Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28122 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. I, 31/10/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 31/10/2019), n.28122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19863/2018 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico

N. 38 presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

e contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2550/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/09/2019 dal Dott. NAZZICONE LOREDANA.

Fatto

RILEVATO

– che la Corte d’appello di Roma con sentenza n. 3779 del 19 aprile 2018 ha respinto l’impugnazione avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa città, reiettiva della domanda del ricorrente volta ad ottenere la protezione internazionale o, in subordine, la protezione umanitaria, conforme al provvedimento della competente Commissione territoriale per la protezione internazionale;

– che è proposto ricorso avverso detta sentenza, sulla base di tre motivi;

– che il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

– che i motivi sono così riassunti:

1) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto della discussione tra le parti, rappresentato dalla condizione di pericolosità e dalla situazione di violenza generalizzata esistenti in Guinea;

2) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, per la “mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del Paese di origine”, nelle quali ogni persona è in pericolo e la polizia e il sistema giudiziario non garantiscono il rispetto dei diritti umani;

3) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed errata applicazione sia del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, “non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario” sia del cit. D.Lgs. n. 286, art. 19, “che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel Paese d’origine o che vi possa correre gravi rischi”;

– che il primo motivo è manifestamente inammissibile, perchè le censure con esso proposte palesano un mero dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dalla corte d’appello a proposito sia della condizione socio-politica del paese di provenienza, sia della condizione personale del ricorrente quale emersa dal suo racconto, sulla base delle risultanze processuali; ma, in base all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici del merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., sez. un., 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207): evenienze, nella specie, escluse;

– che il secondo motivo è manifestamente inammissibile, posto che, alla stregua del consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, del D.Lgs. n. 251 del 2007, richiamato art. 14 e, in particolare, la disposizione di cui alla lett. c) di esso – ben esaminato dalla corte del merito – deve essere interpretato in conformità con la fonte Eurounitaria di cui è attuazione (art. 9 e art. 15, lett. c, delle direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di giustizia UE (vedi, in tal senso, di recente: Cass. 31 maggio 2018, n. 13858; Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064; Cass. 9 gennaio 2019, n. 284): ove “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lett. c), della direttiva, per il fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel Paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (vedi CGUE, sentenza 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, punti 33-35 e 43; sentenza 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12, punto 30);

– che, come è stato al riguardo specificato (cfr. Corte di Giustizia UE, nelle citate sentenze e nella sentenza della Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, punto 36), i rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un paese di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definire come “danno grave” (v. Considerando n. 26 della direttiva n. 2011/95/UE): infatti, la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), postula, in realtà, da un lato, la sussistenza di una situazione configurabile come “conflitto armato” (inteso come scontro tra le forze governative di uno Stato ed uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati) e, dall’altro, una conseguente violenza generalizzata idonea a comportare una minaccia “grave e individuale alla vita o alla persona di un civile” quale è il richiedente – derivante da quella violenza;

– che, invece, nella specie, la sentenza impugnata – con un apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede (vedi, fra le tante: Cass. n. 14006/18; n. 32064/18; Cass. 2 maggio 2019, n. 11561, quest’ultima relativa ad un giudizio analogo al presente) – ha escluso la ricorrenza di tutte le ipotesi di cui al citato art. 14, ivi compresa quella prevista nella lett. c) di tale articolo;

– che il ricorso neppure si fa carico di confutare la valutazione di non credibilità del richiedente, operata dalla sentenza impugnata, che già di per sè è dirimente: noto essendo che “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503) e “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; e v. Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340);

– che, del pari, il terzo motivo di ricorso è inammissibile, posto che il ricorrente in materia di protezione umanitaria neppure si fa carico di confutare la valutazione di specificità esposta dalla sentenza impugnata, ed, anzi, insiste con l’avanzare argomenti del tutto generici e non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, tanto che dal ricorso non si riesce a individuare la speciale condizione di vulnerabilità che affliggerebbe il ricorrente e che il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare, perchè nel ricorso si fa esclusivo riferimento all’inadeguatezza delle condizioni di vita del soggetto nel paese di provenienza;

– che, invero, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, è evidente come la attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio paese svolge un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, la situazione oggettiva del paese d’origine deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi (Cass. 4455/2018); nel caso di specie – come dianzi detto – la credibilità del richiedente è stata del tutto esclusa (cfr. Cass. n. 14813 del 2019, proprio con riguardo alla Guinea);

– che le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate uro 2.100,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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