Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28139 del 21/12/2011

Cassazione civile sez. II, 21/12/2011, (ud. 30/11/2011, dep. 21/12/2011), n.28139

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 387-2007 proposto da:

M.V.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MUGGIA

21, presso lo studio dell’Avvocato LIBERATORE ROBERTO, rappresentato

e difeso dall’Avvocato PASCULLO PASQUALE;

– ricorrente –

contro

M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ASIAGO 2,

presso lo studio dell’Avvocato PAIANO SIMONA, rappresentata e difesa

dall’Avvocato BERARDINO GIANCASPERO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 923/2006 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 10/10/2006.

Udita, la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2011 dal Consigliere Dott. ALBERTO GIUSTI;

udito l’Avvocato SEBASTIANO DI LASCIO, per delega dell’Avvocato

GIANCASPERO BERARDINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CAPASSO Lucio che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il Tribunale di Bari, sezione distaccata di Bitonto, con sentenza in data 28 febbraio 2002 ha rigettato la domanda di M.V.O. volta ad ottenere la declaratoria di nullità di una clausola contenuta nell’atto di donazione del 4 giugno 1970 da M.F. a M.L., proposta nell’ambito di un giudizio di opposizione agli atti esecutivi e all’esecuzione, e, in accoglimento della riconvenzionale avanzata dalla convenuta M.C., ha condannato l’attore al pagamento della somma di L. 1.000.000 per annualità 1998-1999, oltre interessi legali che la Corte d’appello di Bari, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 10 ottobre 2006, ha rigettato il gravame di M.V.O.;

che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello quest’ultimo ha proposto ricorso, con atto notificato il 18 dicembre 2006, sulla base di un motivo;

che l’intimata ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che l’unico mezzo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, anche per travisamento dei fatti e documenti, circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 796 cod. civ.;

che il motivo è inammissibile, perchè non rispetta la prescrizione formale dell’art. 366-bis cod. proc. civ.;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366-bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma;

che il motivo – là dove denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge – non si conclude con un quesito che individui tanto il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata;

che lo stesso motivo, là dove censura omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, non reca la conclusiva formulazione del quesito di sintesi;

che questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria e le ragioni della contraddittorietà della motivazione o per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione;

che ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603);

che non si può dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto e le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass., Sez. 3, 30 dicembre 2009, n. 27680);

che nella specie il motivo di ricorso, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 5, è totalmente privo di tale momento di sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione della censura;

che pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara, il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.100, di cui Euro 900 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011

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