Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28134 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. I, 31/10/2019, (ud. 04/10/2019, dep. 31/10/2019), n.28134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23657/2018 r.g. proposto da:

I.E., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati

Ottavio Pannone e Rocco Barbato, con cui elettivamente domicilia in

Benevento, Via Nicola Sala n. 29, presso lo studio dell’Avvocato

Barbato.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del legale rappresentante pro

tempore il Ministro, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui Uffici, in Roma Via dei

Portoghesi n. 12, è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Catanzaro, depositato in data

28.6.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

4/10/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Catanzaro – decidendo sulle domande di protezione internazionale ed umanitaria proposte da I.E., cittadino della (OMISSIS), dopo il diniego di protezione da parte della commissione territoriale di Crotone – ha rigettato il ricorso del richiedente.

Il tribunale ha ricordato che il richiedente aveva raccontato: di aver frequentato due anni di università in Nigeria e di confermare tutti i dati presenti nel modello C3; di appartenere al gruppo etnico Edo e di essere di religione cristiana; di aver svolto, nel suo paese, il lavoro di stilista; di aver lasciato il suo paese e di aver fatto ingresso in Italia, dopo aver attraversato Libia e Niger; di essere stato scoperto dallo zio nella relazione omosessuale intrattenuta con il cugino e di essere stato cacciato di casa a causa della sua condizione di omosessuale.

Il tribunale ha ritenuto intrinsecamente inattendibile il racconto del richiedente, evidenziando altresì che il ricorrente non aveva manifestato timori ad essere rimpatriato. Il tribunale ha, dunque, osservato che, quanto alla richiesta del riconoscimento dello status di rifugiato e alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, il giudizio di non credibilità non consentiva di accordare la richiesta protezione e, quanto alla protezione di cui alla lett. c del predetto art. 14, la provenienza del richiedente dall’Edo State non permetteva di ritenere che il ricorrente fosse stato esposto ad un pericolo di violenza generalizzata ed indiscriminata. Il tribunale ha infine rilevato che la valutazione di non credibilità non consentisse neanche il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie e che, peraltro, la produzione dell’attestato di frequenza presso un laboratorio di arti plastiche non integrava in nessuna misura i presupposti richiesti per ritenere dimostrata la integrazione sociale del richiedente.

2. Il decreto, pubblicato il 28.6.2018, è stato impugnato da I.E. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 8, nonchè artt. 112 e 116 c.p.c. e comunque omessa e insufficiente motivazione. Si osserva che il giudice del merito aveva omesso di considerare la situazione generale del paese di provenienza e del paese di transito, e cioè della Libia e che non era corretta la valutazione di non credibilità del racconto del richiedente.

2. Con il secondo motivo si denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, ed omessa e insufficiente motivazione. Si osserva che la valutazione di credibilità non è frutto di soggettivistiche opinioni del giudice di merito, ma il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione e che la motivazione impugnata non aveva valutato la sostanziale coerenza e plausibilità del racconto, nè la circostanza secondo cui l’omosessualità è considerata reato in Nigeria.

3. Con il terzo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e vizio di motivazione contraddittoria. Si evidenzia da parte del ricorrente che il richiedente asilo non deve rappresentare una condizione caratterizzata da una personale e diretta esposizione al rischio, quando è possibile evincere dalla situazione generale del paese che la violenza è generalizzata e non controllata, per inerzia o collusione attiva o passiva, dai poteri statuali. Nel caso di specie, il giudice del merito non aveva assunto alcuna informazione limitandosi a verificare esclusivamente la situazione generale della Nigeria e mancava inoltre l’indagine sulla situazione del paese in transito. Si denuncia ancora che non risultano indicati i report consultati per accertare e delineare la situazione socio-politica del paese di origine del richiedente asilo e del paese in cui quest’ultimo è transitato.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34, nonchè dell’art. 10 Cost. e degli artt. 112 e 116 c.p.c. e vizio di omessa e insufficiente motivazione in ordine alla richiesta di protezione umanitaria.

5. Il ricorso è inammissibile.

5.1 I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, prospettando invero le medesime doglianze.

Essi sono in realtà inammissibili perchè, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, si pretende di censurare la valutazione di credibilità del racconto svolta dal giudice del merito.

Sul punto è utile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimità, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (così, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). In realtà, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità della doglianza così

prospettata.

Va aggiunto, quanto alle censure sollevate in relazione al passaggio del richiedente in Libia, che la giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018). Situazione quest’ultima neanche prospettata da parte del ricorrente.

5.2 Il terzo motivo è invece inammissibile in ragione del fatto che il ricorrente pretende, con la proposizione della relativa doglianza, una rivalutazione di merito della situazione di pericolosità interna della Nigeria, profilo quest’ultimo il cui scrutinio deve ritenersi inibito al giudice di legittimità, involgendo valutazioni prettamente di merito e sul quale il tribunale ha, peraltro, reso una motivazione adeguata e scevra da criticità argomentative.

5.3 Il quarto motivo, declinato in relazione al diniego di protezione umanitaria, è invece inammissibile in ragione della sua evidente genericità. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 96602019.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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