Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28120 del 24/11/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 28120 Anno 2017
Presidente: DORONZO ADRIANA
Relatore: GHINOY PAOLA

ORDINANZA
sul ricorso 26184-2016 proposto da:
SIMONETTA ANTONIO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
LUDOVISI n.35, presso lo studio dell’avvocato MARIO GIUSEPPE
RIDOLA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente contro
FALLIMENTO DELLA DITTA INDIVIDUALE PIERNLARINI
BIANCA MARIA (C.F.PRMBCM62C41H501Y), in persona del suo
curatore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GEROLAMO
BELLONI n.88, presso lo studio dell’avvocato DANIELA DAL BO,
che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 24/11/2017

avverso la sentenza n. 2618/2016 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 09/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 18/10/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;
rilevato che:

aver lavorato alle dipendenze della farmacia della dottoressa Bianca
Maria Pierrnarini dal 26/9/2009 con la qualifica di impiegato
farmacista di primo livello del C.C.N.L. farmacie private e di essere
stato licenziato verbalmente in data 14 gennaio 2011; lamentava
l’inefficacia del licenziamento poiché privo della necessaria forma
scritta, nonché della motivazione, espressamente richiesta con lettera
di contestazione stragiudiziale del 1/2/2011 e mai fornita; lamentava
inoltre la mancata corresponsione di differenze retributive.
Il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento del ricorso,
dichiarava l’inefficacia del licenziamento nonché la giuridica
prosecuzione del rapporto di lavoro e condannava la datrice di lavoro
alla corresponsione delle retribuzioni dal 14 gennaio 2011 ed al
ripristino del rapporto, oltre rivalutazione ed interessi; condannava
altresì la resistente al pagamento dell’importo di € 960 titolo di
differenze retributive, oltre rivalutazione ed interessi.
La Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello
proposto dal Fallimento della ditta individuale Bianca Maria
Piermarini, rilevava che dagli atti risultava che il 18 gennaio 2011 la
ditta aveva inoltrato una missiva comunicante per iscritto il
licenziamento e che tale comunicazione doveva essere considerata
quale atto scritto di recesso, con conseguente assorbimento del
licenziamento precedentemente intimato in forma orale il 14 gennaio;
tale licenziamento, di natura disciplinare, doveva tuttavia esser ritenuto
Ric. 2016 n. 26184 sez. ML – ud. 18-10-2017
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1. Antonio Simonetta adiva il Tribunale di Roma ed esponeva di

illegittimo difettando la preventiva contestazione dell’addebito, in
violazione dell’art. 7 commi 2 e 5 della legge n. 300 del 1970, al che
conseguiva l’ applicazione dell’ art. 8 della legge n. 604 del 1966.
Condannava quindi il Fallimento alla riassunzione entro tre giorni del
Simonetta o, in mancanza, a corrispondergli un’indennità risarcitoria

inoltre al Tribunale fallimentare la domanda relativa al ristoro dei danni
patrimoniali vantati;
2. per la cassazione della sentenza Antonio Simonetta ha proposto
ricorso, a fondamento del quale deduce come primo motivo la
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 604 del 1966 e
dell’articolo 1423 c.c. e sostiene l’inammissibilità della convalida del
negozio nullo che sarebbe stata realizzata nella soluzione adottata dal
giudice di merito; deduce altresì l’ omesso esame in cui questi sarebbe
incorso circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, ed in particolare della data contenuta nel testo
della lettera di licenziamento del 18/1/2011, che ne ha confermato la
decorrenza dalla sua intimazione orale;
3. il Fallimento della ditta individuale Piermarini Bianca Maria ha
resistito con controricorso ed il ricorrente ha depositato anche
memoria ex art. 380 bis comma 2 c.p.c.;
4. il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in
forma semplificata.
Considerato:
1. che il primo motivo di ricorso non è fondato, in quanto la
soluzione adottata dalla Corte territoriale è corretta, alla luce della
giurisprudenza di questa Corte, che ha affermato che è consentita la
rinnovazione del licenziamento disciplinare nullo per vizio di forma in
base agli stessi motivi sostanziali determinativi del precedente recesso,
Ric. 2016 n. 26184 sez. ML – ud. 18-10-2017
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pari a 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; rimetteva

anche se la questione della validità del primo licenziamento sia ancora
“sub iudice”, purché siano adottate le modalità prescritte, omesse nella
precedente intimazione. Tale rinnovazione, risolvendosi nel
compimento di un negozio diverso dal precedente, esula dallo schema
dell’art. 1423 cod. civ., norma diretta ad impedire la sanatoria di un

parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziale
(Cass. n. 6773 del 19/03/2013, Cass. n. 23641 del 06/11/2006, Cass.
n. 11946 del 08/06/2005);
2. che neppure sussiste il lamentato vizio di omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio. La Corte d’appello ha ritenuto il
licenziamento intimato in forma scritta in data 18/1/2011 come un
ulteriore ed autonomo atto di recesso del datore di lavoro,
formalmente rituale, seppure intimato in ragione dei medesimi motivi
del primo atto di recesso, e che da esso dovessero farsene decorrere gli
effetti. Nell’interpretazione della volontà delle parti, ha pertanto
ritenuto che dovesse prevalere la manifestazione di volontà di risolvere
il rapporto di lavoro manifestata ritualmente in forma scritta, rispetto
al riferimento contenuto alla lettera di intimazione precedente ed al
termine di cessazione ivi contenuto, ed ha applicato al secondo recesso
la decorrenza che adPsso doveva ex lege conseguire, ovvero dalla data
di ricezione della lettera stessa da parte del lavoratore. Il motivo chiede
pertanto, inammissibilmente, che questa Corte adotti una valutazione
delle medesime circostanze fattuali più consona alle aspettative del
ricorrente, al di fuori dei limiti in cui è consentito il vaglio di
legittimità sulla motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c.;
3. che per tutti i motivi esposti, condividendo il Collegio la
proposta del relatore, non efficacemente contrastata dal contenuto
della memoria depositata, il ricorso, manifestamente infondato, va
Ric. 2016 n. 26184 sez. ML – ud. 18-10-2017
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negozio nullo con effetti “ex tunc” e non a comprimere la libertà delle

rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375,
comma 1, n. 5, cod. proc. civ.;
4. che la regolamentazione delle spese processuali segue la
soccombenza;
5. che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del

previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n.
115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n.
228
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità, che liquida in C 3.000,00 per compensi, oltre
ad C 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15%
ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18.10.2017

ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,

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