Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28108 del 09/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/12/2020, (ud. 27/10/2020, dep. 09/12/2020), n.28108

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17875-2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

CRISTINA PEROZZI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 12/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.A., nativo del Burkina Faso, ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, contro il decreto del Tribunale di Ancona del 12 maggio 2019, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento della status di rifugiato o della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. In estrema sintesi, quel tribunale: i) ha considerato non credibile il racconto del richiedente protezione, il quale aveva riferito di essere fuggito dal suo Paese per le minacce di morte ricevute dopo essersi opposto alla proposta di diventare il capo del suo villaggio; ii) ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. a) e b); iii) ha escluso la sussistenza dell’ipotesi di cui alla lett. c) del predetto D.Lgs., art. 14 citato indicando le fonti del proprio convincimento; iv) ha denegato l’invocata protezione umanitaria perchè non erano stati allegati profili di vulnerabilità e, comunque, di avvenuta integrazione sociale e lavorativa in Italia.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4, nonchè il difetto di motivazione, in ragione della mancata traduzione, pur in presenza di un obbligo di legge, “della decisione della commissione territoriale e della sentenza di appello”, che erano così risultate incomprensibili al richiedente asilo; nel contempo la doglianza assume la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, e del principio convenzionale internazionale del non refoulement, oltre che la violazione delle norme costituzionali e CEDU in ordine al diritto a un processo giusto ed effettivo.

1.1. Esso risulta inammissibile perchè, in difetto di ogni ulteriore illustrazione del suo contenuto (le successive pagine del ricorso sono un mero riepilogo di brani e passaggi motivazionali tratti dalla giurisprudenza in materia che non offrono alcun ragguaglio aggiuntivo), la pretesa doglianza, nei ridotti limiti compendiati in narrativa, non è scrutinabile, posto che, da un lato, quanto in essa si lamenta non si accorda con le norme asseritamente violate indicate in rubrica, dall’altro manca di conferenza rispetto al decisum, non constando dalla decisione impugnata che questa si sia pronunciata sulle questioni che vi sono accennate, sicchè il motivo risulta nel suo complesso privo della doverosa specificità per gli effetti preclusivi segnati dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

1.2. La costante giurisprudenza di questa Corte ritiene, infatti, che ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa; ciò in quanto i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema deadendum del giudizio di merito, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio Cass. n. 30044 del 2019, in motivazione; Cass. n. 2038 del 2019; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017). Il mancato assolvimento di un simile onere di allegazione impone di constatare l’inammissibilità della censura proposta in ragione della sua novità rispetto alle questioni poste avanti al giudice di merito.

1.3. In ogni caso, il Collegio intende ribadire (cfr., amplius, Cass. n. 20492 del 2020; Cass. n. 20245 del 2019; in motivazione; Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione) che, in materia di protezione internazionale, il ricorso giurisdizionale proposto dal richiedente, all’esito negativo della fase amministrativa, – nell’ambito della quale un collegio di esperti esamina la domanda previa sua audizione – non ha per oggetto l’impugnazione del provvedimento della commissione territoriale, ma il diritto soggettivo dell’istante alla protezione invocata. Conseguentemente, il relativo giudizio non può concludersi con il mero annullamento del diniego amministrativo della protezione, in tesi illegittimo, ma deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto alla stessa e ciò in quanto la legge (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13) stabilisce che la decisione del tribunale può contenere, alternativamente, il rigetto del ricorso ovvero il riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria, o umanitaria, e non prevede il puro e semplice annullamento della decisione della Commissione (cfr. Cass. 26480 del 2011; Cass. n. 18632 del 2014; Cass. n. 7385 del 2017; Cass. n. 23472 del 2017; vedasi pure, Cass. n. 12273 del 2013), neppure quando se ne deduca, come nella specie, la nullità per l’omessa sua comunicazione in lingua comprensibile dall’interessato o, in mancanza, in una lingua veicolare.

1.4. Va rilevato, infine, che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, regolante la controversia ratione temporis, non prevede affatto alcuna traduzione della decisione del tribunale.

2. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 11 e 17, dell’art. 2 Cost. e dell’art. 10 Cost., comma 3, nonchè il difetto di motivazione in relazione alla mancata concessione della protezione sussidiaria; in particolare il ricorrente ha inteso denunciare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del provvedimento impugnato per omessa pronuncia nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la mancanza o l’insufficienza della motivazione, in ragione della natura meramente apparente o tautologica degli argomenti offerti nel decreto impugnato.

2.1. In tesi di parte ricorrente, il tribunale a quo, facendo un’erronea applicazione delle norme in materia, avrebbe offerto una ricostruzione dei fatti non corrispondente al vero, perchè l’attuale situazione di estrema precarietà e conflitto esistente nel Burkina Faso, zona tutt’altro che pacifica, e le condizioni generali della regione, contraddistinta da un elevatissimo livello di criminalità e teatro di gravi atti di terrorismo, violenze generalizzate e sommosse, imponevano il riconoscimento della protezione sussidiaria, come già avevano riconosciuto vari Tribunali.

2.2. Una siffatta doglianza è inammissibile.

2.2.1. Essa, infatti, in presenza di una motivazione che argomenta compiutamente le ragioni per le quali il giudice di merito ha ritenuto insussistenti le condizioni di legge per il riconoscimento della protezione sussidiaria (compiutamente indicando anche le fonti informative consultate), intende nella sostanza sollecitare una valutazione di opposto segno della situazione esistente in Burkina Faso nel senso più favorevole al ricorrente, in larga parte risolvendosi, peraltro, in una mera riepilogazione di stralci motivazionali della giurisprudenza in materia.

2.2.2. In questo modo, tuttavia, la censura non si correla con il contenuto della decisione impugnata, che fonda il rigetto della domanda sulla mancanza di credibilità della narrazione del richiedente asilo e, comunque, sull’insussistenza del pericolo prospettato, e manca del carattere di riferibilità alla decisione stessa che il ricorso per cassazione deve necessariamente avere.

2.2.3. Nel contempo il mezzo, a fronte di un accertamento rientrante nel giudizio di fatto istituzionalmente demandato al giudice di merito, si riduce a deduzioni meramente astratte e di principio, che non scalfiscono la ratio decidendi e si limitano a sollecitare una nuova valutazione, nel merito, della domanda, malgrado la stessa non sia rinnovabile in questa sede.

3. Il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione degli artt. 353 e 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla mancata concessione della protezione umanitaria: il tribunale dorico avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti le condizioni necessarie per la concessione del permesso umanitario, a dispetto del positivo percorso integrativo compiuto dal ricorrente, comprovato dai documenti prodotti, e delle sue condizioni personali.

3.1. Il motivo, a prescindere dall’improprio richiamo all’art. 353 c.p.c., è da scrutinarsi sulla base della corrispondente disciplina anteriore a quella introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018 (questa Corte, infatti, ha recentemente sancito, anche a Sezioni Unite – cfr. Cass., SU, 13.11.2019, nn. 29459-29461; n. Cass. n. 4890 del 2019 – che “la normativa introdotta con il D.L n. 113 del 2018, convertito dalla L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 3, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima – come quella in esame. Ndr – dell’entrata in vigore (5/ 10/2018) della nuova legge”), è inammissibile.

3.1.1. Il tribunale anconetano, ha accertato l’inesistenza di ragioni di carattere umanitario tali da consentire il riconoscimento della forma di protezione residuale in questione, vuoi per il difetto assoluto di credibilità del racconto del migrante, vuoi per la mancata allegazione di differenti ragioni idonee a giustificare il riconoscimento di questa forma di protezione residuale. In questo modo quel giudice ha inteso sostenere che al fine del riconoscimento della protezione umanitaria non erano sufficienti le allegazioni sulla sola situazione generale esistente nel paese di origine, poichè tale misura, atipica e residuale, è il frutto della valutazione di una specifica condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente e dunque richiede che all’allegazione delle condizioni generali del paese di origine si accompagni l’indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità, da apprezzare a fini comparativi in uno con la condizione di inserimento nel contesto nazionale.

3.1.2. A fronte di questi argomenti, la censura si risolve, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal menzionato tribunale, cui il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

4. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo un ificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020

 

 

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