Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28101 del 24/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 28101 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA

sul ricorso 1060-2012 proposto da:
CURINGA BIAGIO C.F. CRNBGI29D11C747Y, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA F. CORRIDONI 23, presso lo
studio dell’avvocato ENZO ANTONIO ANTONUCCI,
rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO MESITI,
giusta delega in atti;
– ricorrente
contro
2017
3305

MINISTERO DELLA SALUTE C.F. 80184430587, in persona
del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui
Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI
PORTOGHESI 12;

Data pubblicazione: 24/11/2017

- controricorrente

avverso la sentenza n. 955/2011 della CORTE D’APPELLO
di REGGIO CALABRIA, depositata il 27/06/2011 R.G.N.

111/2006.

R.G. n.

1060 del 2012

RILEVATO

1. che la Corte d’Appello di Reggio Calabria, con la sentenza n.
955 del 2011, depositata il 27 giugno 2011, pronunciando sull’appello
principale proposto dalla Regione Calabria nei confronti del Ministero
della salute e di Curinga Biagio, e sull’appello incidentale proposto da
quest’ultimo chiedendo in via incidentale subordinata l’accoglimento della
domanda nei confronti del Ministero, avverso la sentenza emessa tra le

primo grado dichiarava la carenza di legittimazione passiva della Regione
Calabria e, ritenuta la legittimazione passiva del Ministero della salute,
dichiarava inammissibile per decadenza la domanda originariamente
proposta dal Curinga;

2. che il Curinga aveva adito il Tribunale premettendo di aver
contratto il virus HCV a causa di una trasfusione di sangue, e di aver
inoltrato la domanda per ottenere l’indennizzo ex lege 210 del 1992
senza ottenere risposta. Pertanto chiedeva la condanna del Ministero e
della Regione Calabria a corrispondergli l’indennizzo in questione.
Il Tribunale aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva del
Ministero e aveva riconosciuto il diritto del Curinga all’indennizzo, con
condanna della Regione alla relativa corresponsione, con decorrenza dal
primo giorno del mese successivo alla presentazione della relativa
domanda amministrativa (1° settembre 2000), con gli interessi legali;

3. che per la cassazione della sentenza resa in grado di appello
ricorre Curinga Biagio nei confronti del Ministero della salute,
prospettando tre motivi di ricorso;

4. che resiste con controricorso il Ministero.
CONSIDERATO

1. che con il primo motivo di ricorso, ex art. 360, n.3, cod. proc.
civ., è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 327, 342,
346, 433 e 436 cod. proc. civ., in relazione all’art. 442, comma 1, cod.
proc. civ. Mancata declaratoria di esistenza del giudicato implicito nei
confronti del Ministero della salute in merito alla eccepita decadenza.
Espone il ricorrente che il Ministero nel giudizio di appello si era
limitato a costituirsi con comparsa depositata il 20 gennaio 2011, senza
proporre appello incidentale avverso la sentenza di primo grado nella

parti dal Tribunale di Palmi n. 210 del 2005, in riforma della sentenza di

R.G. n. 1060 del 2012

parte in cui la stessa aveva rigettato l’eccezione di decadenza formulata
anche dal Ministero della salute, dando così luogo a giudicato implicito sul
punto della decisione di primo grado.
La Corte d’Appello, nel dichiarare la decadenza, accoglieva una
eccezione senza che per la stessa fosse stato proposto specifico motivo
di appello incidentale;

2. che il motivo è inammissibile

per difetto di specificità, non

potendo il ricorrente, nell’eccepire il giudicato interno, limitarsi a
richiamare le ragioni di diritto poste a fondamento della censura, ma
avendo l’onere di riportare il contenuto degli atti processuali rilevanti,
nella misura necessaria ad evidenziare il prospettato fondamento di
quest’ultima, ex art. 366, n. 3, cod. proc. civ., nella specie l’appello della
Regione Calabria, il proprio appello incidentale proposto nei confronti del
Ministero della salute, l’atto di costituzione in grado di appello del
Ministero, dovendosi poter desumere dal ricorso una conoscenza del
“fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per ben intendere il
significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a
quo.
I suddetti atti processuali costituiscono

requisiti processuali

speciali di ammissibilità, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 366, n.
3, cod. proc. civ., è necessario che nel ricorso per cassazione sia fatta
espressa menzione del contenuto degli stessi, al fine di evidenziare la
sussistenza del prospettato giudicato interno sulle questioni già
prospettate al giudice del merito (cfr., Cass., n. 10722 del 2014).
Ciò tenuto conto, in particolare, che l’appello principale e lo stesso
appello incidentale, nel dedurre la sussistenza della legittimazione
passiva del Ministero ai fini della condanna di quest’ultimo, potevano aver
devoluto alla Corte d’Appello, quale presupposto logico giuridico della
domanda di condanna del Ministero, la questione della decadenza anche
rispetto a quest’ultimo (cfr., Cass. n. 16391 del 2009, n. 15709 del 2011,
n. 1771 del 2012).
Va, altresì, rilevato che anche qualora il ricorrente prospetti un
error in procedendo, rispetto al quale la Corte di cessazione è giudice del
“fatto processuale”, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del
giudizio di merito presuppone l’ammissibilità della censura

ex art. 366
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R.G. n. 1060 del 2012

cod. proc. civ.,_sicchè la parte non è dispensata dall’onere di specificare il
contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, di indicare in
modo egualmente specifico i fatti processuali alla base dell’errore
denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti (Cass., n. 14639
del 2016);
3. che con il secondo motivo di appello è dedotta la violazione
dell’art. 360, n. 3 n. 5, cod. proc. civ. Violazione e falsa applicazione

dell’art. 3, commi 1 e 7, della legge n. 210 del 1992, nonché dell’art.
2697 cod. civ. Difetto di motivazione in ordine alla data di conoscenza
del danno conseguito alla trasfusione.
Assume il ricorrente che erroneamente la Corte d’Appello ha
ritenuto che il termine di decadenza di cui al citato art. 3 della legge n.
210 del 1992 decorre dalla data di entrata in vigore della legge n. 238
del 1997 che introduceva la novella. Tale interpretazione può trovare
applicazione solo quando l’interessato abbia avuto conoscenza del danno
alla data di entrata in vigore della legge, dovendo applicarsi in caso
contrario, la regola della decorrenza del termine dal momento in cui il
soggetto ha avuto effettiva conoscenza del danno.
La Corte d’Appello non faceva alcuna considerazione in ordine al
momento conoscitivo della causa della malattia, e dunque riteneva
intervenuta la decadenza senza considerare se il ricorrente alla data di
entrata in vigore della legge avesse o meno avuto contezza del danno
conseguente all’epatite post-trasfusionale;
3. che con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione, ex art.
360, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 3 della legge n. 210 del 1992,
applicabile ratione temporis.
L’art. 3 nella sua formulazione originaria non prevedeva alcun
termine di decadenza per le epatiti post trasfusionali, ma solo per le
patologie derivanti dalle vaccinazioni obbligatorie. Quindi, per le epatiti
contratte prima dell’entrata in vigore della legge 238 del 1997, doveva
trovare applicazione il testo originario dell’art. 3 della legge n. 210 del
1992 e dunque, in mancanza della previsione di un termine di decadenza,
l’ordinario termine di prescrizione decennale.

3

R.G. n. 1060 del 2012

Nella specie le trasfusioni intervenivano nel 1982 e il ricorrente
aveva conoscenza della patologia e del conseguente danno nel 1994,
prima delle modifiche di cui alla legge n. 238 del 1997.
4. che il secondo ed il terzo motivo di ricorso devono essere
trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.
Gli stessi non sono fondati.
Va preliminarmente rilevato che la Corte d’Appello ha preso in

considerazione il dato conoscitivo della malattia (v. pag. 5 della sentenza
di appello), riferendo che il ricorrente aveva dedotto che l’epatite gli era
stata diagnosticata nel 1994 in conseguenza di trasfusioni effettuate nel
1982, e che la domanda amministrativa veniva proposta in data 18
agosto 2000. Riteneva, quindi intervenuta decadenza in quanto la
domanda amministrativa era stata proposta dopo tre anni dalla entrata
in vigore della legge 238 del 1997.
Tale statuizione è corretta in ragione dei principi affermati da
questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 15352 del 2015 (cui
adde, Cass., ord. n. 22055 del 2015), secondo cui il termine triennale di
decadenza per il conseguimento dell’indennizzo in favore di soggetti
danneggiati da emotrasfusioni, introdotto dalla legge 25 luglio 1997, n.
238, si applica anche in caso di epatite postrasfusionale contratta prima
del 28 luglio 1997, data di entrata in vigore della detta legge, con
decorrenza, però, da questa stessa data, dovendosi ritenere,
conformemente ai principi generali dell’ordinamento in materia di termini,
che, ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza
prima non previsto, la nuova disciplina operi anche per le situazioni
soggettive già in essere, ma la decorrenza del termine resta fissata con
riferimento all’entrata in vigore della modifica legislativa;
che il ricorso deve essere rigettato;
che il contrasto e le dissonanze riscontrati nella giurisprudenza di
legittimità ed il recente intervento chiarificatore delle Sezioni unite,
intervenuto successivamente alla proposizione del ricorso in esame,
costituiscono giusto motivo per compensare tra le parti le spese di
giudizio.
P.Q.M.

4

R.G. n. 1060 del 2012
La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese di
giudizio.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale del 18 luglio 2017

Il Presidente

/

Il Funzionario Gi i iario

Giuseppe Napoletano

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