Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28120 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. I, 31/10/2019, (ud. 12/07/2019, dep. 31/10/2019), n.28120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24701/2018 proposto da:

I.M., elettivamente domiciliato in Napoli, alla via Toledo

n. 106, presso lo studio dell’avv. Marco Esposito, che lo

rappresenta e difende, giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato. che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositate il 06/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/07/2019 da Dott. SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso proposto da I.M. cittadino del Pakistan, avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Contro il decreto del predetto Tribunale è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente censura la decisione del tribunale, (i) sotto un primo profilo, per violazione di legge, in particolare, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 in relazione alla richiesta di protezione internazionale sussidiaria; (ii) sotto un secondo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 cit., art. 8, comma 3 per non aver valutato l’esistenza dei gravi motivi individuali di vulnerabilità, in relazione alla richiesta subordinata di “protezione umanitaria”, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per manifesta illogicità e mancanza di motivazione che si è concretizzata nell’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, in relazione alla mancata motivazione in merito al diniego della protezione umanitaria e all’omesso esame comparativo tra la situazione di vulnerabilità nel paese d’origine e lo stato d’integrazione raggiunto in Italia.

Il primo motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, va rappresentata dal ricorrente come minaccia grave e individuale alla sua vita, sia pure in rapporto alla situazione generale del paese di origine, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità” (Cass. n. 32064/18, 30105/18).

Nel caso di specie, il giudice del merito ha, da una parte, evidenziato l’inattendibilità della narrazione del richiedente asilo, perchè basata su dichiarazioni generiche, poco circostanziate e a tratti non plausibili (cfr. p. 6 del decreto), e, dall’altra, il medesimo giudice ha accertato approfonditamente, e con motivazione congrua, anche con l’ausilio di fonti informative, che la situazione in Pakistan, pur non tranquilla, non è fuori controllo, e non sussistono situazioni nè di conflitto armato interno, idoneo a generare il rischio di subire un danno grave e individuale alla vita e all’integrità fisica, nè una situazione di violenza indiscriminata, talmente elevato che un civile correrebbe, per la sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire un danno grave e individuale alla sua vita o alla sua persona.

Il secondo motivo è inammissibile, in primo luogo, perchè in esso trovano formulazione censure aventi ad oggetto vizi di violazione di legge e vizi di motivazione, in maniera “inestricabilmente” confusa, e ciò, costituisce violazione della regola della chiarezza (con l’indicazione per ciascun motivo del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa), giacchè si affida alla Corte di Cassazione il compito di enucleare dalla “mescolanza” dei motivi, i profili di maggior interesse. Inoltre, manca, sempre in termini di chiarezza, una compiuta esposizione della censure formulate, senza consentire, nemmeno attraverso una loro lettura globale, d’individuare il collegamento di tali enunciazioni con la sentenza impugnata e le argomentazioni che la sorreggono e di cogliere le ragioni per le quali se ne chiede l’annullamento.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Il ricorrente non paga il doppio del contributo unificato, essendo ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a pagare all’amministrazione statale le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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