Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28163 del 24/11/2017


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 28163 Anno 2017
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

sul ricorso 15012/2015 proposto da:
Ente Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, in persona del legale
rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi
n.12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e
difende ope legis;
-ricorrente contro

Casilli Maria, nella qualità di erede di Caramiello Giovanni (a sua volta
erede di Paulo Matarazzo), nonché per la stessa anche nella qualità di
successore a titolo particolare di Giannandrea Carmine Matarazzo e di
Maria Thereza Matarazzo; Picciotti Elisabeth Raphaela, nella qualità di

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Data pubblicazione: 24/11/2017

erede di Pappone Maria Virginia; Fondazione Pio Alferano e Virginia
Ippolito, quale erede di Ippolito Virginia, in persona del Presidente pro
tempore, elettivamente domiciliati in Roma, Via del Corso n.504,
presso lo studio dell’avvocato Ielpo Nicola, che li rappresenta e difende
unitamente all’avvocato Mannucci Federico, giusta procura a margine

-controricorrenti avverso la sentenza n. 192/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,
depositata il 26/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/07/2017 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza dell’8 luglio 2005,
determinava l’indennità dovuta dall’Ente Parco nazionale del Cilento
e Vallo di Diana a Giovanni Caramiello, Mario e Maria Pappone,
Virginia Ippolito, nonché a Giampaolo, Giannandrea, Giannandrea
Carmine, Gianfranco, Maria Teresa e Maria Virginia Carmela
Matarazzo, per l’espropriazione, intervenuta con decreto 15
dicembre 1999, di un complesso immobiliare di loro proprietà
denominato “Villa Matarrazzo”, ubicato nel comune di Castellabate,
quanto al fabbricato in C 1.947.967,48, e quanto ai terreni in C
1.181.149,90. La Corte riteneva, per quanto ancora interessa, che:
a) il terreno, inedificabile i doveva essere stimato con il criterio dei
VAM con l’aggiunta dei moltiplicatori di cui alla L n. 865 del 1971,
commi 8 e 9, trovandosi nel centro urbano del comune; b) per il
fabbricato doveva essere interamente recepito l’accertamento
compiuto dal c.t.u., che ne aveva determinato il valore in
2

L.

del controricorso;

compiuto dal c.t.u., che ne aveva determinato il valore in L.
2.500.000 mq.
La decisione veniva cassata da questa Corte, con sentenza n.
12541 del 2012, che, in accoglimento dei motivi quarto e quinto
dell’espropriante, disponeva una nuova determinazione

criterio dei VAM, specificando che il giudice del rinvio non poteva
aumentare il limite della valutazione compiuto nella sentenza, per
non avere gli espropriati interposto ricorso, e per difetto di
motivazione sul valore del fabbricato.
La Corte di Salerno, giudicando in sede di rinvio, con la
sentenza indicata in epigrafe, determinava il dovuto, ex art. 39 della
L. n. 2359 del 1865, in C 1.407.061,00 per il fabbricato, ed in C
1.705.976,96, per i suoli, per complessivi C 3.113.037,95, somma
inferiore al limite massimo di C 3.129.117,38, determinata con la
sentenza cassata.
Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso l’Ente
Parco con un motivo al quale Maria Casilli, erede testamentaria di
Giovanni Caramiello, e gli altri soggetti indicati in epigrafe hanno
resistito con controricorso, successivamente illustrato da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col proposto ricorso, si deduce la violazione e falsa
applicazione dell’art. 384 c.p.c., in riferimento all’art. 360, co 1 n. 4,
c.p.c., per avere la Corte territoriale rispettato il limite di valore,
posto con la sentenza rescindente, in relazione all’indennità per
l’espropriazione del fabbricato, ma per non aver fatto altrettanto in
relazione a quella dovuta per il suolo, e per aver ritenuto rispettato
il predetto limite cumulando i due importi.

3

dell’indennità dovuta dall’Ente per l’intervenuta incostituzionalità del

2. Va, anzitutto, disattesa l’eccezione d’inammissibilità del
motivo, essendo irrilevante la specifica indicazione numerica tra
quelle di cui all’art. 360 c.p.c. (cfr. Cass. SU. 24/07/2013 n. 17931),
ben chiara la censura con esso formulata ed evidente l’interesse a
dedurla (in tesi, la cospicua riduzione dell’ammontare dell’indennità

che, nel determinare l’indennità dovuta per il complesso immobiliare
espropriato, la Corte territoriale abbia fatto riferimento al valore dei
singoli elementi che lo compongono non esclude, infatti, che
l’ammontare in totale determinato costituisca ciò che in numerano
si sostituisce al bene perduto mediante l’unico decreto ablativo: bene
che, nella specie, è costituito dalla “Villa Matarazzo con annesso
parco attrezzato”. 4. L’errore di prospettiva del ricorrente si coglie,
peraltro, in riferimento al principio che si assume violato. Il limite
economico che è stato individuato nella sentenza rescindente riposa
infatti, da una parte, nella necessità di applicare lo jus superveniens
derivante dalla sentenza della Corte Cost. n. 181 del 2011, e,
dall’altra, dall’osservanza del divieto di reformatio in pejus, che trova
la sua base nell’art. 112 c.p.c., secondo cui i poteri del giudice
dell’impugnazione vanno determinati con esclusivo riferimento
all’iniziativa delle parti, sicchè quando il ricorso sia stato diretto ad
ottenere la condanna ad una prestazione in misura inferiore di quella
riconosciuta dal giudice in appello, la mancata impugnazione della
parte beneficiaria della condanna produce un effetto preclusivo che,
se non costituisce giudicato in senso proprio, comporta tuttavia che
la sentenza impugnata possa essere modificata esclusivamente per
corrispondere all’unica impugnazione e impedisce che operi in danno
dell’appellante -con riforma in peggio- la sopravvenuta innovazione
normativa, derivi da

ius superveniens
4

o da declaratoria di

relativa al suolo). 3. Nel merito, il motivo è infondato. La circostanza

incostituzionalità, pur se espressamente ritenuta applicabile anche
ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in
giudicato (Cass. n. 3175 del 2008; n. 465 del 1999; 3941 del 1997).
E’ chiaro, però, che tali limiti vanno individuati in quelli economici
derivanti dall’assetto globale dato da tutte le statuizioni della

parte beneficiaria- entro i quali lo jus superveniens e la declaratoria
di incostituzionalità tornano ad esplicare il loro carattere cogente.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo. Non può trovare applicazione nei confronti del ricorrente
l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
essendo un’amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura dello
Stato ed ammessa alla prenotazione a debito.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in C 10.200,00,
di cui C 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori.
Così deciso in Roma, il 7 luglio 20

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

sentenza impugnata -che individua al contempo la reale utilità della

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