Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2811 del 09/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/02/2010, (ud. 12/11/2009, dep. 09/02/2010), n.2811

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10757-2005 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

FIN DARIO SPA;

– intimato –

sul ricorso 15491-2005 proposto da:

FIN DARIO DI ELISABETTA STRAZZA & C SAS (già Finanziaria Dario

Spa),

in persona del socio unico accomandatario Sig.ra S.

E., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIACOMO PUCCINI 9,

presso lo studio dell’avvocato PERRONE LEONARDO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato TARDELLA GIANMARCO, procura speciale

Notaio Dr. PEDRAGLIO CARLO in COMO REP. 59806 del 6/6/2005;

– controricorrente e ricorrente incid. –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 22/2003 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 11/03/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/11/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il resistente l’Avvocato TARDELLA GIANMARCO, che ha chiesto

il rigetto del ricorso principale, l’accoglimento di quello

incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, il rigetto di quello incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria di primo grado di Busto Arsizio la società Finanziaria Dario spa impugnava gli avvisi di accertamento, relativi a maggiorazione delle imposte i.r.pe.g ed i.lo.r per gli anni 1986 e 1987, fatti notificare dall’ufficio delle imposte di Gallarate. Per quanto interessa l’oggetto del presente giudizio di legittimità, veniva ripreso a tassazione il conseguimento di plusvalenze inerenti all’acquisto di n. 40 milioni di azioni nella partecipata Centenari & Zinelli Impresa Finanziaria e Industriale Spa. La ricorrente deduceva che la plusvalenza poteva essere tassata solamente al momento della cessione delle azioni, peraltro avvenuta nel 1990. Inoltre, in via subordinata chiedeva che l’imponibile i.r.pe.g andasse ridotto per la deduzione della maggiore imposta Ilor accertata. Pertanto la Finanziaria Dario chiedeva l’annullamento degli atti impositivi.

Instauratosi il contraddittorio, l’amministrazione eccepiva l’infondatezza dell’opposizione, atteso che le azioni erano state indicate in bilancio, senza che fosse stato riportato il modo in cui il relativo prezzo sarebbe stato pagato, ovvero sarebbero state indicate le modalità con cui esso sarebbe stato corrisposto.

Il giudice adito, in accoglimento del ricorso, annullava integralmente gli atti impositivi.

Avverso tale decisione l’agenzia delle entrate proponeva appello, cui l’appellata, che nel frattempo aveva modificato la ragione sociale in quella attuale, resisteva dinanzi alla commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale, con sentenza n. 22 del 6.2.2003, rigettava il gravame. Circa la plusvalenza delle azioni della partecipata Centenari & Zinelli rilevava che la loro iscrizione in bilancio risultava sopravvalutata, atteso che l’acquirente non aveva dimostrato alcuna modalità di pagamento del relativo prezzo.

Tuttavia, poichè tali titoli erano stati annotati nell’attivo dello stato patrimoniale, e quindi si trattava di un’operazione di immobilizzazione, la plusvalenza si determinava soltanto al momento del loro realizzo mediante cessione, verificatosi nel 1990, e quindi in un anno successivo e diverso rispetto a quello in contestazione.

Pertanto, trattandosi di questione non pertinente alle annualità di che trattasi, bene aveva fatto il giudice di prime cure a ritenere illegittima la ripresa della stessa plusvalenza.

Relativamente, poi, alla deduzione del maggiore importo dell’i.lo.r.

dall’imponibile i.r.pe.g. accertato, come subordinatamente richiesto dalla appellata, il giudice di appello rilevava che la questione sostanzialmente rimaneva assorbita.

Contro questa decisione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle entrate hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo.

La società Finanziaria Dario S.A.S. di Elisabetta Strazza & C. ha resistito con controricorso; a sua volta ha proposto ricorso incidentale, affidandolo a tre motivi, ed ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via pregiudiziale va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c. atteso che essi sono stati proposti contro la stessa sentenza.

A) Ricorso principale.

Vi è da premettere che, come rilevato nel controricorso, sull’annullamento delle riprese diverse dalla contestata plusvalenza si è formato il giudicato.

Col motivo addotto a sostegno del ricorso i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 54 e D.P.R. n. 598 del 1973, art. 12, oltre che omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in quanto il giudice di merito non ha considerato che all’epoca della operazione finanziaria di che trattasi la Finanziaria Dario era una società per azioni, e quindi, posto che l’acquisto delle azioni era stato effettuato ad un prezzo certamente inferiore al loro valore effettivo; la loro iscrizione nello stato patrimoniale della società ad un valore maggiore comportava automaticamente una plusvalenza, che perciò non poteva sfuggire alla imposizione, a prescindere dal fatto della indicazione dei titoli azionari sul conto economico o bilancio, e dalla loro successiva cessione (realizzo). Semmai, ove questa fosse stata poi effettuata ad un prezzo superiore al valore indicato nello stato patrimoniale, allora si sarebbe verificato un ulteriore elemento di maggior reddito, da sottoporre pure ad imposizione; in caso contrario invece quella voce di maggior reddito sarebbe sfuggita alla tassazione senza ragione.

Il motivo è infondato, anche se è necessario apportare alla motivazione in diritto della sentenza impugnata alcune integrazioni, nell’esercizio del potere attribuito alla Corte dall’art. 384 c.p.c., comma 2.

Il Collegio osserva che il richiamo della difesa delle Amministrazioni ricorrenti al regime delle plusvalenze dei beni strumentali, secondo il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 12, a seguito della mera iscrizione, e quindi a prescindere dalla cessione dei beni, così come ricostruito nella sentenza delle Sezioni Unite n. 5290 del 12 giugno 1997 e in quella successiva della prima Sezione 29 settembre 1999, n. 10806, non è pertinente.

E’ sufficiente ricordare che, secondo tale giurisprudenza, la natura di un bene come merce o strumentale non riposa su qualità ontologiche. Nelle richiamate decisioni si trattava del regime delle costruzioni realizzate da imprese edili, osservandosi che è rimesso alla scelta dell’impresa qualificare tali beni come patrimonio, anzichè come rimanenze, e quindi assoggettarli al regime degli ammortamenti e, di conseguenza, della tassazione delle plusvalenze sulla base della mera iscrizione.

Tale principio, operante come regola generale per qualunque bene acquistato da impresa soggetta ad i.r.pe.g., in forza del D.P.R. n. 598 del 1973, art. 12, non poteva, però, essere applicato alle azioni e ai titoli similari.

Come esattamente rilevato dalla società controricorrente, tali beni erano sottoposti ad un regime speciale dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 53, comma 2, secondo il quale “I titoli azionari e obbligazionari e i titoli similari si comprendono fra i beni al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa quando questa ha per oggetto specifico, anche se non esclusivo, l’assunzione di partecipazioni in società o enti, la compravendita, il possesso e la gestione di titolo pubblici o privati o alcuna di tali attività e, in ogni caso, per le società in nome collettivo o in accomandita semplice”. Come sostenuto nel controricorso, la richiamata disposizione istituisce un regime di presunzione legale di natura di beni – merce dei titoli azionari, regime che è venuto meno soltanto con la riforma del D.L. 29 giugno 1994, n. 416, convertito con modificazioni nella L. 8 agosto 1994, n. 503, con cui è stato introdotto nell’art. 53, il comma 2 bis, a mente del quale viene attribuita alle imprese l’opzione di inserire i titoli, come immobilizzazioni finanziarie, nella situazione patrimoniale ovvero la loro valutazione come beni – merce, con sottoposizione al regime costi – ricavi – rimanenze. La qualificazione ex lege dei titoli azionari come beni – merce deve ritenersi operante nella specie, sia perchè si trattava di società finanziaria, e quindi avente ad oggetto l’acquisto di azioni e di partecipazioni, sia perchè, come esattamente rilevato dalla controcorrente, il D.P.R. n. 598 del 1973, art. 5, comma 2, estende espressamente l’applicabilità delle disposizioni del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 53, relative alle società in nome collettivo o in accomandita semplice, alle società soggette all’i.r.pe.g..

Da quanto sopra consegue che, all’epoca in contestazione, i titoli azionari non potevano essere iscritti come immobilizzazioni finanziarie e quindi assoggettati al regime delle plusvalenze iscritte. Il Collegio ritiene, pertanto, di adeguarsi al principio enunciato dalla sentenza n. 578/99, richiamata nel controricorso.

Nè può ritenersi applicabile retroattivamente, in forza del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 36, l’art. 54, comma 1, lett. c), t.u.i.r. (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), il quale istituiva un regime generale di tassazione delle plusvalenze da iscrizione, applicabile anche ai titoli azionari. Pur potendo tale retroattività comportare un aggravamento del regime impositivo (Cass. 3582/03), la stessa, secondo lo stesso art. 36, non può operare se la dichiarazione dei redditi non è conforme alle disposizioni del t.u.i.r.. Il che, nella specie, è escluso, avendo l’accertamento per oggetto proprio la omessa dichiarazione della componente reddituale in contestazione.

In definitiva, la Corte ritiene che la tesi dell’amministrazione finanziaria si risolva in una mancata applicazione dei principi sopra enunciati, potendo la plusvalenza essere tassata soltanto col suo realizzo attraverso la cessione delle azioni, verificatosi nel 1990, e quindi in esercizio diverso e successivo a quelli in contestazione.

Il ricorso principale va, pertanto, rigettato.

B) Ricorso incidentale.

1) Col primo motivo la ricorrente per incidente deduce omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 deducendo che il giudice di appello non avrebbe considerato che l’acquisto delle azioni nella partecipata Centenari & Zinelli Spa. era stato documentato attraverso il contratto di vendita del 3.10.1986 e la copia della pag. 51 del libro giornale, da cui risultava che il prezzo pagato era stato di L. 1.840.000.000, versato in contanti direttamente dai soci, e cioè senza prelievo di somma dal conto disponibilità della società; sicchè non vi era bisogno di ricorrere a giroconto, bonifico bancario ovvero ad assegni e quant’altro. Inoltre la CTR non avrebbe considerato che se non ci fosse stato un acquisto mediante esborso di denaro o quant’altro, necessariamente non avrebbe potuto esserci la successiva cessione dei titoli nel 1990, che invece era un dato pacificamente acquisito.

La censura non ha pregio.

La CTR osservava che sembrava davvero singolare che la somma per il prezzo fosse stata indicata come disponibilità nel conto addebitato, senza alcuna specificazione di dettagli nel bilancio o nel relativo allegato, e soprattutto senza che fosse stato riportato alcun elemento circa le modalità di pagamento, e cioè con conto corrente;

contanti; giroconto; assegni circolari; bonifico bancario, ecc..

L’assunto è esatto.

Invero non potevano certo essere la scrittura privata di acquisto o la copia della pagina del libro giornale a fornire la prova dell’effettivo pagamento delle azioni, o quanto meno del loro costo nella misura pretesa dalla cessionaria, per superare il presupposto della mancanza di prova di esso, e quindi della sua indeducibilità, con la conseguenza del determinarsi della plusvalenza come stabilita dall’amministrazione, ancorchè non tassabile prima della cessione dei titoli.

Sul punto, perciò, la sentenza impugnata risulta motivata in modo adeguato, e non è consentito alla Corte un diretto sindacato sulla valutazione delle circostanze di fatto compiuta dal giudice di merito.

2) Col secondo motivo la ricorrente incidentale denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 597 del 1973, artt. 52 e 74 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, poichè il giudice di secondo grado doveva ritenere che in realtà il prezzo di acquisto delle azioni era stato pagato, anche se non risultava che la Finanziaria Dario intrattenesse un conto corrente bancario. Tuttavia l’acquisto in questione non poteva comunque essere messo in dubbio, anche se per ipotesi il prezzo relativo non fosse stato sborsato, ma fosse sorta la relativa obbligazione, e non invece essere quasi negato.

La doglianza rimane assorbita da quanto enunciato nell’esame delle precedenti censure, con la precisazione che il giudice di appello non metteva in dubbio l’acquisto dei titoli azionari, ma contestava l’avvenuto pagamento del prezzo.

3) Si deve, infine, esaminare la censura subordinata, svolta nel controricorso, di violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 2, art. 6, comma 2, e L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, atteso che in caso di accoglimento della pretesa erariale, e quindi del ricorso principale, le sanzioni non andrebbero applicate, stante la non certa interpretazione delle norme fiscali in questione.

Ove tale questione fosse considerata motivo di ricorso incidentale, la stessa sarebbe inammissibile in quanto non riproposta in appello.

Va, comunque, rilevato che si tratterebbe di questione assorbita dalla dichiarata infondatezza del motivo di ricorso principale e dalla caducazione di tutte le riprese a tassazione. Entrambi i ricorsi vanno, pertanto, rigettati.

Quanto alle spese del giudizio, sussistono giusti motivi per compensarle, stante la reciproca soccombenza e la complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi, e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2010

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