Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28129 del 24/11/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 28129 Anno 2017
Presidente: CRISTIANO MAGDA
Relatore: NAZZICONE LOREDANA

ORDINANZA
sul ricorso 19765-2016 proposto da:
BRIGANTE ANGELO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA GIULIANA n.44, presso lo studio dell’avvocato MARIO DI
LUZIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO
BARBARA;

– ricorrente contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. C.F. e
P.I.00884060526, in persona del Dott. LUIGI LOSURDO nella sua
qualità di responsabile dell’ufficio Crediti e legale dell’Area Territoriale
centro e Sardegna, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO
VITTORIO EMANUELE II n.326, presso lo studio dell’avvocato
CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che la rappresenta e difende;

controlicorrente

Data pubblicazione: 24/11/2017

avverso la sentenza n.247/2016 della CORTE D’APPELLO di
L’AQUILA, depositata il 01/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 03/10/2017 dal Consigliere Dott. LOREDANA
NAZZICONE.

– che la parte ricorrente ha proposto ricorso, affidato a quattro
motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello dell’Aquila del 2
marzo 2016, la quale ha respinto l’impugnazione avverso la decisione
del tribunale della stessa città, che aveva a sua volta disatteso le
domande proposte avverso la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.,
relativamente a contratto di intermediazione finanziaria;
– che la corte del merito, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che:
a) non sussiste nullità per la dedotta violazione degli obblighi
informativi da parte dell’intermediario; b) il motivo di appello, con cui
è stata dedotta la nullità dell’ordine per violazione dell’art. 23 d.lgs. n.
58 del 1998, nell’assunto non essendo stato impartito per iscritto, né
per telefono, è inammissibile, perché integra una domanda nuova; c)
nessuna violazione ai propri obblighi informativi, attivi e passivi,
sussiste, anche attesa l’alta propensione al rischio ed esperienza
finanziaria dell’investitore, mentre gli ordini telefonici furono trascritti
nel registro apposito e la banca, dopo il primo ordine, per i successivi
avvertì il cliente della loro inadeguatezza, sollecitando altresì la
dismissione dei titoli precedenti, ma senza esito;
– che resiste l’intimata con controricorso;
– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis
c.p.c.;
– che la controricorrente ha depositato la memoria;
CONSIDERATO
Ric. 2016 n. 19765 sez. MI – ud. 03-10-2017
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RILEVATO

- che il primo motivo — il quale verte sulla violazione e falsa
applicazione degli artt. 1453 c.c., 23 d.lgs. n. 58 del 1998, 28 e 29 reg.
Consob n. 11511 del 1998 — è inammissibile, in quanto esso richiama
genericamente il

dici/un di Cass., sez. un., n. 26724 del 2007,

pretendendo da ciò solo di far discendere raccoglimento della

innumerevoli violazioni dei doveri di informaione del cliente, meglio descritte nelle
pagg da pag. 12 a pag. 25 dell’atto d’appello», con evidente vizio di
autosufficienza ex art. 366, 1° comma, c.p.c., per difetto addirittura di
un vero motivo di censura ad una specifica argomentazione della corte
del merito;
– che il secondo motivo — il quale deduce la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1418 c.c., 6 e 7 d.lgs. n. 5 del 2003, affermando
di avere il ricorrente sin dalle conclusioni in primo grado precisato che
la banca ha violato «tutti gli obblighi» su di essa gravanti, e che nella
memoria di cui all’art. 7 del citato decreto legislativo egli avesse
menzionato «la nullità degli ordini telefonici anche sulla base di quanto a ermato

a tal riguardo dal Tribunale di Milano con la sentenza 7.10.2005», onde la
corte territoriale avrebbe dovuto rilevare che la banca non ha provato
di avere fornito tutte le informazioni necessarie — è parimenti
inammissibile, perché confonde continuamente vizi di nullità ed
inadempimenti informativi, mentre la stessa pretesa deduzione, nella
memoria di replica ulteriore, del vizio di nullità si palesava
inammissibile, per la sua genericità;
– che il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 5, c.p.c. — per avere la corte territoriale omesso di
considerare alcune schede sottoscritte dal ricorrente nel 2005 presso
altra banca, da cui risultava un profilo di investitore medio — è
inammissibile, avendo le S.U. ormai chiarito che, «nel rigoroso rispetto delle
Ric. 2016 n. 19765 sez. M1 – ud. 03-10-2017
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domanda di risoluzione del contratto per essere state «poste in essere

previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.
proc. civ., il ricorrente deve indicare il 1atto storico”, il cui esame sia stato omesso,
il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il
“girando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di

in causa, sia stato comunque preso in considera ione dal giudice, ancorché la
sentenza non abbia dato conto di tutte le risultane probatorie» (Cass., sez. un.,
7 aprile 2014, n. 8053); in sostanza, dunque, il cattivo esercizio del
potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di
merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per
cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360,
comma 1, n. 5, c.p.c., né in quello del precedente n. 4 (da ultimo, Cass.
10 giugno 2016, n. 11892), risolvendosi, dunque, le censure in esame in
una riproposizione del giudizio di fatto;
– che il quarto motivo — il quale censura la violazione dell’art. 246
c.p.c., per non avere la corte del merito ritenuto il dipendente bancario
incapace a testimoni4e — è inammissibile, trattandosi di mera
argomentazione ad adúlvandum che menziona “anche” le dichiarazioni
del teste, laddove la corte del merito palesa piuttosto di aver
considerato rilevanti i documenti, da cui risultava già la propensione
all’acquisto di strumenti finanziari ad alto rendimento e, dunque,
rischiosi, sin da epoca anteriore alle operazioni per cui è causa; anzi, la
sentenza menziona più volte l’avvenuto acquisto di vari titoli mediante

home banking, proprio per sottolineare la dimestichezza dell’investitore
con le operazioni finanziarie a carattere spiccatamente speculativo;
mentre, in punto di diritto, la sentenza è conforme al precedente di
questa Corte, secondo cui non comporta la incapacità a testimoniare ex
art. 246 c.p.c. «per i dipendenti di una banca la circostana che questa, evocata in
Ric. 2016 n. 19765 sez. M1 – ud. 03-10-2017
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per sé., il vkio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante

giudkio da un cliente, potrebbe convenirli in (garafkia nello stesso giudkio per essere
responsabili dell’operckione che ha dato origine alla controversia» (Cass. 10 aprile
2014, n. 8462);
– che la condanna alle spese segue la soccombenza;
– che deve provvedersi alla dichiarazione di cui all’art. 13 d.P.R. 30

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente
al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in € 7.200,00 per compensi, oltre ad € 100,00
per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli
accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del
versamento del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 ottobre 2017.

maggio 2002, n. 115;

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