Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28126 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. I, 31/10/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 31/10/2019), n.28126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22199/2018 proposto da:

U.F., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour,

presso la Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avv.

Simone Coscia giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO depositato il

7/6/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/9/2019 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto in data 7 giugno 2018 il Tribunale di Campobasso respingeva il ricorso proposto da U.F., cittadino nigeriano, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

in particolare il Tribunale, dopo aver ritenuto non attendibile il racconto del migrante (il quale aveva riferito di essersi allontanato dal paese di origine subito dopo essere stato coinvolto in una sparatoria avvenuta con membri del partito APC, che poi gli avrebbero recapitato a casa una lettera di minacce): i) reputava che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, dato che non ricorrevano verosimili motivi di persecuzione; ii) rilevava che nella zona di provenienza del migrante ((OMISSIS) in Nigeria) non era in atto una violenza indiscriminata, poichè B.H. operava nel nord-est del paese, mentre nella regione di provenienza non vi erano conflitti armati in corso; iii) constatava come il richiedente asilo non avesse allegato o provato elementi che fossero utili a ravvisare una sua particolare vulnerabilità, così come non erano state prospettate evenienze da cui desumere l’attuale sussistenza di esigenze umanitarie;

in forza di questi argomenti il Tribunale rigettava le domande proposte, revocando nel contempo l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, considerato che le ragioni del ricorso erano infondate e dunque mancavano fin dall’origine i presupposti per l’ammissione a un simile patrocinio;

2. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia U.F., al fine di far valere due motivi di impugnazione;

il Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la falsa o errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1 (rectius 2), lett. g): il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato questa norma attribuendogli un contenuto prescrittivo illegittimamente restrittivo, tale da condurre a ritenere che la domanda di protezione spiegata non fosse sussumibile nel suo ambito, piuttosto che esaminare i diversi elementi offerti dalla difesa proprio al fine di consentire all’organo giudicante di individuare i requisiti che la normativa nazionale e internazionale richiedeva per il riconoscimento della protezione internazionale;

3.2 il motivo è inammissibile;

3.2.1 giova premettere che il giudice, mentre è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, non può invece essere chiamato (nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo) a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. 3016/2019);

pertanto, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 come nel caso di specie, non occorre procedere a un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria personale nel paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018);

3.2.2 il Tribunale ha riscontrato che nella regione di provenienza del migrante non erano in corso guerre civili o situazioni di conflitto armato interno e ha di conseguenza escluso la fondatezza della domanda di protezione sussidiaria per l’assenza di una situazione di violenza indiscriminata;

una simile statuizione esclude il ricorrere dei presupposti individuati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), norma che individua quale danno grave ai fini della protezione sussidiaria l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante da violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato interno o internazionale;

la critica in esame, pur lamentando un’interpretazione eccessivamente restrittiva delle condizioni richieste, non deduce i termini dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma in questione da parte del provvedimento impugnato (il quale peraltro, laddove ha escluso l’esistenza di scontri armati in atto e, di conseguenza, l’esistenza di una situazione di violenza generalizzata che esponesse il ricorrente a un rischio particolare e individualizzato, si è attenuto alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata – in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12) – nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia; Cass. 13858/2018);

a fronte degli accertamenti compiuti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza quindi prospetta, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, secondo grado di merito (Cass. 8758/2017);

4.1 con il secondo mezzo il ricorrente assume la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2: il Tribunale avrebbe disposto la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato a motivo della mancanza originaria dei presupposti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, benchè tale revoca potesse essere ordinata soltanto a seguito dell’accertamento della sussistenza di dolo o colpa grave in capo alla parte, condizioni che nel caso di specie non potevano essere ravvisate rispetto al ricorrente;

4.2 il motivo è inammissibile;

il Tribunale ha proceduto alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato direttamente all’interno del decreto impugnato e in uno con la decisione sul merito della controversia piuttosto che con separato decreto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2;

il che tuttavia non comporta mutamenti nel relativo regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione prevista dallo stesso D.P.R., art. 170 dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con il decreto che definisce il merito, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 testo unico in parola (si vedano in questo senso Cass. 3028/2018, Cass. 29228/2017 e Cass. 32028/2018);

5. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato in misura pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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