Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28125 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. I, 31/10/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 31/10/2019), n.28125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31992/2018 proposto da:

I.B., elettivamente domiciliato in Gallarate, via Trombini 3,

presso e nello studio dell’avv. Daniela Vigligotti, che lo

rappresenta e difende per mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 10/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/09/2019 dal Pres. rel. Dott. DI VIRGILIO ROSA MARIA.

La Corte:

Fatto

RILEVATO

che:

Con decreto del 10/10/2018, il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso di I.B., inteso ad ottenere la protezione internazionale nelle forme del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, nonchè in ulteriore subordine, di riconoscimento della protezione umanitaria, ritenendo non credibile la narrazione della ricorrente(il ricorrente, cittadino della Nigeria, dell’Edo State, aveva riferito che il padre è sacerdote della fede tradizionale (OMISSIS) e che tale sarebbe dovuto divenire il fratello maggiore che si era rifiutato essendo entrambi i fratelli cristiani; che il fratello era morto e doveva diventare il ricorrente sacerdote, ma di essere rifiutato, di essere stato picchiato da alcune persone nella comunità cristiana ove viveva, di avere frequentato il primo anno di università e di avere paura del padre e dei suoi seguaci ove dovesse rientrare in Nigeria), per non avere la parte descritto in che modo il padre e gli anziani del villaggio volessero costringere lui ed il fratello a diventare, e che quindi non era stato approfondito il clima di vessazioni ed intimidazioni di cui aveva riferito il B.; inoltre, il ricorrente nulla aveva riferito in merito alla religione professata al momento della conversione, aveva reso dichiarazioni generiche in relazione a specifiche domande, rispondendo in modo vago e generico di essere diventato cristiano perchè era “scocciato” dai sacrifici umani compiuti dal padre, rendendo così poco credibile che la conversione fosse avvenuta senza un vero motivo; inoltre, la Commissione territoriale aveva affermato che non si rinvengono fonti circa eventuali casi in cui nigeriani avrebbero ricevuto minacce o violenze per non essere voluti diventare sacerdoti per motivi religiosi, ed a riguardo non era credibile quanto sostenuto dal difensore del ricorrente, vista la scolarizzazione di questi; era da dubitarsi anche della morte del fratello, dato che il ricorrente aveva dichiarato che si era trattato di un atto spirituale.

Secondo il Tribunale, non erano pertanto riconoscibile lo status di rifugiato nè la protezione sussidiaria, nella carenza dei requisiti di legge dato che, quanto a detta seconda forma di protezione, secondo le fonti consultate ed indicate, nel nord della Nigeria sussiste una condizione di assoluta emergenza, restando escluso l’Edo State luogo di origine del ricorrente.

Il Tribunale non ha riconosciuto la protezione umanitaria, rilevando l’assenza di allegazione sull’integrazione e sulle condizioni di vulnerabilità particolari, nè era sufficiente a riguardo l’attività di formazione svolta in Italia durante il periodo di accoglienza.

Ricorre avverso detta pronuncia I.B. con due mezzi.

Il Ministero non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Col primo mezzo, il ricorrente censura la pronuncia impugnata per la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, lamentando che il Tribunale avrebbe fondato il proprio convincimento solo sulla credibilità del richiedente e sulla compatibilità del fumus persecutionis nel Paese di origine, mentre sulla base delle fonti istituzionali in materia deve ritenersi che la zona di provenienza della parte sia soggetta a violenza indiscriminata, secondo quanto stabilito dalla pronuncia Corte giust. 30/1/20914, Diakitè; secondo il ricorrente, l’esame della situazione di pericolo, dovuta a violenza diffusa e non controllata o controllabile dalle autorità statali, non sarebbe stata adeguatamente effettuata nella specie.

Il motivo è sostanzialmente inammissibile.

Il Tribunale, proprio tenendo presenti i principi della pronuncia Corte giust. 30/1/2014, causa C-285/2012, Diakitè, ha tenuto conto della situazione della zona di provenienza del ricorrente, alla stregua delle informazioni ricavate dalle fonti indicate, concludendo nel senso della insussistenza di una situazione di conflitto generalizzato.

A fronte di detta argomentata conclusione, il ricorrente oppone del tutto genericamente la mancata valutazione di fonti neppure indicate, sulla cui base lamenta una valutazione “non adeguata” da parte del Tribunale, finendo per evocare un vizio di insufficienza motivazionale, non più ammissibile attesa l’applicabilità dell’art. 360 c.p.c., n. 5 novellato.

Col secondo motivo, li ricorrente denuncia il vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, T.U. immigrazione, sostenendo che in applicazione dei principi di cui alla pronuncia 4455/2018, deve concludersi per la spettanza della protezione umanitaria, stante che il ricorrente, ove dovesse tornare in Nigeria, vedrebbe compromesse la sua dignità ed il diritto ad un’esistenza libera e dignitosa; deduce che, a seguito dell’abolizione del permesso umanitario, a seguito del D.L. n. 113 del 2018, deve riconoscersi il diritto d’asilo ex art. 10 Cost..

Il motivo è inammissibile.

Come sopra già detto, il Tribunale ha tenuto specificamente conto dei principi di cui alla pronuncia 4455/2018, valutando i profili di integrazione in Italia e comparando la situazione raggiunta nel nostro Paese e quella che in base alle fonti disponibili verrebbe in concreto a trovarsi il ricorrente, in relazione alle condizioni sociali, economiche e familiari, al rientro nella zona di origine, per concludere per la mancanza di allegazioni e prove effettive quanto all’integrazione ed alle deteriori condizioni in cui la parte si verrebbe a trovare ove dovesse rientrare in Nigeria.

Ora, anche ad ammettere la non applicabilità ratione temporis del D.L. n. 113 del 2018 (così la pronuncia 4890/2019), che ha abolito il permesso umanitario sostituendolo col permesso per casi speciali tipizzati (così rimanendo assorbito il profilo del motivo col quale la parte ha argomentato la richiesta del diritto d’asilo), va rilevato che tale forma di permesso costituisce una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (così, tra le tante, la pronuncia 9/10/2017 n. 23604), e richiede per converso che colui che richieda protezione umanitaria debba dedurre una situazione di vulnerabilità che deve riguardare la sua personale vicenda venendo altrimenti in rilievo non la peculiare situazione di vulnerabilità del singolo soggetto, ma piuttosto quella dei suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti (così, tra le ultime, la pronuncia 11267/2019).

Ciò posto, deve rilevarsi l’inammissibilità del motivo per la sua totale genericità e perchè sostanzialmente inteso a richiedere una diversa valutazione del merito.

Conclusivamente, va dichiarato inammissibile il ricorso; non v’è luogo alla pronuncia sulle spese, non essendosi costituiti gli intimati.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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