Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28128 del 24/11/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 28128 Anno 2017
Presidente: CRISTIANO MAGDA
Relatore: NAZZICONE LOREDANA

ORDINANZA
sul ricorso 19191-2016 proposto da:
TACCONI LUCIANA, elettivamente domiciliata in ROMA, Viale
DELLE MILIZIE n.114, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO
VALLEBONA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIAN LUCA
PINTO;

– ricorrente contro
FALLIMENTO IMPRESA DR. ING. GIOVANNI TOGNOZZI
S.P.A. P.I. 01074310481, in persona del suo curatore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CANTORE n.5, presso lo studio
dell’avvocato FILIPPO MNFTIA RUSSO, rappresentata e difesa
dall’avvocato CIN ZIA CASTF,I1,1;

– contraricorrente –

92V;

Data pubblicazione: 24/11/2017

avverso il decreto del TRIBUNALE di FIRENZE del 22/06/2016,
depositato il 27/06/2016 emesso sul procedimento iscritto al
n°11632/2014 R.G.;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 03/10/2017 dal Consigliere Dott. LOREDANA

RILEVATO IN FATTO
– che la ricorrente ha proposto ricorso, sulla base di cinque motivi,
avverso il decreto del Tribunale di Firenze del 27 giugno 2016, il quale
ha respinto l’opposizione allo stato passivo del fallimento Impresa dr.
Ing. Giovanni Tognozzi s.p.a., con riguardo al richiesto privilegio del
credito ex art. 2751-bis, nn. 1 e 2, c.c.;
– che il tribunale ha ritenuto come: a) la ricorrente percepì, alla
conclusione del proprio rapporto di lavoro subordinato, la somma di €
64.467,16 a titolo di trattamento di fine rapporto, regolainiente
corrisposto; b) avendo la medesima ricoperto, in aggiunta a quello di
lavoratore subordinato, anche il ruolo di amministratore sia nella
società stessa, sia in altre società del gruppo, la pretesa creditoria di €
540.000,00 pertiene a tali cariche: come si desume chiaramente dalla
comunicazione inviatale dal presidente della società e da altri
documenti prodotti in giudizio, derivando tale credito dalla buonuscita
pattuita in un accordo transattivo tra le parti, e come risulta dalla stessa
comparazione tra il compenso annuo percepito quale

manager (€

180.000,00) e lo stipendio mensile ricevuto per la prestazione
subordinata (€ 3.421,13): onde detto credito non può essere assistito
da privilegio di cui al n. 1 della menzionata disposizione; il credito di
€ 102,607,97 non è assistito dal privilegio di cui al n. 2 della indicata
disposizione, relativo al compenso dei professionisti e di ogni altro
prestatore d’opera intellettuale dovuto per gli ultimi due anni di
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NAZZICONE.

prestazione, in quanto si trattò del corrispettivo per l’attività di
amministratore della società, non inquadrabile negli artt. 2222 ss. c.c.;
– che la procedura si difende con controricorso;
– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti di cui all’art. 380-

bis c.p.c.;

RITENUTO IN DIRITTO
– che il primo motivo lamenta la violazione degli artt. 2094, 2380-

bis, 2396 c.c., perché si dà necessariamente un “un unico rapporto
giuridico” fra il lavoratore e la società, pur quando egli rivesta la carica
gestoria, non essendo configurabile una duplicazione di posizioni
giuridiche in capo al lavoratore e dovendo l’intero rapporto inquadrarsi
necessariamente nell’art. 2094 c.c.;
– che esso è manifestamente infondato, avendo all’opposto chiarito
di recente le Sezioni unite di questa Corte che l’amministratore unico o
il consigliere di amministrazione di una s.p.a. sono legati alla stessa da
un «rapporto di tipo societario», in considerazione dell’immedesimazione
organica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della
coordinazione, non ricompreso in quelli previsti dal n. 3 dell’art. 409
c.p.c. (Cass., sez. un., 20 gennaio 2017, n. 1545);
– che, infatti, l’amministratore è «il vero egemone dell’ente sociale», come
afferma la decisione ora ricordata, la quale ha definitivamente posto
l’accento sulla tipicità e specificità del rapporto di amministrazione,
per concludere che esso non è soggetto al rito del lavoro (con
revisione del precedente di S.U. n. 10680 del 1994, la quale, nel
risolvere una questione di rito, aveva qualificato il rapporto di
amministrazione come lavoro parasubordinato, ai sensi dell’articolo
409 n. 3 c.p.c.): in tal modo, le Sezioni unite hanno respinto le altre
qualificazioni di lavoratore subordinato, parasubordinato, prestatore
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– che la parte ricorrente ha depositato la memoria;

d’opera professionale, mandatario (teoria tradizionale, mentre nel
nuovo art. 2392 c.c. è stato eliminato il richiamo alla “diligenza del
mandatario”); mentre, poi, già altre pronunce avevano rilevato la
specialità del rapporto, onde la legittimità della previsione statutaria di
gratuità delle funzioni di amministratore di società (Cass. n. 2861/02),

equiparabilità della revoca alla risoluzione del contratto di lavoro
subordinato (Cass. n. 23557/08), l’inapplicabilità del privilegio ex art.
2751-bis, n. 2, c.c. (Cass. n. 13805/04);
– che, peraltro, non è escluso «s’instauri, tra la società e la persona fisica

che la rappresenta e la (gestisce, un autonomo, parallelo e diverso rapporto che
assuma, secondo l’accertamento esclusivo del giudice del merito, le caratteristiche di
un rapporto subordinato, parasubordinato o d’opera»,in relazione ad attività
estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico: pur restando i
medesimi retti dalle rispettive discipline (così ancora Cass., sez. un., n.
1545 del 2017);
– che ne risulta, dunque, smentita in diritto la tesi della necessaria
unicità del rapporto;
– che il secondo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione
degli artt. 2094 e 2697 c.c., in quanto la procedura non avrebbe
dedotto l’invalidità, inefficacia o simulazione del contratto di lavoro,
mentre il decreto impugnato ha onerato la ricorrente di provare la
soggezione al potere direttivo dell’organo gestorio;
– che esso è manifestamente infondato, dal momento che, come
appena esposto, ben possono convivere i due rapporti, onde la
procedura non aveva l’onere di provare quanto dalla ricorrente
preteso, né il motivo coglie la ratio decidendi di quanto affermato dal
tribunale: che, con insindacabile giudizio di fatto, ha accertato attenere
la dazione di 540.000,00 al rapporto di amministrazione;
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l’inapplicabilità dell’articolo 36 Cost. (Cass. n. 19714/12), la non

- che il terzo motivo — il quale deduce la violazione degli artt. 112 e
115 c.p.c., in quanto il tribunale non avrebbe dovuto ritenere
necessaria la prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato,
non contestato da controparte — è manifestamente inammissibile, in
quanto non coglie la ratto decidendi, non avendo affatto il tribunale

subordinato, semplicemente ritenendo però che, ammessa la duplicità
di rapporti secondo il corretto principio sopra ricordato, la somma
pretesa pertiene a quello di amministrazione, senza che possa invece
valere nessuna presunzione in senso contrario;
– che il quarto ed il quinto motivo — i quali lamentano,
rispettivamente, la violazione degli artt. 1362 e 1367 c.c., e degli artt.
111 cost. e 132 c.p.c., per avere il tribunale, interpretando i documenti
in atti, ritenuto riferito il pagamento di C 540.000,00 al rapporto di
amministrazione, senza spiegarne le ragioni — sono manifestamente
infondati, posto che il giudice del merito ha ampiamente argomentato,
senza nessuna violazione dei canoni ermeneutici invocati, le ragioni per
le quali ha reputato tale elevata somma riferita alle attività di gestione
dell’impresa da parte dell’istante;
– che ogni altra censura si palesa inammissibile, in quanto, sotto
l’egida del vizio di violazione di legge, ripropone invece un
inammissibile giudizio sul fatto;
– che le spese seguono la soccombenza;
– che deve provvedersi alla dichiarazione di cui all’art. 13 d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese di lite, liquidate in complessivi C 8.100,00, ivi compresi C

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ritenuto necessaria la prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro

100,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% ed agli accessori
di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del
versamento del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1-

quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

Il Presidente

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 ottobre 2017.

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