Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28155 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/12/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 10/12/2020), n.28155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 560/2012 R.G. proposto da:

C.G. e M.M., rappresentate e difese dall’avv.

Marotta Salvatore, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.

Campanelli Giuseppe, sito in Roma, via Dardanelli, 37;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale ・domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte, n. 56/38/11, depositata il 27 luglio 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 novembre

2019 dal Consigliere Catallozzi Paolo.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– C.G. e M.M. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte, depositata il 27 luglio 2011, di reiezione dell’appello proposto dalle medesime, rispettivamente quali socio accomandatario

e socio accomandante della FCM di C.G. s.a.s., unitamente a tale società nelle more cessata, avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso di quest’ultima per l’annullamento degli avvisi di accertamento con cui erano state rettificate le dichiarazioni rese dalla società medesima per gli anni 2003 e 2004;

– dall’esame della sentenza impugnata emerge che gli atti impositivi traevano origine dalla contestazione della realizzazione di un meccanismo fraudolento, caratterizzato dalla contabilizzazione di operazioni passive inesistenti o per importi superiori rispetto a quelli effettivi;

– il giudice di appello, confermando la decisione della Commissione provinciale, ha disatteso il gravame delle contribuenti, evidenziando che la documentazione acquisita, consistente principalmente negli atti di un procedimento penale instaurato a carico del sig. M.F., ritenuto amministratore di fatto della società offriva adeguata dimostrazione della sussistenza della pretesa erariale e che non sussistevano i vizi formali dei provvedimenti dalle stesse allegati;

– il ricorso ・affidato a sei motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;

Diritto

– il pubblico ministero conclude chiedendo il rigetto del ricorso. CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo di ricorso le contribuenti denunciano l’insufficiente

e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo, “concernente l’interpretazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2”, in quanto basata sull’errato presupposto che negli avvisi di accertamento fossero state indicate in dettaglio le fatture emesse per operazioni inesistenti;

– il motivo ・inammissibile, sia perchè si risolve nella contestazione della valutazione del contenuto degli avvisi di accertamento operata dal giudice di appello, il quale ha accertato che “l’Ufficio ha dettagliatamente indicato gli estremi delle fatture”, sia perchè la circostanza in oggetto non ・decisiva, atteso che, come evidenziato anche dalla Commissione regionale, l’indicazione degli estremi delle fatture non era necessaria, atteso che si trattava di documenti emanati dalla società contribuente, quindi, da questa conosciuti;

– con il secondo motivo le ricorrenti deducono l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione su un fatto decisivo, nella parte in cui ha escluso l’obbligo di allegazione agli avvisi di accertamento relativamente agli atti processuali del giudizio penale intentato nei confronti del sig. M.F.;

– il motivo ・inammissibile, in quanto poggia su un assunto erroneo, atteso che, diversamente da quanto allegato dalle contribuenti, la sentenza di appello non ha affermato l’inesistenza dell’obbligo di allegazione di tali atti processuali, ma si è limitata a non escludere l’obbligo di allegazione solamente per quegli atti non conosciuti dal contribuente e dei quali l’atto impositivo non riproduceva il contenuto essenziale;

– con il terzo motivo la parte si duole dell’omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, nella parte in cui ha ritenuto esercitabile un’attività di controllo da parte delle socie sull’attività del sig. M.;

– con il quarto motivo lamentano l’omessa motivazione su un fatto decisivo, nella parte in cui ha omesso di tener conto della partecipazione ai redditi sociali del sig. M.F.;

– con il quinto motivo criticano la sentenza impugnata per omessa motivazione su un fatto decisivo, in relazione all’omessa considerazione che la contribuente M.M. rivestiva la qualità di mera socia accomodante e, in quanto tale, non avrebbe mai potuto esercitare un controllo sull’attività gestionale posta in essere dal sig. M.;

– i tre motivi sono inammissibili in quanto le relative cesure non investono un fatto, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, ma la mancata esplicitazione delle ragioni per cui la Commissione regionale ha ritenuto infondate le argomentazioni difensive della parte, in relazione alla quale non si estende il paradigma normativo invocato (cfr. Cass. 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., ord., 5 febbraio 2011, n. 2805);

– con l’ultimo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, per aver la Commissione regionale ha affermato la loro responsabilità per le obbligazioni derivanti da fatti contestati;

– il motivo è inammissibile per difetto di specificità in quanto la mancata riproduzione degli avvisi di accertamento non ne consente l’esame;

– la doglianza, infatti, poggia sull’assunto secondo cui gli avvisi di accertamento sono stati notificati alle socie “per trasparenza”, laddove la controricorrente deduce che tali atti furono notificati unicamente nei confronti della società e che la responsabilità delle ex soci sarebbe configurabile solo ai sensi dell’art. 2313 c.c. e per effetto della sopravvenuta cessazione della società;

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 13.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

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