Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28104 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 31/10/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 31/10/2019), n.28104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21067/2012 proposto da:

V.L.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

OSLAVIA 7, presso lo studio degli avvocati ANDREA SOLFANELLI, SARA

D’ONOFRIO, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO” DI CHIETI – PESCARA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 681/2011 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 04/10/2011 R.G.N. 1388/2010.

Fatto

RILEVATO

che:

V.L.N. ha adito il Tribunale di Pescara, esponendo di avere lavorato presso l’Università di Chieti-Pescara, tra il 1979 ed il 1988, quale lettore, in forza di contratti a tempo determinato stipulati ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28;

successivamente essa, dal 1988 al 1994, aveva lavorato, sempre come lettore, presso l’Università degli Studi di Lecce, mentre in seguito, a partire dal 11 giugno 1994, aveva stipulato con l’Università di Chieti-Pescara, due consequenziali contratti a tempo determinato e poi un contratto a tempo indeterminato, tutti quale collaboratore esperto linguistico, ai sensi del D.L. n. 249 del 1994 e del D.L.n. 588 del 1994, non convertiti in legge ma con effetti fatti salvi dalla successiva L. n. 236 del 1995;

essa quindi, pur precisando di nulla richiedere in ordine al “primo periodo”, perchè oggetto di un precedente giudizio in cui le sue domande erano state rigettate, insisteva, sul presupposto che fosse illegittima, stante lo svolgimento di attività di docenza universitaria, la previsione di applicazione nei suoi confronti dell’art. 51 del CCNL 1996, per il riconoscimento del diritto a percepire fin dal 16 giugno 1994 o da altra data ritenuta di giustizia, il trattamento previsto per il professore associato a tempo pieno o, in subordine, a tempo definito, oltre accessori e regolarizzazione della posizione previdenziale;

la Corte d’Appello di L’Aquila, rigettando il gravame avverso la pronuncia del Tribunale di Pescara, ha confermato il rigetto di tali domande;

il giudice di appello, ricostruita la normativa, nonchè l’evoluzione giuridica e giurisprudenziale, affermava che il trattamento economico era stato determinato secondo le modalità sopra riepilogate in ragione dell’attività, anche didattica, svolta dalla ricorrente e che, non avendo la V. sostenuto che il trattamento di cui al contratto collettivo avesse in qualche modo violato diritti da essa precedentemente acquisiti, la pretesa non meritava accoglimento;

avverso la pronuncia la V. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, poi illustrati da memoria, mentre l’Università è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo la ricorrente sostiene l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), affermando che la conclusione della Corte territoriale in ordine alla adeguatezza del trattamento retributivo erogato in ragione dell'”impegno quali-qualitativo richiesto” risulterebbe apodittica e sostenendo che, rispetto a tale impegno, erano state svolte analitiche deduzioni ed eseguite produzioni documentali cui il giudice di secondo grado aveva contrapposto immotivate affermazioni contrarie;

la Corte aquilana ha ritenuto che l’attività della ricorrente, riguardando l’agevolazione dell’apprendimento di lingue straniere nel contesto di corsi relativi ad altre materie, fosse da qualificare come attinente a compiti didattici integrativi, “senza l’elemento della responsabilità” di un vero e proprio “corso di studio”;

il motivo sostanzialmente pretende, con riferimento a tale valutazione, un riesame di merito, certamente estraneo al giudizio di legittimità (Cass. S.U. 25/10/2013, n. 24148);

oltre a ciò la formulazione risulta generica (nel corpo del motivo si legge che “la parte aveva svolto analitiche e prolungate deduzioni nonchè effettuato produzione documentale” ed il ricorso introduttivo avrebbe espresso un “ben più complessivo argomentare”) che non integra una idonea ed articolata critica alla contraria decisione della Corte territoriale;

ciò comporta l’inammissibilità del motivo, per contrasto con i presupposti giuridici e di rito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1 e con i principi di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai n. 4 e 6 della predetta disposizione, da cui si trae, nel contesto comune del principio di specificità predetto, l’esigenza che l’argomentare sia idoneo a manifestare la pregnanza (ovverosia la decisività) del motivo, anche attraverso il richiamo specifico ai documenti che possono sorreggerlo, da attuare con l’inserimento logico del relativo contenuto nell’ambito del ragionamento impugnatorio;

il secondo motivo adduce violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3), artt. 1362 c.c. e segg., art. 2697 c.c. e art. 112 c.p.c., per non essersi valutate le deduzioni, che si assumono non essere state neppure contestate, in ordine allo svolgimento di attività non riconducibili al mero supporto del titolare di cattedra e consistenti, in via del tutto unica ed esclusiva, nell’autonoma organizzazione e programmazione della didattica, con svolgimento degli esami degli studenti;

anche tale motivo è formulato in modo generico, in quanto le deduzioni su cui esso intenderebbe fondarsi, sono richiamate con riferimento ai numeri (13, 15 e 39) di capitoli (si immagina di prova) che non sono però trascritti a corredo dell’argomentazione e che neppure può pensarsi siano quelli di cui ai corrispondenti punti del ricorso di primo grado riportato nella precedente narrativa processuale, in quanto quelle in tale ambito indicate ai corrispondenti numeri sono allegazioni generiche, di stampo difensivo o giuridico e non certo precise allegazioni fattuali idonee a sovvertire la valutazione svolta dal giudice di secondo grado;

assolutamente generica è anche l’affermazione di violazione dei canoni ermeneutici, la quale non risulta completata nè con l’indicazione di quali tra tali regole sia stata violata, nè con puntuali argomenti che riconnettano le predette regole alle deduzioni fattuali svolte;

la ricorrente prosegue nel medesimo motivo sostenendo l’erroneità altresì dell’affermazione secondo cui essa non avrebbe sostenuto l’avvenuta violazione d. diritti acquisiti sulla base dei precedenti contratti a termine, perchè in realtà – assume – quella deduzione vi era stata;

anche tale profilo è inammissibile, in quanto rispetto all’avvenuta allegazione di diritti derivanti dai precedenti contratti a termine la ricorrente si affida ancora al mero rinvio a capitoli del ricorso di primo grado (12, 19, 20, 24 e 25); tali capitoli non risultano però anch’essi riguardare, secondo il testo di tale ricorso quale trascritto nell’ambito del ricorso per cassazione, la questione sollecitata con il motivo, come non la riguarda il capitolo 62, parimenti richiamato, in cui sarebbe stata “conchiusa” – si afferma nel motivo – la predetta allegazione, ma che in realtà riguarda argomentazioni difensive rispetto al rilievo da attribuire – per i lettori – alla soglia massima del trattamento retributivo proprio del professore associato a tempo definito (D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28, comma 3);

il motivo manifesta poi elementi di contraddittorietà o quanto meno di insufficiente spiegazione degli assunti non essendo chiarito in modo inequivoco, nè a quali contratti, nè a quali diritti la ricorrente intenda riferirsi;

il terzo motivo è ancora destinato alla denuncia di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), avendo la Corte distrettuale, secondo la ricorrente, del tutto omesso di pronunciare sul motivo di appello con cui era stata censurata la sentenza di primo grado per non avere ritenuto possibile l’accoglimento della domanda sub specie dell’art. 36 Cost.;

non è tuttavia vero che la sentenza di appello non abbia pronunciato, in quanto in essa si reperisce l’affermazione che neppure “la retribuzione prevista dal contratto collettivo può ritenersi inadeguata, considerando l’impegno quali-quantitativo richiesto” e si tratta di conclusione evidentemente da riconnettere alla ricostruzione della prestazione resa in termini di compiti integrativi rispetto ai corsi di laurea principali (“ufficiali”, afferma la sentenza) cui essa accedeva;

l’omessa pronuncia (insussistente) non poteva però essere dedotta ai sensi dell’art. 360, n. 5, trattandosi eventualmente di vizio processuale da dedurre ai sensi del n. 4 del medesimo articolo, il che, non risultando esplicitata nel corpo del motivo una domanda di nullità della sentenza per vizio processuale, comporta l’inammissibilità della censura (da ultimo v. Cass. 5 maggio 2018, n. 10862, sulla scia di Cass., S.U., 24 luglio 2013, n. 17931);

vi è poi in ogni caso da dire che, stante il nesso logico sopra richiamato (tale per cui, ritenuti i compiti svolti come meramente integrativi, la Corte di merito ne ha poi dedotto l’incomparabilità con la rivendicata attività del professore associato e dunque l’adeguatezza rispetto all’impegno richiesto), neppure potrebbe dirsi sussistente un difetto di motivazione su un punto decisivo, secondo il testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, previgente all’attuale e qui applicabile ratione temporis alla presente controversia;

con il quarto motivo la V. denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, per avere la Corte pretermesso l’applicazione nei suoi confronti del D.L. n. 2 del 2004, art. 1, come autenticamente interpretato dalla L. n. 240 del 2010, art. 26, secondo cui ai lettori di madre lingua straniera già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1981, art. 28, è attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore a tempo definito, mantenuto anche quale trattamento di miglior favore in caso di successiva attività svolta quali collaboratori esperti linguistici ai sensi del D.L. n. 150 del 1995, art. 4;

l’applicazione del D.L. n. 2 del 2004, art. 1, come poi interpretato autenticamente dalla L. n. 240 del 2010, art. 26, postula tuttavia l’esistenza di un unico rapporto, dapprima di lettorato e poi di collaborazione esperto-linguistica, mentre nel caso di specie, per quanto lo si sostenga nel ricorso di primo grado, non si vede (nè è spiegato) come il rapporto di lettorato già esistente (tra il 1988 ed il 1994) con l’Università di Lecce possa dirsi proseguito con l’Università di Chieti-Pescara e dunque con un soggetto diverso con il quale, dal 1994, furono pacificamente sottoscritti nuovi contratti;

mentre d’altra parte la stessa V. afferma (punto 3 del ricorso di primo grado, quale riportato nell’impugnativa per cassazione) che nulla veniva chiesto rispetto “al primo periodo” (dal 1979 al 1988 la ricorrente era stata lettrice presso l’Università intimata), sicchè i predetti contratti sono comunque fuori gioco;

inoltre, la Corte territoriale richiama comunque quella normativa, sottolineando come essa fosse tale da costituire adempimento agli obblighi Eurounitari del nostro Paese per la salvaguardia dei diritti degli ex lettori;

viceversa la ricorrente non precisa, nel corpo del motivo, dove, come e quando, nei gradi di merito (in cui quello rivendicato era il trattamento del professore associato) fosse mai stato posto a fondamento dell’azione il disposto del cit. D.L. n. 2 del 2004, art. 1, ed il riconnesso trattamento da ricercatore confermato a tempo definito ivi previsto, sicchè il motivo, così proposto, è inammissibile, perchè non dimostra che quella causa petendi fosse stata effettivamente spesa nel corso del giudizio, non potendosi evidentemente introdurre in sede di legittimità nuove prospettazioni che si basino su dati fattuali (la percezione di un compenso inferiore anche a quello del ricercatore) ulteriori e diversi (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);

tutti i motivi presentano dunque tratti di inammissibilità che risultano assorbenti e che comportano la definizione in tal senso del presente giudizio di legittimità;

nulla sulle spese in quanto l’Università è rimasta intimata.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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