Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28107 del 24/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 28107 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

ORDINANZA

sul ricorso 10376-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’Avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e
difesa dall’Avvocato GAETANO GRANOZZI, giusta delega
in atti;
– ricorrente 2017
3387

contro

BALDI ROSARIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PAOLO MANTEGAZZA N.7, presso lo studio dell’Avvocato
MARIA BARONE, rappresentata e

difeso

CLAUDIO CHINES, giusta delega in atti;

dall’Avvocato

Data pubblicazione: 24/11/2017

- controricorrente –

avverso la sentenza n. 340/2012 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 18/04/2012 R.G.N.

1436/2006;

R.G. n. 10376/2013

RILEVATO

che con sentenza in data 18 aprile 2012 la Corte di Appello di Catania, in riforma
della pronuncia di primo grado, ha dichiarato la nullità della clausola appositiva
del termine per esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche derivanti
dall’attuazione di previsioni di accordi sindacali del 2001/2002, di cui al contratto

Italiane Spa, nonché la sussistenza di rapportb di lavoro subordinato a tempo
indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno pari a 3,5
mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre accessori “con decorrenza dalla
scadenza del termine originariamente apposto al contratto fino al soddisfo”;
che avverso tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso affidato a
plurimi motivi, cui ha resistito la Baldi con controricorso; entrambe le parti hanno

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comunicato memorie;

CONSIDERATO

che il primo motivo, con cui si denuncia violazione e falsa applicazione di norme
di diritto, in particolare dell’art. 1372 c.c., per avere la Corte territoriale respinto
l’eccezione di inammissibilità della domanda attorea avanzata dalla società per
intervenuta risoluzione consensuale del contratto, è infondato per inidoneità del
solo decorso del tempo, in assenza di circostanze significative di una chiara e
comune volontà delle parti contraenti di porre definitivamente fine ad ogni
rapporto lavorativo (tra le altre: Cass. n. 1780 del 2014; Cass. n. 13535 del
2015; Cass. n. 25844 del 2015), trattandosi comunque di valutazione del
significato e della portata del complesso di elementi di fatto di competenza del
giudice di merito (Cass. SS.UU. n. 21691 del 2016, in motivazione, punto 57;
Cass. n. 2906 del 2015) le cui conclusioni non sono censurabili in sede di
legittimità se non sussistono, come nella specie, vizi logici o errori di diritto
(Cass. n. 16932 del 2011);
che con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di legge,
sostenendo che costituiva onere del lavoratore provare l’estraneità della sua

di lavoro stipulato per il periodo 11.5.2002 – 30.6.2002 tra Rosaria Baldi e Poste

R.G. n. 10376/2013

assunzione rispetto alle esigenze individuate in seno al contratto, e che,
comunque, la prova richiesta da Poste Italiane era da ritenersi idonea a fornire
adeguata dimostrazione delle esigenze sottese all’assunzione; con il terzo motivo
si denuncia violazione della I. n. 368 del 2001 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in
relazione ai documenti prodotti che comprovavano la ricorrenza di un processo
aziendale a livello nazionale; con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 115, 116, 244, 253, 421 c.p.c., sostenendo che le

che il secondo, terzo e quarto motivo, manifestamente infondato in diritto
l’assunto che non gravi sul datore di lavoro l’onere di provare la ricorrenza delle
condizioni che giustificano l’apposizione del termine (tra molte Cass. n. 2279 del
2010 e giurisprudenza ivi richiamata), non possono trovare accoglimento, atteso
che essi tendono ad una rivalutazione della quaestio facti di competenza del
giudice del merito circa la prova della sussistenza delle ragioni poste a
fondamento del termine, anche mediante doglianze attinenti all’ammissibilità ed
alla rilevanza della prova che sfuggono al sindacato di questa Corte, laddove il
decisum, come nella specie, sia sorretto da adeguata motivazione (cfr. da ultimo
Cass. n. 5255 del 2017);
che il quinto motivo, con cui si lamenta che la Corte territoriale abbia fatto
discendere dalla nullità della clausola appositiva del termine la conversione a
tempo indeterminato del rapporto di lavoro, è palesemente infondato per le
ragioni già espresse da questa Corte in numerose pronunce dalle quali non v’è
ragione di discostarsi (tra le innumerevoli v. Cass. n. 12985 del 2008; Cass. n.
7244 del 2014);
che il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 32 I. n. 183
del 2010 e dell’art. 429 c.p.c., sostenendo che sulla somma dovuta a titolo di
indennità risarcitoria non sarebbero dovuti interessi e rivalutazione monetaria e
che, al più, essi sarebbero dovuti non già dalla scadenza del termine bensì dalla
sentenza dichiarativa della nullità del termine;
che la censura non è fondata quanto al primo aspetto, atteso che questa Corte
ha statuito che l’articolo 429, comma 3, c.p.c., in tema di rivalutazione monetaria
dei crediti di lavoro trova applicazione anche nel caso dell’indennità di cui all’art.
32 della I. n. 183 del 2010, in quanto si riferisce a tutti i crediti connessi al
rapporto e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva, mentre

richieste istruttorie proposte erano ammissibili e rilevanti a fini decisori;

R.G. n. 10376/2013

deve essere accolta circa la decorrenza degli accessori in quanto la rivalutazione
monetaria e gli interessi legali maturano dalla data della sentenza che dispone la
conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato (Cass. ord. VI n. 5344
del 2016; conf. n. 3062 del 2016);
che, pertanto, respinti tutti gli altri motivi di ricorso, deve essere accolto l’ultimo,
nei sensi di cui in motivazione, e non essendo necessari altri accertamenti,
cassata la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, la società va

interessi e rivalutazione da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia
giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine sino
al saldo;
che in ordine alla liquidazione delle spese possono esser confermate quelle già
determinate dalla Corte territoriale, mentre quelle del giudizio di legittimità
possono essere compensate nella misura di un quarto, considerato il limitato
accoglimento del ricorso per cassazione, ponendo le residue a carico di Poste
Italiane Spa liquidate come da dispositivo;

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi cinque motivi di ricorso e, accolto l’ultimo nei sensi di cui
in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ad esso e, decidendo
nel merito, condanna Poste Italiane Spa al pagamento in favore di Rosaria Baldi
degli interessi e della rivalutazione monetaria sulla indennità ex art. 32 della I.
n. 183 del 2010/ già determinata dalla Corte di Appello di Catania i dalla data della
pronuncia di appello sino al saldo; conferma le statuizioni della Corte territoriale
in ordine alla liquidazione delle spese relativamente ai gradi di merito, mentre
condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità
nella misura di 3/4, compensate le residue, liquidate in euro 3000,00, oltre
accessori secondo legge, rimborso pari ad euro 200,00 e spese generali al 15%.
•Di

Così deciso nella Adunanza camerale del 20 luglio 2017

condannata al pagamento della indennità già liquidata dalla Corte territoriale, con

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