Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28153 del 24/11/2017
Civile Sent. Sez. 1 Num. 28153 Anno 2017
Presidente: DI PALMA SAL VATORE
Relatore: ACIERNO MARIA
SENTENZA
sul ricorso 5042/2015 proposto da:
Ministero dell’Interno,
in
persona
del
Ministro
pro
tempore,
.
l
1
domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n.12, presso 1 Avvocatura
Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
-ricorrente contro
Gradina Sermina, elettivamente domiciliata in
Roma, Via della
Meloria n.52,
Olmi Benedetta,
presso lo studio dell’avvocato
J~
Corte di Casazione – copia non ufficiale
Data pubblicazione: 24/11/2017
rappresentata e difesa d.a ll’avvocato Abbondanza Umberto Massimo
Francesco, giusta procura a margine del controricorso;
-controricorrente –
depositata il 02/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
23/06/2017 dal cons. ACIERNO MARIA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CARDINO
ALBERTO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato Emma Damiani dell’Avvocatura
dello Stato che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 679/2013 il Tribunale di Roma ha riconosciuto lo
status di apolide a Gradina Sermina, nata il 05/06/1986 a Upljan
(nella
ex
Iugoslavia,
oggi
ricadente
in
territorio
oggetto
di
contestazione tra la Repubblica di Serbia e la Repubblica del Kosovo)
da genitori di etnia rom e residente in Italia dal 1989.
La Corte d’appello di Roma, investita dell’impugnazione proposta
dal Ministero dell’interno, ha rigettato il gravame con sentenza n.
7416/2016; confermando la decisione di primo grado. A sosteQno
della decisione la Corte territoriale ha ritenuto che Gradina Sermina
avesse adempiuto all’onere probalorìo su dì ess~ ìnçombente, in
quanto aveva dimostrato di non possedere e di non poter conseguire
la cittadinanza della Repubblica di Serbia, avendo prodotto in giudizio
il certificato attestante la sua mancata registrazione nell’anagrafe del
Comune di nascita. Pertanto, secondo il giudizio del Collegio, poteva
Corte di Casazione – copia non ufficiale
avverso la sentenza n. 7416/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
ritenersi che la richiedente non avrebbe potuto conseguire,
se lo
avesse richiesto, il riconoscimento della cittadinanza della Serbia.
Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il
controricorso Gradina Sermina.
In esito all’adunanza camerale del 09/12/2016, tenutasi presso la
Sesta sezione, la trattazione del presente ricorso è stata rimessa alla
pubblica udienza della Prima sezione civile.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378
c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. l,
comma 11 della Convenzione di New York del 1954, resa esecutiva in
Italia con L 306/1962, in quanto la corretta interpretazione di tale
norma impone di considerare “apolide” esclusivamente il soggetto che
non sia mai stato cittadino di uno Stato né possa in concreto
acquistarne la cittadinanza in base al proprio ordinamento giuridico.
Ciò si traduce, sul piano dell’onere della prova, nella necessità che il
r
l
richiedente provi la mancanza di cittadinanza in relazione agli Stati
con cui intrattenga o abbia intrattenuto rapporti significativi, e
l’impossibilità di attenerla secondo l’ordinamento di quegli Stati, non
essendo a tal fine sufficiente la mera attestazione della mancata
iscrizione nei registri anagrafici.
Con il secondo motivo viene lamentata la violazione dell’art. 23,
comma l, della legge sulla cittadinanza della repubblica di Serbia,
secondo cui «il cittadino di nazionalità serba o di altra nazionalità
presente nella repubblica di Serbia e che non risiede nella repubblica
di Serbia, acquista la cittadinanza della repubblica di Serbia se ha
…
-‘
Corte di Casazione – copia non ufficiale
Ministero dell’interno sulla base di due motivi, cui resiste con
l
compiuto 18 anni, è abile al lavoro e presenta dichiarazione scritta di
considerare la repubblica di Serbia come Paese di appartenenza».
Non risulta che Gradina Sermina si sia mai attivata al fine del
riconoscimento della cittadinanza da parte della repubblica di Serbia.
apolidia è, in assenza di un’organica disciplina interna, l’art. 1 della
Convenzione di New York del 28/09/1954 (resa esecutiva in Italia con
L. 1 o febbraio 1962, n. 306), che definisce “apolide” la persona che
nessuno Stato considera come proprio cittadino alla stregua della sua
legislazione ( «AUX fins de la prèsente Convention, le terme napatride”
dèsigne une persone qu’aucun Etat ne considère comme son
ressortisant par application de sa Regislation» ). Ai sensi della
presente norma assumono rilievo due distinte situazioni di apolidia:
l’apolidia originaria, che è una condizione in cui il soggetto si trova fin
dalla nascita; oppure, come viene dedotto nel caso di specie dalla
controricorrente, l’apolidia successiva (o ”derivata”), consistente nella
perdita della cittadinanza originaria cui non segua l’acquisto di alcuna
nuova cittadinanza.
Va ulteriormente premesso, prima di affrontare il profilo specifico
oggetto del presente giudizio, che i fatti costitutivi del diritto al
riconoscimento dello status di apolide sono, da un lato, la condizione
di soggetto privo di qualsiasi cittadinanza, dall’altro, la residenza nel
territorio dello Stato italiano. Quanto al primo elemento, è del tutto
pacifico, sia nella giurisprudenza di legittimità che in quella di merito,
che l’onere della prova gravante sul soggetto istante è riferito
esclusivamente allo Stato o agli Stati con cui egli intrattenga o abbia
intrattenuto rapporti significativi (ovvero, per meglio dire, rapporti
produttivi dell’effetto di acquisizione automatica o a domanda dello
status civitatis, ad esempio perché vi è nato o vi ha risieduto). Se,
4
(
!
l
Corte di Casazione – copia non ufficiale
Norma fondamentale in materia di accertamento dello status di
infatti, fosse riferito a tutti gli Stati del mondo, determinerebbe una
probatio diabolica, trattandosi di un fatto negativo assolutamente
indeterminato {Cass. n. 15679 del 2013). È altrettanto pacifico che,
ai fini dell’accertamento in discorso, non occorre che venga allegato
condizione di apolidia desumersi, sul piano sostanziale, da atti di
rifiuto di protezione o prerogative normalmente garantite al cittadino
alla stregua dell’ordinamento interno dello Stato di riferimento {Cass.
n. 14918 del 2007). Invero, le Sezioni Unite di questa Corte, con la
pronuncia n. 28873 del 2008, hanno definito, sulla base della norma
convenzionale, l’apolide come «colui che si trova in un Paese di cui
non è cittadino, provenendo da altro Paese del quale ha formalmente
o sostanzialmente perso la cittadinanza»,
ponendo in
luce la
necessità che, ai fini dell’accertamento di tale status, sia valutata la
complessiva situazione sostanziale del soggetto rispetto allo Stato o
agli Stati di riferimento, senza arrestarsi a un esame formalistico dei
riscontri documentali e, più in generale, probatori acquisiti.
Questa Corte ha ulteriormente chiarito che, stante la natura dei
diritti da proteggere e l’assimilabilità della condizione del richiedente
lo status di apolide a quella dello straniero richiedente la protezione
internazionale, l’onus probandi ricadente sul primo deve ritenersi
parimenti attenuato, nel senso che eventuali lacune o necessità
d’integrazione istruttoria devono essere colmate con l’esercizio di
poteri-doveri istruttori offìciosi da parte del giudice, realizzabili
mediante la richiesta d’informazioni o di documentazione alle Autorità
pubbliche competenti dello Stato italiano o dello Stato di origine o
dello Stato verso il quale può ravvisarsi un collegamento significativo
con il richiedente medesimo (Cass. n. 4262 del 2015).
5
r·
i
Corte di Casazione – copia non ufficiale
un atto formale privative dello status civitatis, ben potendo la
Venendo all’odierno thema decidendum, la prima questione posta
dall’Amministrazione
ricorrente
concerne
l’effettivo
contenuto
dell’onus probandi gravante sull’istante, nonché l’idoneità del mero
dato formale della mancata iscrizione del soggetto nei registri
cittadinanza del Paese medesimo. Sul punto la sentenza impugnata
ha accertato che Gradina Sermina non è registrata nel Comune di
nascita,
da
ciò
desumendone
l’impossibilità
per
la
stessa
di
conseguire, ove lo richiedesse, il riconoscimento della cittadinanza
della Serbi a.
Deve rilevarsi che la pronuncia impugnata non è conforme ai
principi enunciati da questa Corte, avendo il giudice di merito omesso
di verificare – sia sotto il profilo del parametro normativo (legge sulla
cittadinanza applicabile alla fattispecie), sia sotto il profilo dei requisiti
e
degli
impedimenti
effettivi
(mediante
richiesta
officiosa
d’informazioni alle autorità diplomatiche o consolari competenti) – se
la dedotta impossibilità di ottenere la cittadinanza verso lo Stato “più
prossimo” fosse reale ed effettiva, tenuto conto dell’onere di allegare
e dimostrare, per quanto possibile, tale condizione da parte della
richiedente,
anche
se
non
necessariamente
o
esclusivamente
mediante la richiesta inevasa di ottenere tale status.
Deve
ulteriormente
premettersi
che,
riguardo
al
valore
probatorio delle certificazioni attestanti l’assenza di iscrizione nei
registri anagrafici, questa Corte ha già avuto occasione di esprimersi,
pervenendo alla conclusione che esse non costituiscono, di per se
stesse, prova sufficiente della mancanza dello status civitatis, laddove
non venga dedotta alcuna precedente richiesta di iscrizione in tali
registri (Cass. n. 12643 del 2016). Invero, pur dovendosi dare rilievo
a situazioni di apolidia “di fatto”, è necessario che l’istante fornisca la
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Corte di Casazione – copia non ufficiale
anagrafici di un dato Paese a dimostrare il non possesso della
prova, anche indiziaria, di atti di rifiuto, da parte dello Stato con cui il
richiedente ha un legame, di prerogative normalmente connesse al
possesso della cittadinanza. In un caso analogo questa Corte, con la
pronuncia n. 15679 del 2013, ha cassato la decisione resa dal giudice
nato in Macedonia sulla base dell’attestazione negativa circa il
possesso
della
consolare:
ciò
cittadinanza
in
quanto,
macedone
secondo
la
rilasciata
legge
dall’Autorità
macedone
sulla
cittadinanza, l’iscrizione nei registri anagrafici di tale Stato assume
natura
essenzialmente
dichiarativa,
ragion
per
cui
l/omessa
registrazione, da attribuirsi all’inerzia del soggetto interessato, non
assume valore decisivo in merito al (mancato) possesso della
cittadinanza.
Al fine di stabilire in quali casi, a livello concreto, uno Stato non
considera una persona come suo cittadino nell’applicazione della sua
legislazione (art. l, Convenzione di New York del 28/09/1954),
possono fornire supporto le “Linee guida in materia di apolidia”
elaborate dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
(United Nations High Commissioner for Refugees, UNHCR). Viene
chiarito, in primo luogo, che il giudizio sull’apolidia è sempre un
giudizio in fatto e in diritto: è necessario verificare, da un lato, cosa
preveda la legge straniera nel caso concreto, dall’altro, quale sia
l’atteggiamento dello Stato nei confronti di quel concreto individuo o,
se ciò non sia possibile, nei confronti delle persone nella sua stessa
posizione (doc. n r. 1, punti 16 e ss. ). La ddove fatto e diritto non
coincidano, in quanto le autorità competenti trattano un individuo
come “non-cittadino” nonostante appaia integrare i requisiti per
l/acquisizione automatica della cittadinanza (ad es., iure soli o iure
sanguinis), è la posizione di tali autorità che deve pesare, più che la
7
;
Corte di Casazione – copia non ufficiale
di merito che aveva riconosciuto lo status di apolide a un soggetto
lettera della legge, al fine di valutare se questa persona sia o meno
cittadina di un determinato Stato (doc. 1, pt. 30).
Ciò,
tuttavia,
lascia
aperta
la
seconda
questione,
esposta
dall’Amministrazione ricorrente, circa l’onere di dimostrazione, in
cui ha un collegamento, ma anche dell’impossibilità di acquisire la
cittadinanza in base alla legislazione di quello Stato, ovvero del rifiuto
opposto dalle Autorità competenti a una specifica richiesta diretta a
tal fine.
Tale posizione può essere condivisa nei limiti che si esporranno.
Merita innanzitutto di essere ribadito il principio, espresso dalle
Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 28873 del 2008,
secondo cui l’esame della domanda avente ad oggetto l’accertamento
dello
status di apolide deve essere condotto alla luce della
legislazione in materia dello Stato di riferimento, presupponendo la
valutazione delle norme che regolano tale aspetto nello Stato con il
quale il soggetto ha avuto un legame giuridicamente rilevante.
Proprio come chiariscono le Linee guida deii’UNHCR, il “fatto” (ad es.,
una certificazione anagrafica) deve essere illuminato dal “diritto” (la
legge straniera sulla cittadinanza): ciò al fine di verificare quali siano,
a livello normativa, le condizioni cui lo Stato con cui il richiedente ha
un collegamento (ad es., perché vi è nato, vi ha risieduto per un certo
periodo di tempo, o perché uno o entrambi i genitori sono cittadini di
quello Stato) subordina l’acquisizione dello status civitatis.
Dalle
Linee guida deii’UNHCR
(doc.
nr.
3,
pt.
34-38)
può
ulteriormente trarsi la distinzione tra il soggetto che, pur essendo
privo di qualsiasi cittadinanza, potrebbe ottenere lo status di cittadino
da parte dello Stato cui è legato attraverso semplici adempimenti di
carattere burocratico o amministrativo; e il soggetto che, nella
8
Corte di Casazione – copia non ufficiale
capo al richiedente, non solo di non essere cittadino dello Stato con
medesima condizione, potrebbe tuttavia ottenere tale status soltanto
attraverso l’integrazione di condizioni
più onerose (ad es.,
la
residenza stabile, per un certo periodo di tempo, in quel determinato
Stato).
legislazione, dall’art.
2 del
D.P.R.
572/1993
(“Regolamento di
esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91”), che così dispone: «Il
figlio, nato in Italia da genitori stranieri, non acquista la cittadinanza
italiana per nascita ai sensi dell’art. l, comma l, lettera b) , della
legge, qualora l’ordinamento del Paese di origine dei genitori preveda
la
trasmissione
della
cittadinanza
al
figlio
nato
all’estero,
eventualmente anche subordinando/a ad una dichiarazione di volontà
da parte dei genitori o legali rappresentanti del minore, ovvero
all’adempimento di formalità amministrative da parte degli stessi».
Ciò significa – sulla scorta dell’interpretazione data dal Consiglio di
Stato con il parere 2482/1992 – che il figlio di genitori stranieri non
acquista
la
l’ordinamento
cittadinanza
del
Paese
italiana
dei
iure
genitori,
soli
qualora,
potrebbe
secondo
ottenere
la
cittadinanza di tale Paese attraverso delle mere dichiarazioni di
volontà presso le autorità consolari o altre formalità di carattere
amministrativo. Al contrario, viene acquisita la cittadinanz.a italiana
qualora siano richieste condizioni di carattere sostanziale, quali il
riassumere la residenza di tale Paese, prestarvi servizio militare, e
simili.
Tale criterio discretivo deve essere applicato anche nei giudizi
aventi ad oggetto l’accertamento in questione, con la conseguenza
che non può essere riconosciuto lo status di apolidia sulla base della
mera allegazione della mancanza d’iscrizione nei registri anagrafici
del Paese più prossimo. Come posto in luce da alcuni orientamenti
9
“‘
(
Corte di Casazione – copia non ufficiale
Criterio non dissimile appare essere stato adottato, nella nostra
della giurisprudenza di merito, ragionando diversamente si farebbe
dipendere lo status di apolidia non da una condizione oggettiva,
indipendente dalla volontà dell’interessato, ma proprio dalla scelta del
soggetto che rifiuta
una cittadinanza
che
potrebbe
facilmente
•
Il dovere di cooperazione istruttoria officiosa del giudice del
merito, da realizzarsi
non soltanto sulla base di una rigorosa
conoscenza della legge sulla cittadinanza del Paese più prossimo, ma
anche con eventuale richiesta d’informazioni presso le autorità
competenti relativamente ai requisiti ed alle condizioni effettive per il
riconoscimento dello status civitatis, non esclude che sul richiedente
incomba l’onere di allegare non solo di non essere cittadino degli Stati
di prossimità, ma anche di fornire indicazioni sugli elementi impeditivi
al
riconoscimento
dello
status
in
questione.
Come
per
il
riconoscimento della protezione internazionale, l’onere di allegazione
è specifico e il potere dovere-istruttorio officioso del giudice ha una
funzione integrativa volta a colmare lacune probatorie dovute ad
esigenze informative specifiche provenienti dalle autorità competenti.
Ebbene, proprio nella necessità che il giudizio sull’apolidia sia
condotto alla luce dell’effettiva possibilità da parte del richiedente di
ottenere la cittadinanza del Paese di riferimento si annida l’error in
iudicando della Corte d’appello, che contraddice la sua stessa
enunciazione di principio («Su Gradina Sermina gravava l’onere di
dimostrare
la
mancanza
della
cittadinanza
di
tale
Stato
e
l’impossibilità di ottener/a») desumendo, con giudizio prognostico,
tale impossibilità semplicemente dalla certificazione anagrafica del
Comune di Lipljan, e dal dedotto e non dimostrato rifiuto di rilasciare
il
passaporto alla
allegazione,
senza,
richiedente,
peraltro,
dunque in assenza di specifica
svolgere
10
alcuna
indagine
(anche
(
l
‘ l
l
Corte di Casazione – copia non ufficiale
acquisire.
l
d’ufficio, secondo i principi espressi della sopra richiamata Cass. 4262
del 2015) sugli effettivi requisiti di acquisto della cittadinanza nello
Stato (oltre quello italiano) con il quale la richiedente ha un
collegamento più stretto. La decisione della Corte d’Appello è stata
•
fondata
soltanto
sulla
generica
deduzione
ed
allegazione della mancanza della cittadinanza nei paesi di riferimento,
così disattende i principi regolatori dell’onus probandi in questo
specifico settore, così come elaborati da questa Corte.
In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere accolto per
quanto di ragione, con assorbimento del secondo; la sentenza
impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di
Roma, in diversa composizione, che dovrà attenersi al seguente
principio di diritto, oltre a provvedere alle spese del presente giudizio
di legittimità:
“nei giudizi aventi ad oggetto l’accertamento dello status di apolide,
il richiedente è tenuto ad allegare specificamente di non possedere la
cittadinanza dello Stato o degli Stati con cui intrattenga o abbia
intrattenuto legami significativi, e di non essere nelle condizioni
giuridiche ejo fattuali di attenerne il riconoscimento alla luce dei
sistemi normativi applicabili, operando il principio dell’attenuazione
dell’onere della prova
ed il conseguente obbligo di cooperazione
istruttoria officiosa del giudice del merito soltanto aJ fine di colmare
lacune
probatorie
derivanti
dalla
necessità
di
conoscere
specificamente i sistemi normativi e procedimentali riguardanti la
cittadinanza negli Stati di riferimento e di assumere informazioni o
svolgere approfondimenti istruttori presso le autorità competenti”.
P.Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso per quanto di ragione e
dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia
Il
Corte di Casazione – copia non ufficiale
erroneamente
alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le
spese del giudizio di legittimità.
Così è deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 23 giugno
Corte di Casazione – copia non ufficiale
2017 .
..
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