Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28119 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. I, 31/10/2019, (ud. 12/07/2019, dep. 31/10/2019), n.28119

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23848-2018 proposto da:

S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TORINO, n. 7,

presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIANLUCA VITALE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministero pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 79/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 10/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/07/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento notificato il 10.6.2016 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento della protezione internazionale o in subordine di quella umanitaria.

Avverso tale provvedimento interponeva opposizione S.D., che veniva respinta dal Tribunale di Torino con decisione del 10.1.2017.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 79/2018, la Corte di Appello di Torino, adita dal S. per l’impugnazione della statuizione di prime cure, rigettava il gravame condannando l’appellante alle spese.

La Corte di Appello evidenziava che il richiedente la protezione era stato ascoltato dinanzi la commissione territoriale, onde non era necessaria la sua ulteriore audizione; che le fonti internazionale (debitamente riportate a pagg.5 e 6 della sentenza impugnata) dimostravano che il Mali, Paese di proveniente di S.D., non era interessato da un conflitto generalizzato; che in particolare gli episodi di violenza riscontrati in Mali non riguardavano il sud del Paese, dal quale il richiedente proveniva; che quest’ultimo non avesse allegato alcuna condizione di vulnerabilità ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione S.D. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, intimato, non ha partecipato al presente giudizio di Cassazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamentala violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3 e art. 27 comma 1-bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6, nonchè della Direttiva 2013/32/UE in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte di Appello non avrebbe correttamente valutato la credibilità della storia del richiedente la protezione e non avrebbe condotto i necessari approfondimenti sulla legislazione interna del Mali, con particolare riguardo all’esistenza in quel Paese della pena di morte, alla condizione delle carceri e all’instabilità della regione.

La censura è infondata.

Questa Corte ha affermato, con le ordinanze n. 13449/2019, n. 13450/2019, n. 13451/2019 e n. 13452/2019, la prima delle quali massimata (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019, Rv.653887) il principio per cui il giudice di merito, nel fare riferimento alle cd. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (sul punto, cfr. anche Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 11312 del 26.4.2019, non massimata).

Nel caso di specie, la decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti, posto che essa indica le fonti in concreto utilizzare dal giudice di merito -in particolare, i rapporti UNHCR, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e del Dipartimento di Stato U.S.A. aggiornati al 2015- ed il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte da dette fonti, consentendo in tal modo alla parte la duplice verifica della provenienza e della pertinenza dell’informazione (cfr. pagg.5 e 6 della sentenza impugnata).

E’ ben vero che il ricorrente indica, nella nota n. 1 di pag.8 del ricorso, alcune fonti internazionali alternative rispetto a quelle consultate dal giudice di merito, ma in proposito va ribadito che il sindacato della Corte di Cassazione non può spingersi sino alla valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito, laddove nel motivo di censura non vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base la Corte territoriale ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate. Solo laddove dalla censura emerga la precisa dimostrazione di quanto precede, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dalla Corte di Appello si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede.

Va quindi ribadito il principio secondo cui “Ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito in tema di protezione internazionale non è sufficiente la mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice di merito, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal predetto giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali. A tal riguardo, la censura deve contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla Corte di Cassazione l’effettiva verifica circa la predetta violazione del dovere di collaborazione istruttoria”.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, art. 8 commi 2 e 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6 comma 6, nonchè della Direttiva 2013/32/UE in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè il giudice di seconde cure non avrebbe disposto l’audizione personale del richiedente la protezione.

La censura è infondata, posto che l’ordinamento non prevede l’obbligo di procedere all’ascolto del richiedente la protezione in secondo grado. La Corte territoriale dà atto che il S. era stato ascoltato dalla commissione territoriale, e nessun ulteriore ascolto era necessario in appello.

In proposito, va ribadito il principio per cui “Nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza” (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 3003 del 07/02/2018, Rv.647297; conf. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 24544 del 21/11/2011, Rv. 619702 e Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 14600 del 29/05/2019, Rv.654301).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte piemontese avrebbe escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria senza procedere ad una autonoma valutazione della condizione del richiedente e senza fornire specifica motivazione, ma basandosi sugli stessi argomenti utilizzati per il diniego della protezione internazionale.

Anche questa censura è infondata.

Risulta infatti dalla sentenza impugnata (cfr. pag.6) che il giudice di merito ha escluso, sulla base della condizione interna del Mali, la sussistenza di una situazione di pericolo derivante dal rimpatrio del S., ed ha ritenuto insufficiente, ai fini della prova del radicamento del richiedente la protezione umanitaria nella società italiana, la mera frequenza a corsi di inserimento lavorativo e sociale durante il periodo necessario all’esame della relativa domanda. Va in proposito ribadito che ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria occorre che sia data idonea dimostrazione dell’esistenza di un legame particolarmente forte tra il richiedente la protezione e la società italiana, che non può essere rappresentato soltanto dalla frequenza a corsi di preparazione o di inserimento, trattandosi di attività di carattere propedeutico rispetto all’inserimento effettivo dello straniero nella società italiana.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del Ministero controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 oltre rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 12 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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