Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28137 del 21/12/2011

Cassazione civile sez. II, 21/12/2011, (ud. 30/11/2011, dep. 21/12/2011), n.28137

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24581-2006 proposto da:

L.P., p. iva (OMISSIS) titolare dello STUDIO PL

ARREDAMENTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE MILIZIE 1,

presso lo studio dell’Avvocato CIRIOTTI VITTORIO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’Avvocato CURALLO FRANCESCO;

– ricorrente –

contro

P.A. c.f. (OMISSIS), titolare della PIZZERIA

BIRRERIA DA ANTONIO & MARIA, elettivamente domiciliato in ROMA,

V.LE

ANGELICO 12, presso lo studio dell’Avvocato MARVASI TOMMASO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’Avvocato LATTANZIO MAURIZIO;

– controricorrente –

e contro

YORK INTERNATIONAL SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 179/2006 del TRIBUNALE di ASTI, depositata il

21/03/2006.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2011 dal Consigliere Dott. ALBERTO GIUSTI;

udito l’Avvocato VITTORIO CIRIOTTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CAPASSO Lucio che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il Tribunale di Asti, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 21 marzo 2006, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da L.P., titolare dello studio P.L. Arredamenti, nei confronti di P.A., titolare della ditta Pizzeria Birreria “Da Antonio e Maria”, e della s.p.a. York International, per la riforma della sentenza del Pretore di Asti n. 79 del 6 aprile 1999, la quale, in accoglimento della domanda del P., aveva dichiarato risolto il contratto di fornitura e posa in opera di un climatizzatore intercorso con il L. e condannato quest’ultimo alla restituzione del prezzo pagato ed al risarcimento del danno;

che il Tribunale ha ritenuto l’atto di gravame privo di motivi specifici di impugnazione “in quanto: caratterizzato per la gran parte dalla minuziosa contestazione di singoli assunti contenuti nella sentenza pretorile, disarmonicamente riportati a dimostrazione dell’erroneità generale della pronuncia di primo grado, senza la …

correlazione da una parte con le specifiche conseguenze tratte dal giudice di prime cure in punto di decisione dei singoli capi di sentenza e, dall’altra parte, con le opposte argomentazioni defensionali in funzione dell’accoglimento delle pretese della parte appellante; contraddistinto, in chiusa dell’appello stesso, da un rinvio estremamente generico, ancorchè qualificato come espresso a tutte le difese ed eccezioni svolte in prime cure ed in particolare a quelle di conclusionale 15.1.1999, richiamo che, per essere estremamente vago ed ampio e per il fatto di non consentire se non eventualmente all’esito dello studio di tutte le difese di primo grado di escludere che con esso si sia inteso riprodurre argomentazioni tali da determinare contraddizioni e cesure logiche con quanto affermato nell’atto di appello, ha per ciò solo l’effetto di privare di specificità il gravame e, conseguementemente, di farne derivare, in via esclusiva su ogni altra questione, l’inammissibilità del gravame stesso”;

che per la cassazione della sentenza del Tribunale L.P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 4 settembre 2006, sulla base di un motivo;

che P.A. ha resistito con controricorso, mentre l’altra intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che con l’unico motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione, falsa ed illogica applicazione degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ., e pone il quesito “se può il giudice d’appello … a fronte di una pluralità di motivi posti a base dell’appello, dichiarare l’inammissibilità dell’appello nel suo complesso per genericità dei motivi stessi: limitandosi ad una analisi complessiva, sommaria e del tutto apparente delle doglianze avanzate, senza esaminare analiticamente e disgiuntamente i singoli motivi dandone specifica motivazione, senza porli in correlazione tra loro, coordinandoli e rapportandoli alla esposizione in fatto e alle conclusioni assunte dall’appellante, senza verificare se i capi della sentenza impugnata e le richieste di riforma della stessa non emergano dall’esame sia disgiunto sia congiunto dei singoli motivi e delle conclusioni assunte, ancorchè i capi impugnati e le richieste di riforma non siano concretizzati in formule sacramentali”;

che il motivo è inammissibile per inidoneità del quesito;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366-bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 65 secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e 1’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma;

che il quesito proposto è assolutamente generico, perchè si limita a denunciare, in via del tutto apodittica, un errore del giudice d’appello nell’analisi dei motivi di impugnazione, ma non contiene alcun riferimento alla fattispecie e alle concrete movenze dell’atto di gravame, nè reca alcuna evidenziazione delle ratlones della sentenza di primo grado e delle censure veicolate con l’atto di appello, e quindi con consente di stabilire se – come denunciato dal ricorrente – il Tribunale abbia proceduto ad una “analisi complessiva, sommaria e del tutto apparente” delle censure, omettendo di porle “in correlazione tra loro”;

che pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza

P.Q.M.

La Corte dichiara, il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 1.500 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011

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