Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28133 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. I, 31/10/2019, (ud. 04/10/2019, dep. 31/10/2019), n.28133

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18165-2018 r.g. proposto da:

B.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Antonietta Vattimo, elettivamente domiciliato in Roma, Via G.B.

Martini n. 14, presso lo studio dell’Avvocato Del Duca Emanuele.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del legale rappresentante pro

tempore il Ministro;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Catanzaro, depositato in data

1.6.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

4/10/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Catanzaro – decidendo sulla domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da B.A., cittadino del Gambia, in seguito al provvedimento di diniego della reclamata protezione da parte della competente commissione territoriale – ha rigettato le domande così proposte dal richiedente.

Il tribunale ha ricordato che: a) il richiedente, davanti alla commissione territoriale, aveva dichiarato di provenire da (OMISSIS) e di essere stato, nel 2015, arrestato e condotto subito in carcere per aver cagionato lesioni ad un suo amico nel corso di un litigio e di essere stato condannato a cinque anni di reclusione; b) il richiedente aveva altresì dichiarato di aver trascorso in carcere solo due settimane, in quanto lo zio, guardia penitenziaria, lo aveva aiutato ad evadere e di non aver subito alcun processo; c) la commissione territoriale aveva ritenuto la vicenda raccontata non credibile, in quanto il richiedente non aveva esibito alcuna documentazione a sostegno della storia narrata e si era contraddetto in ordine alla riferita circostanza della pena applicata in seguito ad un processo e in relazione alla vicenda dell’evasione; d) la commissione territoriale aveva altresì riscontrato un ulteriore profilo di contraddittorietà del racconto, esaminando le dichiarazioni rese sul modello C3 in raffronto con le dichiarazioni rese in audizione.

Il tribunale, sulla scorta della detta ricostruzione, ha dunque ritenuto insussistente una correlazione tra l’espatrio ed eventuali persecuzioni riconducibili a situazioni politiche o religiose od altri aspetti previsti dalla Convenzione di Ginevra; ha osservato, quanto alla situazione socio-politica attuale del Gambia, che – nonostante, fino a poco tempo addietro, era esistente in Gambia una grave situazione di violazione dei diritti umani non risultano allegati elementi per ascrivere comunque il ricorrente ad una delle categorie indicate dalle fonti internazionali come categorie a rischio di persecuzione e che, peraltro, non poteva considerarsi attuale il rischio per il richiedente di un danno grave, posto che il nuovo regime politico era ormai avviato su un percorso di riforme democratiche. Il tribunale ha dunque evidenziato che l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a, non era stata neanche prospettata dal ricorrente, mentre, quanto al timore di essere condotto in carcere, doveva ribadirsi il giudizio di non credibilità del racconto. Quanto alla reclamata protezione umanitaria, il giudice del merito ha evidenziato che non erano stati allegati specifici profili di vulnerabilità soggettiva, nè risultava che in Gambia vi fosse una compromissione del nucleo minimo dei diritti inviolabili tale da esporre concretamente il ricorrente ad una oggettiva situazione di vulnerabilità, in caso di rimpatrio. Nè valeva richiamare – ha osservato ancora il tribunale – il regime dittatoriale precedente, perchè con il nuovo presidente eletto democraticamente la tutela dei diritti umani era decisamente migliorata.

2. Il provvedimento, pubblicato il 1.6.2018, è stato impugnato da B.A. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5. Si denuncia come erronea la valutazione di non credibilità del racconto espressa dal tribunale posto che il richiedente aveva compiuto ogni sforzo per circostanziare la domanda ed aveva fornito tutti gli elementi utili in suo possesso.

2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa valutazione di un fatto decisivo in relazione alla protezione sussidiaria, presidiata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Si evidenzia che non è condivisibile l’assunto motivazionale secondo il quale, se il richiedente dovesse tornare nel proprio paese d’origine, non sarebbe a rischio di un danno grave, e ciò proprio alla luce della circostanza che il richiedente è ricercato dalla polizia, con tutti i conseguenti rilevanti rischi.

3. Con il terzo motivo si articola, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omessa valutazione di fatti in riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1 Il primo motivo è inammissibile perchè, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, si pretende di censurare la valutazione di credibilità svolta dal giudice del merito.

Sul punto è utile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimità, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (così, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). In realtà, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità della doglianza così prospettata.

4.2 Anche la seconda censura non supera il vaglio di ammissibilità.

Si pretende da parte del ricorrente una rivalutazione delle fonti di prova per un nuovo scrutinio della situazione di pericolosità interna del Gambia, profilo quest’ultimo sul quale invece il giudice del merito ha argomentato in modo adeguato, evidenziando il percorso di democratizzazione interna del paese dopo le elezioni recentemente svolte.

La doglianza, richiedendo valutazioni di merito che sono inibite al giudice di legittimità, è dunque irricevibile.

4.3 Ma inammissibile risulta essere anche la terza censura che si compone di una generica elencazione di principi normativi e giurisprudenziali in tema di protezione umanitaria, senza allegare nulla sulla posizione di soggettiva vulnerabilità del richiedente.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 96602019.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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