Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28163 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/12/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 10/12/2020), n.28163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19528/2014 R.G. proposto da:

Zincofer s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Di Giorgio, con domicilio

eletto presso il suo studio, sito in Roma, via di Tor Fiorenza, 56;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sez. dist. di Brescia, n. 199/67/14, depositata il 13

gennaio 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 settembre

2020 dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– la Zincofer s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 199/67/14, che, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha respinto il suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa per l’anno 2006 e recuperate l’i.v.a. e l’i.re.s. non versate;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con tale atto impositivo l’Ufficio aveva contestato l’indebita deduzione di costi per consulenze fiscali e amministrative rese dalla controllante Bycsa s.p.a. per difetto di certezza e inerenza, e detrazione della relativa i.v.a.;

– il giudice di appello, dopo aver dato atto che la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso, ha accolto il gravame erariale in ragione del difetto del requisito della certezza e inerenza dei costi in oggetto;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 53, comma 1, “per assoluta carenza di motivazione e di istruttoria nell’esame dell’ammissibilità dell’appello proposto”;

– evidenzia, in proposito, che il gravame non era articolato secondo motivi specifici e non era indirizzato a sollecitare una revisio prioris instantiae, quanto a instaurare un novum judicium;

– il motivo è infondato;

– la Commissione regionale ha dato atto che con l’appello proposto chiesto la riforma della sentenza di primo grado per aver quest’ultima “ritenuto provati i costi nonostante la mancanza di documentazione idonea a dimostrare la riferibilità di essi a servizi specificamente individuati e realmente resi in favore della società controllata Zincofer, dovendosi considerare che i servizi intercorsi tra società infragruppo richiedono un adeguato livello di documentazione”;

– viene, dunque, in rilievo un’impugnazione che evidenzia in modo chiaro la questione e il punto contestato della sentenza impugnata e, con essi, la relativa doglianza, l’argomentazione posta a confutazione delle ragioni addotte dal primo giudice;

– si osserva, in proposito, che, a tal fine, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza (cfr. Cass., ord., 21 novembre 2019, n. 30341; Cass. 19 gennaio 2007, n. 1224);

– d’altra parte, nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. c.c., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (così, Cass. 15 gennaio 2019, n. 707);

– con il secondo motivo la società deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, nonchè la “assoluta carenza di motivazione e d’istruttoria”, per aver il giudice di appellò escluso la deducibilità dei costi in esame, benchè fosse dimostrata l’effettività dell’operazione, attraverso la produzione del relativo contratto e della documentazione di riscontro dell’attività svolta;

– con l’ultimo motivo di ricorso si duole della “violazione e falsa applicazione di legge”, nonchè, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, della “assoluta carenza di motivazione e d’istruttoria”;

– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili, in quanto si risolvono in una censura della valutazione delle risultanze probatorie operata dalla Commissione regionale, la quale ha escluso che la documentazione prodotta in giudizio permettesse di esprimere una valutazione positiva in ordine all’effettività delle operazioni e, conseguentemente, alla certezza del relativo costo;

– tale doglianza non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);

– si osserva, altresì, che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nella formulazione risultante a seguito della modifica apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv., con modif., nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis al caso in esame – il vizio di motivazione insufficiente, illogica o contraddittoria non è più deducibile quale vizio di legittimità, atteso che il sindacato di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla sola verifica della violazione del cd. minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, e dell’omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr., ex multis, Cass., ord., 25 settembre 2018, n. 22598; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

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