Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28153 del 05/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 05/11/2018, (ud. 12/07/2018, dep. 05/11/2018), n.28153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18098-2014 proposto da:

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

MARESCIALLO PILSUDSKI, 118 (c/o STUDIO LEGALE STANIZZI), presso lo

studio dell’avvocato DAVIDE CORTELLESI, rappresentato e difeso

dall’avvocato PIERLUIGI COTUGNO, giusta procura speciale notarile e

atto di costituzione in atti;

– ricorrente –

contro

U.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMANUELE FILIBERTO

166, presso lo studio dell’avvocato SOFIA PASQUINO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2778/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 01/07/2013 R.G.N. 1428/2011.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Che la Corte di appello di Bari con la sentenza n. 2778/2013 aveva rigettato l’appello proposto da P.M.R. nei confronti della decisione con la quale il tribunale di Trani aveva altresì respinto la domanda dallo stesso P. proposta, diretta al riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato intercorso con U.V. ed al pagamento delle differenze retributive maturate.

La corte territoriale all’esito della valutazione delle prove testimoniali raccolte nel giudizio, rilevava la non omogeneità tra le risultanze acquisite, non essendo univoche le dichiarazioni dei testi escussi, e riteneva quindi non provata la esistenza del rapporto di lavoro subordinato.

Avverso detta decisione il P. proponeva ricorso affidato a un unico articolato motivo costituito da plurimi profili di violazioni, cui resisteva con controricorso U.V.. Il P. depositava memoria successiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Risulta preliminare valutare le eccezioni sollevate nel controricorso con riguardo alla decadenza dall’impugnazione ai sensi dell’art. 327 c.p.c. e di nullità della procura speciale rilasciata dal ricorrente.

In riferimento alla prima eccezione il controricorrente deduce la decadenza, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., in quanto decorso il termine semestrale utile per l’impugnazione, considerato dalla data di pubblicazione della sentenza di appello.

Il ricorso è tempestivo perchè la riduzione a sei mesi del termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. non è nella specie applicabile, essendo il giudizio di primo grado iniziato (24.7.2008), prima del 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della modifica apportata al testo della predetta disposizione dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 17. E’ pertanto infondata l’eccezione preliminare di inammissibilità sollevata dai controricorrenti. Deve essere data continuità al principio secondo cui, in tema di impugnazioni, la modifica dell’art. 327 c.p.c., introdotta dalla L. n. 69 del 2009, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (Cass. n. 19943/2014; Cass.n. 17 aprile 2012, n. 6007).

Altresì infondata l’eccezione di difetto e nullità della procura alle liti, in quanto contenuta a margine del ricorso di legittimità e quindi specificamente riferita a quest’ultimo.

Questa Corte ha chiarito ripetutamente che “la procura al difensore apposta a margine del ricorso deve considerarsi conferita, salvo diversa volontà, per il giudizio di cassazione e soddisfa perciò il requisito di specialità previsto dall’art. 365 c.p.c.” (Cass. n.16907/2006; Cass. n. 8906/98).

2) Il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione: a) alla violazione dell’art. 246 c.p.c. in tema di utilizzazione della prova testimoniale, b) alla violazione degli artt. 2702 e 2712 in tema di efficacia probatoria di scrittura privata, c) alla violazione dell’art. 2094 c.c. sulla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, d) alla violazione dell’art. 2113 c.c. sulla impugnazione delle transazioni.

Con riguardo al primo profilo di censura il ricorrente lamenta l’esame parziale delle risultanze istruttorie da parte della corte territoriale, basato solo sulle prove testimoniali e non sull’esame dei documenti.

Il motivo risulta inammissibile perchè, in disparte il mancato inserimento in ricorso dei documenti richiamati e asseritamente non valutati dal giudice di merito, già motivo di violazione del principio di autosufficienza del ricorso, nella narrativa delle ragioni poste a fondamento della censura è fatto continuo, alternato riferimento alle decisioni e valutazioni del giudice del primo grado e del giudice di appello, così realizzando una confusa censura inidonea a far comprendere i punti della sentenza di appello ritenuti viziati.

Ciò, peraltro, anche in riferimento a questioni e circostanze (prova del pagamento del lavoratore attraverso assegni) del tutto estranee alla sentenza impugnata e rispetto alle quali alcuna specificazione è data in ricorso rispetto al come e dove tali fatti siano entrati nel processo.

Non comprensibile risulta poi il riferimento a documenti relativi ad eventuali transazioni o rinunce (è richiamato l’art. 2113 c.c. a pg. 5 del ricorso) in quanto del tutto estraneo l’argomento a quelli trattati dal giudice d’appello, così come il richiamo ai documenti indicati a pg. 10 del ricorso, asseritamente non valutati dai giudici del merito, ma comunque non inseriti nel ricorso. Deve a riguardo rilevarsi l’incompletezza assoluta delle indicazioni (in violazione del principio di autosufficienza), la errata sussunzione del vizio denunciato in quello di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, trattandosi, di evidente ed eventuale vizio procedurale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ovvero n.5, qualora si tratti di omessa valutazione di fatto decisivo già oggetto di discussione tra le parti.

Ancora inammissibile la censura inerente la valutazione delle prove testimoniali, sia perchè la corte di appello ha dichiarato la assoluta parità delle dichiarazioni rese ed alcuna differente e contrastante allegazione risulta fornita, sia perchè la valutazione del materiale probatorio è riservata al giudice del merito ed è dunque estranea a questa sede di legittimità. Deve infine rilevarsi come la violazione di legge enunciata nel ricorso, in realtà denunci sostanzialmente un vizio di motivazione non ammissibile perchè non espressamente richiamato nelle corrette e limitate modalità di denuncia consentite dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. (Cass. n. 2963/2018; Cass. n. 7983/2014).

Il ricorso risulta inammissibile.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2018

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