Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28106 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 31/10/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 31/10/2019), n.28106

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21294/2014 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI, 12;

– ricorrente –

contro

C.T.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 120/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 12/06/2014 R.G.N. 236/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

il Tribunale di Campobasso, in funzione di giudice del lavoro, accoglieva il ricorso col quale C.T. – premesso di avere beneficiato, a seguito del sisma che aveva colpito il Molise nel 2002, della sospensione dei versamenti contributivi di previdenza e assistenza sociale di cui all’O.P.C.M. 29 novembre 2002, n. 3253 – aveva lamentato che a decorrere dal novembre del 2011, e contrariamente a quanto stabilito nella succitata ordinanza PCM a proposito della restituzione rateizzata dei suddetti contributi, del tutto arbitrariamente il Ministero dell’Economia e delle Finanze convenuto aveva operato in busta paga, a titolo di recupero della contribuzione sospesa, trattenute sensibilmente maggiori di quelle inizialmente disposte ed aveva chiesto che venisse ordinato al predetto Ministero di ripristinare le modalità di recupero come già attuate fino all’ottobre del 2011;

la predetta decisione, con sentenza del 12.6.2014, veniva confermata dalla Corte d’appello di Campobasso la quale affermava quanto segue: – Sussisteva la legittimazione passiva del MEF in quanto rappresentante di parte datoriale che aveva proceduto alla rideterminazione delle modalità di restituzione oggetto di controversia; la norma di interpretazione autentica di cui al D.L. 9 ottobre 2006, n. 263, art. 6, comma 1 bis, convertito in L. 6 dicembre 2006, n. 290, che aveva definitivamente escluso i dipendenti pubblici dal beneficio della sospensione contributiva, non aveva invece riguardato le modalità di restituzione dei contributi comunque non versati; in siffatta situazione non poteva trovare applicazione la normativa richiamata dall’appellante Ministero a giustificazione dei nuovi criteri unilateralmente imposti quanto a modalità di restituzione dei contributi (divenuti) indebitamente sospesi (criteri dedotti dal D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 3 bis, conv. in L. 8 agosto 2002, n. 178 e la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 17) perchè non era ad essa pertinente essendo destinata a regolare il solo, distinto, nonchè esclusivo, rapporto tra ente previdenziale e datore di lavoro; pertanto, in mancanza di specifiche norme regolatrici del caso concreto e, comunque, anche a non volere, in ipotesi, ritenere più operativa l’O.P.C.M. n. 3253 del 2002, quanto dell’art. 7, comma 2 (non interessato dalla norma di interpretazione autentica di cui alla L. n. 290 del 2006, art. 6, comma 1 bis), la questione in disamina doveva essere riguardata e decisa alla luce del principio del legittimo affidamento del soggetto obbligato da un lato, e della insuperabilità di limiti quantitativi valevoli ad assicurare il rispetto delle esigenze di vita del lavoratore dall’altro lato; essendo, quindi, incontestato che l’appellata aveva goduto del beneficio della sospensione in perfetta buona fede, e stante il sensibile divario che si sarebbe determinato dalla riduzione fino ad un massimo di 60 rate rispetto alla originaria previsione di restituzione “con un numero di rate pari a otto volte il numero delle mensilità sospese”, (circa trenta mensilità nelle fattispecie dedotte in causa), ovvero in una misura per il recupero che lo stesso Governo aveva giudicato compatibile con il regime medio di vita dei lavoratori dipendenti, l’operato del MEF era stato lesivo anche sotto quest’ultimo profilo testè rappresentato; comunque, il MEF aveva ingenerato l’affidamento dei dipendenti operando, per circa un anno, trattenute in misura ridotta dopo essersi determinato al recupero dei contributi a distanza di oltre tre anni dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2008, in merito alla giustificata esclusione dal beneficio per i soggetti pubblici;

per la cassazione di tale decisione propone ricorso il Ministero affidato a due motivi, mentre rimane solo intimata C.T..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. col primo motivo viene dedotta la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, O.P.C.M. n. 3253 del 2002, art. 7, D.L. n. 138 del 2002, art. 3, comma 3 bis, convertito in L. n. 178 del 2002, L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 17, del principio di affidamento, degli artt. 1183,2033 c.c., art. 1350 c.c., n. 3, artt. 1175 e 1366 c.c., evidenziandosi l’errore in cui è incorso il giudice di secondo grado nel ritenere operative, in favore della controparte, le previsioni di cui dell’art. 7, comma 2, della predetta Ordinanza Presidenziale, nonostante la normativa emergenziale avesse escluso i lavoratori pubblici dal diritto alla fruizione dei relativi benefici, ragione per la quale si era proceduto, da parte della pubblica amministrazione, ad eseguire la ripetizione dell’indebito;

2. in sostanza, la Corte di merito non avrebbe individuato, secondo il ricorrente, alcun criterio normativo utile a vagliare la ragionevolezza della rateizzazione concessa dall’Amministrazione, che era tenuta a recuperare l’indebito oggettivo, limitandosi, invece, a ritenere applicabile nel caso di specie la rateizzazione più lunga prevista dell’O.P.C.M. n. 3253 del 2002, art. 7, comma 2, sulla scorta della supposta applicazione del principio del legittimo affidamento e della tutela della buona fede del percipiente, trascurando, in tal modo, di considerare che quella applicata era una legge speciale valevole solo nei confronti dei privati;

3. quindi, non sussisteva, per parte ricorrente, alcun diritto della controparte ad ottenere una rateizzazione con modalità di favore, dettate da una disciplina eccezionale operante per altri soggetti, nè l’Amministrazione poteva ritenersi espropriata della facoltà di ripetere l’indebito, finanche in un’unica soluzione;

4. Col secondo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del principio del legittimo affidamento in relazione all’art. 2697 c.c., si contesta l’affermazione della Corte territoriale secondo la quale risulterebbe opponibile alla Pubblica Amministrazione un legittimo affidamento dei privati a veder applicata nei propri confronti la previsione di cui al O.P.C.M. n. 3253 del 2002, art. 7, comma 2, che prevede una restituzione con un numero di rate pari ad otto volte il numero di mensilità sospese;

5. secondo il presente assunto difensivo, nella fattispecie la rateizzazione applicata non era di per sè tale da arrecare un pregiudizio alle esigenze di vita della controparte ed il giudicante avrebbe dovuto verificare in concreto e non in astratto l’eventuale sussistenza del lamentato, ma non dimostrato, pregiudizio;

6. i due motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati; anzitutto, va rilevato che questa Corte ha già affermato che l’O.P.C.M. n. 3253 del 2002, art. 7, comma 1 – che prevede la sospensione dei versamenti dei contributi previdenziali per i soggetti residenti nelle zone colpite dagli eventi sismici iniziati il 31 ottobre 2002 – va interpretato alla stregua del disposto del D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma 1-bis, citato e, pertanto, è riferibile soltanto ai datori di lavoro privati, essendo il beneficio in esso contemplato finalizzato alla liberazione di risorse economiche da destinare al sostegno delle attività imprenditoriali (finanziando l’impresa con operazione rispetto alla quale il lavoratore resta neutro) e non anche all’incremento delle retribuzioni dei lavoratori;

7. è stato altresì chiarito che il predetto D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma 1-bis, essendo norma propriamente di interpretazione autentica (ritenuta costituzionalmente legittima da Corte Cost. n. 325 del 2008) secondo quanto esplicitato anche dal dato testuale oltre che dalla sua ratio, come tale, ha efficacia retroattiva e si applica anche alle ordinanze ex D.L. 4 novembre 2002, n. 245, conv. con modif. in L. 27 dicembre 2002, n. 286, riguardando, in generale, il potere di emanazione di provvedimenti contingibili ed urgenti. Ne deriva che il datore di lavoro pubblico ha legittimamente operato le trattenute, dovendo corrispondere da subito i contributi previdenziali ed i premi, ed anche per la quota a carico del lavoratore, non operando la sospensione dell’obbligo nei confronti dei datori pubblici secondo quanto fin qui detto (Cass. n. 2277 del 6 febbraio 2015; Cass. n. 8442 dell’8 aprile 2014; Cass. n. 8646 del 30 maggio 2012; Cass. n. 4963 del 28 marzo 2012, n. 4963 nonchè nn. 4669, 4673, 10243,13159, 28500 del 2011);

8. tuttavia, l’applicabilità della O.P.C.M. n. 3253 del 2002, art. 7, comma 1, solo ai datori di privati non comporta che il comma 2 di detto articolo (secondo cui: “La riscossione dei contributi previdenziali ed assistenziali e dei premi dovuti per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali non corrisposti per effetto della sospensione di cui al comma 1 avverrà mediante rate mensili pari a otto volte i mesi interi di durata della sospensione. Gli adempimenti non eseguiti per effetto della sospensione di cui al comma 1 sono effettuati entro il secondo mese successivo al termine della sospensione, mentre le rate di contributi sono versate a partire dal terzo mese successivo alla sospensione stessa.”) non possa trovare applicazione anche nelle ipotesi – quale quella all’esame – in cui l’indebita erogazione dei contributi sia avvenuta per una erronea scelta dell’Amministrazione favorita dalla equivocità del testo normativo che ha reso necessario l’adozione di una disposizione interpretativa (v. in tal senso di recente Cass. Sez. Lav. Ord. nn. 16300 e 16301 del 2019);

9. oltretutto, è circostanza pacifica tra le parti che il Ministero ricorrente aveva inizialmente applicato – pur non essendo a ciò obbligato alla luce di quanto sopra esposto – le modalità di rateizzazione previste dal menzionato O.P.C.M. n. 3253 del 2002, art. 7, comma 2;

10. è altresì opportuno ricordare che la giurisprudenza amministrativa, formatasi sui rapporti di lavoro di impiego pubblico non contrattualizzato, ha avuto modo di affermare che il recupero ha carattere di doverosità e costituisce esercizio, ai sensi dell’art. 2033 c.c., di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, non rinunziabile, in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate, mentre le situazioni di affidamento e di buona fede dei percipienti rileverebbero ai soli fini delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente (v., ex plurimis, Cons. St., Sez. 3, 9 giugno 2014, n. 2903);

11. anche la giurisprudenza di diverso orientamento (Consiglio di Stato, 6 sezione, sentenza n. 5315 del 2014, Cons. St., 5 sezione, 13 aprile 2012, n. 2118) ha rilevato che i suddetti principi giurisprudenziali, pur apparendo condivisibili in linea astratta, non possono essere applicati in via automatica, generalizzata e indifferenziata a qualsiasi caso concreto di indebita erogazione, da parte della pubblica amministrazione, di somme ai propri dipendenti, dovendosi aver riguardo alle connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, tenendo conto della natura degli importi di volta in volta richiesti in restituzione, delle cause dell’errore che aveva portato alla corresponsione delle somme in contestazione, del lasso di tempo trascorso tra la data di corresponsione e quella di emanazione del provvedimento di recupero, dell’entità delle somme corrisposte in riferimento alle correlative finalità;

12. pertanto, il ricorso va rigettato;

13. non si provvede alla regolazione delle spese in quanto C.T. è rimasta solo intimata;

14. infine, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 1778/2016).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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