Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28152 del


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 28152 Anno 2017
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: ACIERNO MARIA

SENTENZA
sul ricorso 18503/2014 proposto da:
Jacob Obeka Stella, elettivamente domiciliata in Roma, Via Silla
n.2/a, presso lo studio dell’avvocato Spinelli Barbara, rappresentata
e difesa dall’avvocato

Miraglia Raffaele, giusta procura a margine

del ricorso;
-ricorrente contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –

Corte di Casazione – copia non ufficiale

Data pubblicazione: 24/1112017

avverso la sentenza n. 9/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,
depositata il 09/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

udito il P. M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CARDINO
ALBERTO che ha concluso per l’inammissibilità dell ricorso.

FATTO E DIRITTO
Con ordinanza del 04/02/2013 il Tribunale di Bologna ha
accolto il ricorso proposto da Jacob Obeka Stella, cittadina nigeriana
nata

il

25/11/1969,

avverso

il

provvedimento

negativo

della

Commissione territoriale, riconoscendole per l’effetto il diritto alla
protezione sussidiaria.
Con sentenza n. 9/2014 la Corte d’appello di Bologna ha accolto
l’appello principale proposto dal Ministero dell’interno e rigettato
l’appello incidentale della cittadina straniera volto al riconoscimento
dello status di rifugiato, e, in riforma dell’ordinanza impugnata, le ha
negato ogni forma di protezione.
La richiedente ha dedotto di essere stata costretta ad abbandonare il
proprio Paese d’origine in quanto, in seguito alla morte del marito, si
era rifiutata di sottoporsi alle pratiche funebri tradizionali imposte alle

vedove e di unirsi in matrimonio con il cognato (fratello del defunto)
secondo il diritto consuetudinario locale. In conseguenza del rifiuto,
Jabob Obeka Stella veniva allontanata dalla sua abitazione, privata
della potestà genitoriale sui figli, spogliata da Ile sue proprietà e
perseguitata dal cognato, il quale reclamava il suo diritto ad averla in
sposa.
2

l’

Corte di Casazione – copia non ufficiale

23/06/2017 dal cons. ACIERNO MARIA;

La Corte territoriale, per quanto ancora interessa, ha ritenuto che tale
situazione non fosse riconducibile ad alcuna forma di persecuzione ex
art. 7, d.lgs. 251/2007, giacché la richiedente, appellatasi all’autorità
del villaggio, aveva potuto sottrarsi all’applicazione delle norme

Avverso suddetta

pronuncia

propone ricorso

per cassazione la

cittadina straniera, sulla base di due motivi.
Non svolge difese l’Amministrazione intimata.
Con

il

primo

motivo

viene

lamentata

la

violazione

e

falsa

applicazione, ex art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 3 e 7, d.lgs.
251/2007, nonché difetto di motivazione in ordine alla mancata
valutazione delle condotte subite dalla

ricorrente quali atti di

persecuzione basati sul genere. Gli atti subiti dalla richiedente hanno
determinato la lesione di diritti fondamentali quali il diritto alla
genitorialità, alla proprietà privata, alla libertà di scegliere se e con
chi contrarre nuovo matrimonio. Il diritto consuetudinario locale nega
alle donne, in quanto tali, pari diritti di proprietà e genitorialità in
caso di morte del marito, e le autorità tradizionali del villaggio hanno
soltanto protetto la richiedente da un rischio immediato alla vita, ma
non hanno posto fine alla violazione dei suoi diritti fondamentali.
Con il secondo motivo viene lamentata la violazione dell’art. 112
c.p.c., per non essersi la Corte d’appello pronunciata sul secondo
motivo di appello incidentale relativo alla fondatezza dell’ordinanza
del Tribunale

nel

punto in

cui

ha

riconosciuto la

protezione

sussidiaria; nonché la violazione dell’art. 14, d .lgs. 251/2007, per
difetto di motivazione in ordine alla rilevanza della situazione
personale della ricorrente rispetto alla situazione di conflitto esistente
nel Paese d’origine.
Il primo motivo è meritevole di accoglimento.
3

Corte di Casazione – copia non ufficiale

consuetudinarie locali e aveva scelto volontariamente di andare via.

,.

{

Ai sensi dell’art. 7, d .lgs. 251/2007 1 gli atti di

persecuzione~

che

devono essere «sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza,
da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali»
(primo

comma~

lett. a), possono assumere la forma, tra l’altro, di

specificatamente diretti contro un genere sessuale o contro l’infanzia»
(secondo comma, lett. f). Ai sensi dell’art. 3, comma 4, d.lgs. cit., «il
fatto che il richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o
minacce dirette di persecuzioni o danni costituisce un serio indizio
della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o
del rischio effettivo di subire danni gravi». La pronuncia impugnata si
pone in contrasto tanto con tali norme quanto con il quadro di
riferimento internazionale e comunitario.
Invero, come già statuito da questa Corte, in virtù degli artt. 3 e 60
della Convenzione di Istanbul dell’ll/05/2011 (resa esecutiva in Italia
con L. 77/2013) sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei
confronti delle donne e la violenza domestica, anche gli atti di
violenza domestica sono riconducibili all’ambito dei presupposti per il
riconoscimento della protezione internazionale (Cass. n. 12333 del
17/05/20 17). Ai sensi dell’art. 60, par. l, della Convenzione «Le Parti
adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire
che la violenza contro le donne basata sul genere possa essere
riconosciuta come una forma di persecuzione ai sensi delrarticolo 1, A
(2) della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e
come una forma di grave pregiudizio che dia luogo a una protezione
complementare

l

sussidiaria».

In

base

all’art.

3,

lett.

b),

«l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza
fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno
della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi
4

r

Corte di Casazione – copia non ufficiale

«atti di violenza fisica o psichica» (secondo comma, lett. a), o di «atti

‘l {

l

o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti
condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima».
Infine, a livello di soft la w, le linee gl.!lida dell’UNHCR ( United Nations

High Commissioner for Refugees, Alto commissariato delle Nazioni

genere, al punto 25 specificano – come posto in luce dalla ricorrente
– che si ha persecuzione anche quando una donna viene limitata nel
godimento dei propri diritti a causa del rifiuto di attenersi a
disposizioni tradizionali religiose legate al suo genere.
Nel caso di specie la richiedente, professante la religione cristiana, si
era rifiutata di rispettare le regole consuetudinarie del proprio
villaggio, subendo per tal motivo la persecuzione da parte del cognato
(il quale la “rivendicava” per averla come sposa), l’allontanamento
dalla propria abitazione, la privazione di tutte le proprietà e della
potestà genitoriale sui figli. Risulta pertanto illogico l’assunto della
Corte territoriale secondo cui l’allontanamento della richiedente dal
proprio villaggio sarebbe frutto di una scelta volontaria, giacché le
autorità tribali cui si è rivolta le hanno consentito di sottrarsi al
rispetto delle consuetudini locali più brutali, ma a condi1zione di
allontanarsi dai figli e perdere i propri beni. La richiedente infine ha
continuato a subire le molestie e le minacce da parte del fratello del
defunto marito.
La

vicenda

narrata

dalla

ricorrente,

come

incontestatamente

accertata e ricostruita dal giudice di merito, rientra pienamente nelle
previsioni della Convenzione sopra richiamata nonché nella fattispecie
di cui all’art.
riconoscimento

7, d.lgs.
dello

251/2007, essendo presupposto per il

status

di

rifugiato

il

fondato

timore

di

persecuzione “personale e diretta” nel Paese d’ori,g ine del richiedente,
a

causa

della

razza,

della
5

religione,

della

nazionalità,

(

Corte di Casazione – copia non ufficiale

Unite per i rifugiati) del 07/05/2002 sulla persecuzione basata sul

dell’appartenenza ad un gruppo sociale ovvero per le opinioni
politiche professate (Cass. 14157 del 11/07/2016, Rv. 640261- 01).
Non c’è dubbio, per quanto sopra esposto, che l’odierna ricorrente sia
stata

vittima

di

una

persecuzione

personale

e

diretta

per

forma di «atti specificatamente diretti contro un genere sessuale»

(art. 7, comma secondo, lett. f, d.lgs. 251/2007). Invero, ai sensi
dell’art. 5, lett. c, d.lgs. 251/2007, responsabili della persecuzione
possono anche essere “soggetti non statua/i” se le autorità statali o le
organizzazioni che controUano lo Stato o una parte consistente del
suo territorio “non possono o non vogliono fornire protezione”
adeguata ai sensi dell’art. 6,
18/11/20 13);

nella

specie,

comma

come

2 (Cass.

riportato

nel

n. 25873 del
provvedimento

impugnato, proprio il peso delle norme consuetudinarie locali ha
impedito che Jacob Obeka Stella potesse trovare adeguata protezione
da parte delle autorità statali.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con assorbimento del
secondo motivo. La sentenza impugnata va pertanto cassata e, non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere
decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, c.p.c.,
riconoscendo a Jacob Obeka Stella, nata in Nigeria il 25/11/1969, lo

status di rifugiato. I n considerazione della particolarità della vicenda e
degli alterni esiti dei giudizi di merito, il Collegio ritiene equo
compensare integralmente le spese di lite di tutti i gradi di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo motivo e dichiara
assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel

6

(

Corte di Casazione – copia non ufficiale

l’appartenenza a un gruppo sociale (ovvero in quanto donna), nella

merito, riconosce a Jacob Obeka Stella, nata in Nigeria il 25/11/1969,
lo status di rifugiato.
Compensa le spese di tutti i gradi del giudizio.

Corte di Casazione – copia non ufficiale

Cosi è deciso in Roma, nella Camera dì consiglio del 23/06/2017 .

7

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