Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28132 del 21/12/2011

Cassazione civile sez. II, 21/12/2011, (ud. 30/11/2011, dep. 21/12/2011), n.28132

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.V., G.D., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA GIUSEPPE FERRARI 12, presso lo studio dell’Avvocato SMEDILE

SERGIO, che li rappresenta e difende unitamente all’Avvocato MIRIELLO

VINCENZO;

– ricorrenti –

contro

C.E., D.P.B.M.C., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA BARBERINI 47, presso lo studio dell’Avvocato

RIDOLFI SANDRO, che li rappresenta e difende unitamente all’Avvocato

ANTONUCCI ALBERTO;

– controricorrenti –

e contro

D.M.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 564/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 03/04/2006.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2011 dal Consigliere relatore Dott. ALBERTO GIUSTI;

udito l’Avvocato SERGIO SMEDILE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CAPASSO Lucio che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la Corte d’appello di Torino, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 3 aprile 2006, ha respinto il gravame interposto da V. e G.D. avverso la sentenza del Tribunale di Torino, sezione distaccata di Ciriè, che aveva rigettato la domanda di condanna dei convenuti C.E. e D.P.B.M.C. alla demolizione di costruzioni asseritamente realizzate a distanza irregolare dal confine, nel contraddittorio con il terzo chiamato D.M. G.;

che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello G. D. e G.V., quest’ultimo nella qualità di erede di G.V., hanno proposto ricorso, sulla base di due motivi;

che il C. e la D.P.B. hanno resistito con controricorso, mentre l’altro intimato indicato in epigrafe non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che il primo motivo (violazione dell’art. 907 cod. civ. e falsa applicazione dell’art. 900 cod. civ.) si conclude con il seguente quesito di diritto “se nella fattispecie in esame – nella quale sussiste un’apertura larga 63 cm. e alta cm. 170 nell’ambito del muro perimetrale dell’edificio secolare attoreo, che presenta anche uno scalino alto 15 cm. dal pavimento del sottotetto – si configuri o no la veduta disciplinata dall’art. 900 cod. civ.; se, in caso affermativo, sia violata la norma dell’art. 907 cod. civ.”;

che con il secondo mezzo (falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ.) si chiede di stabilire “se gli attori, con la domanda ex art. 907 cod. civ. esperita contro i convenuti, abbiano provocato e giustificato la chiamata in garanzia impropria del terzo D.M. G.; se, inoltre, le spese sostenute dal terzo chiamato siano state poste legittimamente ex art. 91 cod. proc. civ. a carico degli attori, oppure se dovessero essere poste a carico dei convenuti, che lo hanno chiamato in causa ingiustificatamente”;

che entrambi i motivi non si concludono con un idoneo quesito di diritto;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366-bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma;

che il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153);

che l’uno e l’altro quesito sono inidonei, perchè non individuano nè il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, nè, correlativamente, il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata;

che in particolare, il primo quesito non si confronta con la specifica ratio decidendo che sostiene la pronuncia impugnata, là dove si “esclude … che l’apertura al secondo piano lato nord di proprietà G. possa essere qualificata come veduta: la mancanza di parapetto e di qualsiasi altro tipo di protezione, tale non potendosi certo considerare il rialzo dell’esigua dimensione – assolutamente inadeguata alla protezione non solo di un bambino ma anche di una persona di statura media – di cm. 15 dal piano di calpestio esclude infatti la possibilità di esercitare in piena sicurezza e con carattere di comodità, permanenza e normalità l’affaccio, che è requisito fondamentale per l’individuazione della veduta”;

che anche il secondo quesito non tiene assolutamente conto del fatto che la sentenza impugnata ha affermato che “è stata l’iniziativa dei signori G., rivelatasi priva di ragione, a dare impulso alla domanda risarcitoria formulata dai convenuti appellati nei confronti del progettista dell’opera ritenuta lesiva, in ipotesi, del diritto di veduta degli attori appellanti”;

che pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 2.200, di cui euro 2.000 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011

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