 del 2001 è fondata nei termini che
seguono.
3. La predetta disposizione, come del resto riconosce la stessa
sentenza, è entrata in vigore il 30 giugno 2003, in epoca successiva,
dunque, alla richiesta di indennizzo per la reiterazione del vincolo che
si afferma avvenuta mediante la variante del 2000. 4. Tuttavia, sotto
il profilo sostanziale, la questione dell’indennizzabilità del vincolo a
carattere espropriativo -e cioè imposto a carattere particolare su di un
bene determinato- non costituisce affatto un’innovazione del Testo
Unico sulle espropriazioni, essendo la questione già emersa a seguito
della sentenza n. 55 del 1968 della Corte Cost., che, ferma restando
la legittimità, a monte, del potere di zonizzazione, ha dichiarato
l’illegittimità delle norme della legge urbanistica (art. 7 nn. 2, 3 e 4)
immediatamente operative nei confronti di diritti reali che ponevano
vincoli a carattere particolare ed a tempo indeterminato preordinati
all’esproprio o sostanzialmente espropriativi a carico della proprietà
privata, senza previsione di indennizzo. La legge n. 1187 del 1968 ha,
quindi, codificato la necessaria temporaneità di detti vincoli,
prevedendo, con l’art. 2, la decadenza quinquennale delle indicazioni
di p.r.g. “nella parte in cui incidono su beni determinati ed
assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione od a
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formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze

vincoli che comportano l’inedificabilità” (disciplina ora abrogata
dall’art. 58 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e sostituita dall’art. 9 stesso
decreto). Tale disposizione, è stata successivamente dichiarata
illegittima, in combinato disposto degli artt. 7, nn. 2, 3 e 4, e 40 della
L n. 1150 del 1942, nella parte in cui consente all’Amministrazione di

che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo, con
l’invocata sentenza n. 179 del 1999, della Corte Costituzionale, che ha
peraltro affermato che fuoriescono dallo schema ablatorioespropriativo e, quindi, non sono necessariamente soggetti
all’alternativa di indennizzo o di durata predefinita, i vincoli che
importano una destinazione, anche di contenuto specifico, realizzabile
ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata che non comportino,
necessariamente, espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa
pubblica.
5. Alla decisione 179/99 della Consulta si è, peraltro,
espressamente riferita la decisione del TAR Veneto n. 1359 del 2002
intervenuta inter partes, che, dopo aver esaminato in dettaglio le
disposizioni della variante generale al PRG approvato con d.g.r. 7
luglio 2000, quali regolate dall’art. 30 delle NTA, ed aver valutato il
vincolo in riferimento al previgente strumento urbanistico, ha,
appunto, ritenuto che sulla proprietà Decio era stato apposto un
vincolo indennizzabile, decisione che è stata confermata in parte qua
con sentenza n. 2863 del 2007, dal Consiglio di Stato, secondo cui la
valutazione d’illegittimità della delibera, perché priva di previsione del
necessario indennizzo da corrispondere alla proprietà incisa, non era
più in discussione, non avendo il Comune gravato in via incidentale il
relativo capo di sentenza, pur non comportando la caducazione della

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reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o

delibera stessa, in assenza di deduzione di una specifica censura in tal
senso.
6. Erroneamente, dunque, la Corte territoriale ha affermato che,
nei termini in cui era stata proposta, la domanda non poteva che
essere respinta, in quanto tale affermazione non tiene conto del

individuare conseguentemente i principi di diritto applicabili al caso al
suo esame, e non considera neppure che la disciplina sopravvenuta
non ha fatto che codificare il principio che già sussisteva
nell’ordinamento per effetto della citata sentenza additiva della Corte
Costituzionale, che, in assenza di disciplina, aveva appunto
demandato all’interprete di ricavare dal sistema adeguate forme di
ristoro in favore dei proprietari incisi. Altrettanto erroneamente la
Corte veneziana ha applicato termini di decadenza previsti da una
norma che era inapplicabile ratione temporis, avendo questa Corte
costantemente affermato (Cass. n. 1741 del 2007; SU n. 9302 del
2010 Cass., 5 agosto 2015, n. 16545; Cass., 18 aprile 2013, n. 9447;
Cass., 7 luglio 2011, n. 15052; Cass., 22 aprile 2008, n. 10384; n.
3609 del 2017) che la predetta disposizione del TU sulle espropriazioni
si applica per le contestazioni insorte su atti di rinnovo adottati dopo
il 30.6.2003, di contro competendo al Tribunale la cognizione delle
domande di indennizzo per atti di rinnovo anteriori a tale data. Senza
dire che la struttura dell’art. 39 del TU presuppone, comunque, la
determinazione da parte dell’Ente “reiterante” della misura
dell’indennità, assegnando alla Corte di appello la competenza a
conoscere della relativa contestazione, mentre, nella specie, non era
intervenuta alcuna stima ma era stato, piuttosto, negato il diritto dei
privati all’indennizzo.

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dovere del giudice di qualificare giuridicamente la domanda e di

7. Giuridicamente errata è, pure, l’affermata carenza di titolarità
dell’usufruttuaria a pretendere l’indennizzo. Premesso che si tratta di
questione rilevabile d’ufficio, contrariamente a quanto dedotto dai
ricorrenti (cfr. Cass. SU 16/02/2016 n. 2951), va rilevato che i
provvedimenti reiterativi di vincoli espropriativi ben possono incidere

di godere del bene, sicchè l’esclusione della legittimazione si pone in
contrasto con i principi generali dell’ordinamento che assicurano la
tutela giurisdizionale dei diritti, e va aggiunto che, nella specie,
avendo l’usufruttuaria agito unitamente ai nudi proprietari, senza
operare alcuna specifica istanza di frazionamento del credito, risulta
semplicemente rappresentata in giudizio la situazione sostanziale di
piena proprietà.
8. In riferimento all’asserita ulteriore reiterazione del vincolo che
sarebbe stata imposta con la variante parziale approvata nel 2007,
nella vigenza del citato d.P.R. n. 327 del 2001 e costituirebbe fonte,
in tesi, di autonomo indennizzo, il motivo va, invece, rigettato. La
domanda è stata respinta dalla Corte veneta perché ha escluso
sussistere la reiterazione, in quanto il vincolo apposto con tale
variante parziale era afferente a viabilità. La censura a tale
statuizione, oltre che generica essendo stata dedotta in una
prospettiva di “completamento” della pregressa condotta iterativa
posta in essere dall’Amministrazione Comunale, così ulteriormente
protrattasi, attinge al merito, tenuto conto che il fatto costitutivo del
diritto all’indennizzo non è individuabile nell’imposizione originaria di
un vincolo di inedificabilità, e neanche nella protrazione di fatto del
medesimo dopo la sua decadenza (la previsione urbanistica di quello
del 2000 classificava, come si legge, il terreno come “Sc” aree
attrezzate a parco, Gioco e sport), ma per effetto di un atto che
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sul diritto reale minore dell’usufruttuario, laddove gravino sul diritto

formalmente ed esplicitamente lo reiteri una volta superato il primo
periodo di sua ordinaria durata temporanea (Cass. n. 1754 del 2007
e n. 24099 del 2004).
9. L’impugnata sentenza va, in conclusione, cassata, restando
assorbiti i motivi terzo, quarto e quinto relativi, rispettivamente, alla

giudicato, oltre che dell’art39 del d.P.R. n. 327 del 2001, per avere la
Corte ritenuto assorbita la questione della sussistenza del giudicato
amministrativo sulla natura espropriativa del vincolo reiterato con la
variante dell’anno 2000 ed averlo, poi ritenuto, insussistente nel
merito; alle spese di lite; alla mancata valutazione di merito.
10. Il giudice del rinvio si indica nella Corte d’Appello di Venezia
nonostante sia venuto a mancare il giudizio innanzi al Tribunale, cui,
secondo quanto si è esposto al § 6, la domanda relativa alla
reiterazione del vincolo operata nel 2000 avrebbe dovuto esser
proposta, in quanto il doppio grado di giudizio non è
costituzionalmente garantito, e non ricorre un’ipotesi di nullità della
sentenza riconducibile agli artt. 353 e 354 c.p.c. La predetta Corte, in
diversa composizione, provvederà ai necessari accertamenti ed alla
liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

Accoglie i primi due motivi nei sensi di cui in motivazione,
assorbiti il terzo, il quarto ed il quinto, cassa e rinvia, anche per spese,
alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 7 luglio 2017
Il

nullità della sentenza ed alla violazione dei principi in tema di

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