Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28132 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. I, 31/10/2019, (ud. 04/10/2019, dep. 31/10/2019), n.28132

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24727/2018 r.g. proposto da:

A.M.F., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato

Luigi Migliaccio, presso il cui studio elettivamente domicilia in

Napoli, alla piazza Cavour n. 139;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, ope legis,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia

in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI CATANZARO depositato in data

11/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/10/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. A.M.F., nativo del Bangladesh, ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, avverso il decreto del Tribunale di Catanzaro dell’11 luglio 2018, n. 2410, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari). Resiste, con controricorso, il Ministero dell’Interno.

1.1. In particolare, quel tribunale ritenne scarsamente credibile condividendo l’analogo giudizio della commissione territoriale, secondo cui si trattava di “dichiarazioni generiche, poco circostanziate e in alcuni aspetti incoerenti…” – il racconto del richiedente e, comunque, i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste inidonei a consentirne l’accoglimento.

2. Le formulate censure prospettano, rispettivamente:

I) “Error in iudicando – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 35-bis e art. 737 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, ascrivendosi al tribunale di aver respinto la domanda di protezione internazionale utilizzando esclusivamente il canone della credibilità soggettiva dell’odierno ricorrente, senza osservare le disposizioni di legge che impongono al Giudice di accertare la situazione reale dei Paesi di origine e provenienza, mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi di ampia indagine ed acquisizione documentale;

II) “Error in procedendo – violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, posto che il tribunale, scrutinando la domanda di protezione sussidiaria, aveva omesso di pronunciarsi su una questione oggetto di specifica doglianza e relativa al profilo di rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b);

III) “Error in iudicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, relativo ai presupposti per il riconoscimento di protezione umanitaria”, assumendosi che il tribunale avrebbe denegato la protezione umanitaria senza esaminare le specifiche circostanze dedotte dall’odierno ricorrente;

IV) “Error in iudicando – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e art. 5, comma 6 T.U.I., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, laddove il tribunale aveva negato la protezione umanitaria senza valutare il ricorrere di un’esigenza qualificabile come umanitaria, ovverosia fondata su ragioni di carattere umanitario sia sotto il profilo del rispetto degli obblighi costituzionali dell’Italia, sia sotto quello dell’osservanza degli obblighi internazionali desumibili dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo e da altre Carte internazionali.

3. Tali doglianze, esaminabili congiuntamente perchè evidentemente connesse, sono complessivamente insuscettibili di accoglimento.

3.1. Questa Corte, ancora di recente (cfr. Cass. n. 18431 del 2019), ha ribadito quale sia il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria” invocata dal ricorrente, ricondotta alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

3.1.1. In primo luogo, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la “cooperazione istruttoria” consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma, esclusivamente, su quello della prova, in quanto l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerate veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (medesimo D.Lgs., art. 3, comma 5). Ne consegue che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare, anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante, si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (cfr. Cass. n. 17069 del 2018). Al contrario, se l’allegazione manca, l’esito della domanda è segnato, in quanto la richiesta di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015).

3.1.2. Infatti, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019).

3.1.3. Una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere dell’Autorità Giudiziaria di cooperazione istruttoria, e, quindi, di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del Paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, poichè è evidente che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel Paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè, d’altronde, avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal già citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

3.2. Nella specie, il Tribunale di Catanzaro, dopo aver ricordato i requisiti di legge per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o di quella umanitaria: i) ha sostanzialmente condiviso la valutazione di scarsa credibilità del racconto del ricorrente, già affermata dalla Commissione territoriale, con valutazione in fatto qui evidentemente non sindacabile (cfr. Cass. n. 3340 del 2019, secondo cui “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito”), se non nei ristretti limiti e con le peculiari modalità – cfr. Cass., SU. n. 8053 del 2014 – in cui è oggi prospettabile, giusta l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso l’11 luglio 2018: vizio motivazionale, nella specie, peraltro non denunciato su questo specifico aspetto; ii) ha ponderato, indicando le fonti del proprio convincimento (HRW – Human Right Watch, in World Report 2017 e documento EASO “Bangladesh Overview Country di dicembre 2017: trattasi di documentazione da reputarsi ragionevolmente aggiornata in rapporto al momento – 11 luglio 2018 – di deliberazione del decreto suddetto), la situazione sociale, politica ed economica del Paese (Bangladesh) di provenienza dell’odierno ricorrente (dove, dunque, questi andrebbe, se del caso, rimpatriato), escludendo che la stessa potesse configurarsi in termini di gravità quale descritta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), laddove il ricorrente invoca, oggi, anche con riferimento alla invocata protezione umanitaria (cfr. il terzo ed il quarto motivo), circostanze e/o fatti di violenza indiscriminata e/o mancato riconoscimento di diritti nel suddetto Paese avulsi del tutto da ogni contestualizzazione.

3.3. Giova, poi, ricordare (con specifico riguardo al secondo motivo dell’odierno ricorso, ed alla esistenza, rispetto ad esso, di un effettivo interesse della corrispondente doglianza del ricorrente) che, quanto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), stante il giudizio di scarsa credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente protezione, la stessa non avrebbe comunque potuto riconoscersi, nè sarebbero stati dovuti dal giudice ulteriori accertamenti sulla corrispondente istanza (cfr. Cass. n. 4829 del 2019).

3.4. Deve, dunque, ritenersi che il ricorrente abbia posto a fondamento della propria domanda di protezione internazionale una vicenda scarsamente credibile, riguardo alla quale, evidentemente, non vi era alcun dovere di cooperazione istruttoria e che doveva e poteva essere scrutinata soltanto sulla base della sua intrinseca credibilità: credibilità che il giudice merito ha escluso, con giudizio qui non ulteriormente sindacabile per le ragioni già precedentemente evidenziate, dovendosi soltanto rimarcare che l’assunto riguardante l’inattendibilità del richiedente protezione e la motivazione addotta a sostegno di tale convincimento non sono stati specificamente censurati in questa sede dal ricorrente, il quale ha, invece, infondatamente lamentato il mancato esercizio da parte del Giudice dei propri poteri-doveri officiosi di indagine e di acquisizione documentale, in ogni caso esercitati dal tribunale, come dianzi illustrato.

3.5. Quanto, infine, all’invocato riconoscimento della protezione umanitaria, è evidente che la scarsa attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante, atteso che, al fine di valutare se il richiedente abbia ivi subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, la situazione oggettiva del Paese d’origine deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente, come si è già detto, l’attivazione dei poteri officiosi.

3.5.1. Nella specie, non solo la narrazione dei fatti è stata ritenuta scarsamente attendibile, ma il tribunale ha altresì osservato (cfr. pag. 7 del decreto impugnato) che “…nonostante la concessione di un termine di venti giorni per il deposito di documentazione lavorativa del richiedente, lo stesso non ha depositato nulla, nè sono stati allegati concreti profili di vulnerabilità o altre gravi ragioni di protezione o risulta che nella zona di provenienza del ricorrente sia in atto una compromissione tale del nucleo minimo dei diritti inviolabili da consentire il riconoscimento della protezione umanitaria (non essendo stato allegato, in modo chiaro e circostanziato, nessun rischio sociale specifico al quale il ricorrente, in caso di rimpatrio, sarebbe concretamente esposto…)”.

3.5.2. Il terzo ed il quarto motivo dell’odierno ricorso si risolvono, invece, nella elencazione di circostanze generiche (asseritamente non esaminate dal giudice a quo) e/o di fatti di violenza indiscriminata e/o del mancato riconoscimento di diritti nel Paese di provenienza dell’istante avulsi del tutto da ogni contestualizzazione, fondandosi esclusivamente sul rilievo della condizione generale del Paese predetto, senza indicazione di elementi individualizzanti, indispensabili per la forma di protezione in esame.

3.6. In definitiva A.M.F., con i motivi in esame, per come concretamente argomentati, tenta sostanzialmente di opporre alla valutazione fattuale contenuta nel decreto impugnato una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica del vizio motivazionale e di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

4. Il ricorso, dunque, va respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato l’odierno ricorso proposto il 23 agosto 2018), sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna A.M.F. al pagamento, nei confronti del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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