Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2816 del 05/02/2021

Cassazione civile sez. II, 05/02/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 05/02/2021), n.2816

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24998/2019 proposto da:

L.D., rappresentato e difeso dall’Avvocato ENNIO CERIO. ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio in CAMPOBASSO, VIA

MAZZINI 112;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1671/2019 del TRIBUNALE di CAMPOBASSO

depositato il 23/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

6/10/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.D. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego del riconoscimento della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in via subordinata, della protezione sussidiaria o, in estremo subordine, di quella umanitaria.

Sentito dalla Commissione, il ricorrente aveva riferito di essere fuggito dal Gambia perchè aveva militato nel partito politico che si opponeva al dittatore J. e aveva anche scritto un libro sui soprusi di costui, mai pubblicato; temeva che, nonostante il mutamento di regime con l’avvento del Presidente B., democraticamente eletto, potesse subire persecuzioni per la sua precedente attività politica.

Con decreto n. 1671/2019, depositato in data 23.7.2019, il Tribunale di Campobasso rigettava il ricorso, confermando la motivazione della Commissione Territoriale in relazione all’assenza di reali minacce o violenze, alla fumosità con cui i militari avrebbero scoperto che il ricorrente stava scrivendo un libro contro il dittatore e all’inattualità di un eventuale pericolo in caso rimpatrio. Il Tribunale specificava che la situazione politica del Gambia risultava assai mutata rispetto al 2015, anno della fuga del ricorrente dal suo Paese, in quanto tutti i report internazionali segnalavano una situazione di tolleranza e di tutela delle libertà civili e democratiche, con fuga dei principali responsabili delle violenze del regime dittatoriale. Neppure sussistevano i presupposti per la concessione della protezione internazionale o sussidiaria non essendo stato dimostrato che il ricorrente avesse svolto effettivamente attività politica in opposizione al regime dittatoriale, nè che egli fosse stato oggetto di violenze o minacce. Ed anche la domanda di protezione umanitaria non poteva trovare accoglimento in quanto non erano stati addotti motivi o documenti da cui risultasse che il ricorrente fosse affetto da stati patologici di rilievo o presentasse specifici caratteri di vulnerabilità tali da far concludere che un rientro nel Paese d’origine lo avrebbe esposto a situazioni umanitarie di particolare complessità, tali da giustificare l’applicazione della suddetta misura.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione L.D. sulla bese di tre motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 3, nonchè in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e c) e comma 5”, giacchè l’imparzialità nell’esame del ricorrente, il valore da attribuirsi alle circostanze personali dello stesso e a tutti i fatti che riguardano il Paese d’origine al momento della decisione, sono rimasti, a detta dell’odierno ricorrente, principi infranti o falsamente applicati.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente censura la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), nonchè al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32”, essendo il Giudice venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria quanto alla situazione del Paese di provenienza del ricorrente.

2. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i due motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – Essi sono infondati.

2.2. – Questa Corte ha chiarito che “in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona”, cosicchè “qualora le dichiarazioni siano giudicate (come nella specie) inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. n. 16925 del 2018; cfr. Cass. n. 20285 del 2019).

2.3. – La valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti richiesti per la attribuibilità delle singole protezioni costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre Cass. n. 3340 del 2019, cit.).

Nel caso concreto, i fatti allegati nel giudizio di merito non attengono a situazioni di violenze indiscriminate, derivanti da un conflitto armato interno o internazionale, trattandosi di circostanze relative ad una vicenda di contrastanti rapporti di militanza politica, risolvibili semmai mediante il ricorso alla giustizia ordinaria, civile e/o penale, e non attraverso forme di violenza o coercizione. Laddove, il giudice di merito ha, peraltro, comunque accertato – mediante il ricorso a fonti internazionali aggiornate, citate nel provvedimento, del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8 – la insussistenza del timore del ricorrente di essere sottoposto a vessazioni, senza possibilità di ottenere tutela.

2.4. – Quanto alla protezione sussidiaria, “l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale implica o una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale, ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel Paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (v. Cass. n. 14006 del 2018).

2.5. – Tanto premesso, va altresì rilevato che la Corte distrettuale (conformemente al Tribunale) ha congruamente motivato (con il dovuto specifico riferimento e richiamo a siti internazionali accreditati: cfr. Cass. n. 15794 del 2019) in ordine al fatto che il Gambia sia una regione che (secondo le dette fonti attendibili e recenti) non può ritenersi preda di violenza indiscriminata nella accezione sopraprescritta. Confermando così le conclusioni del giudice di primo grado in ordine alle ragioni per cui si debba escludere che il richiedente provenga da una zona del Paese in cui si registri un clima di tensione tale da far presumere che in caso di suo rientro possa andare incontro a torture o altre forme di trattamento inumano e degradante.

2.6. – Peraltro, la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), dev’essere interpretata in conformità della fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), sicchè “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15 direttiva, lett. c), a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; v. Cass. n. 13858 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018).

2.7. – Nel caso concreto (come detto), i fatti allegati nel giudizio di merito non attengono a situazioni di violenze indiscriminate, derivanti da un conflitto armato interno o internazionale, trattandosi di circostanze relative alla appartenenza politica del richiedente. Orbene, una interpretazione che, facendo leva sul generico riferimento del legislatore ai “soggetti non statuali”, faccia assurgere le controversie tra privati (o la mancata o inadeguata tutela giurisdizionale offerta dal paese per la risoluzione delle stesse) a cause idonee e sufficienti a integrare la fattispecie persecutoria o del danno grave, verrebbe a porsi in rotta di collisione con il principio secondo cui “i rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un paese di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave” (Considerando 26 della direttiva n. 2004/83/CE), oltre ad essere poco sostenibile sul piano sistematico (Cass. n. 9043 del 2019).

Dovendosi poi rilevare che il giudice di merito ha puntualmente valutato la situazione del paese di origine del richiedente, giungendo ad escludere la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), all’esito di un’articolata analitica valutazione desunta dai citati siti internazionali accreditati, senza peraltro che il ricorrente abbia, in senso contrario, addotto altre fonti, essendosi limitato a contestare quanto in quelle affermato; anche tale accertamento implicando un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato (come sopra detto) può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, solo nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5.

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32″, là dove il Tribunale ometteva di svolgere la doverosa attività istruttoria diretta a verificare se il rimpatrio potesse essere causa di privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile dello statuto della dignità personale, e in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza.

3.1. – Il motivo non è fondato.

3.2. – Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (cfr. Cass. n. 17072 del 2018; Cass. n. 22979 del 2018) che, se assunto isolatamente, il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza non integra, di per sè solo ed astrattamente considerato, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria (…) (cfr. Corte EDU, sent. 08.04.2008, ric. 21878/06, caso Nnyan. zi c. Regno Unito, par. 72 ss.)”.

La protezione umanitaria costituisce, dunque, una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 23604 del 2017; Cass. n. 252 del 2019). Ciò che si demanda al giudice è “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. I seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.)”.

3.3. – A tale fine, peraltro, non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, allo scopo di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. n. 12537 del 2020; cfr. Cass. n. 4455 del 2018).

3.4. – Nella specie, il Tribunale (lungi dall’omettere la doverosa attività istruttoria) ha correttamente posto in rilievo come non fossero stati addotti motivi o documenti dai quali ricavarsi che il ricorrente fosse affetto da stati patologici di rilievo o presenti specifici caratteri di vulnerabilità tali da far concludere che un rientro nel paese di origine lo avrebbe esposto a situazioni umanitarie di particolare complessità tali da giustificare l’applicazione della pronuncia residuale. Ciò influendo sulla praticabilità stessa della suddetta valutazione comparativa.

4. – Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare a controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2021

 

 

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