Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 281 del 07/01/2011

Cassazione civile sez. I, 07/01/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 07/01/2011), n.281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2935/2008 proposto da:

S.F. (c.f. (OMISSIS)), S.

G. (C.F. (OMISSIS)), S.A.L.

(C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, V. DEI

MILLE 41 – A, presso l’avvocato NOTA CERASI FRANCESCO, rappresentati

e difesi dall’avvocato SCAPPATICCI ENNIO, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA depositato il

23/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso.

La Corte:

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che S.F., S.A.L. e S. G., hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Perugia, depositato in data 23.1.07, con cui il Ministero della Giustizia veniva condannato al pagamento della somma complessiva di Euro 4.600,00 ex L. n. 89 del 2001 per l’eccessiva durata di un processo durato in primo grado dal 23.2.96 al 20.1.06; che il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

Il decreto impugnato, rilevato che il giudizio presupposto era durato circa nove anni e undici mesi, ha ritenuto, sulla base di una durata ragionevole di anni quattro, giustificata da una complessità della causa superiore alla media, e di un ritardo di anni uno e mesi tre addebitabile al comportamento delle parti, che lo stesso avesse avuto un ritardo non giustificato di anni quattro e mesi otto.

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti contestano la ritenuta ragionevole durata stabilita in anni quattro e deducono che non sono ad essi addebitabili i tempi dei rinvii superiori a quaranta giorni mentre nella specie i detti rinvii sarebbero stati di circa cinque mesi.

Quanto alla prima doglianza, la stessa è inammissibile poichè pone una censura di merito rispetto alla valutazione della durata ragionevole del processo effettuata dalla Corte d’appello e stabilita in anni quattro sulla base di una adeguata motivazione fondata sulla complessità della disposta ctu.

La seconda doglianza è fondata.

Va premesso che i ricorrenti non hanno censurato la sottrazione del periodo relativo ai richiesti rinvii in quanto tali, ma solo l’eccessiva durata di detti rinvii. Ciò posto, si osserva che questa Corte ha ripetutamente chiarito che, ai fini della eventuale ascrivibilità, nell’area della irragionevole durata del processo, dei tempi corrispondenti a rinvii eccedenti il termine ordinatorio di cui all’art. 81 disp. att. c.p.c., la violazione della durata ragionevole non discende, come conseguenza automatica, dall’essere stati disposti rinvii della causa di durata eccedente i quindici giorni ivi previsti, ma dal superamento della durata ragionevole in termini complessivi, in rapporto ai parametri, di ordine generale, fissati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2. (Cass. 15 novembre 2006 n. 24356; Cass. 1 marzo 2005 n. 4298; Cass. 5 marzo 2004 n. 4512; Cass. 3 settembre 2003 n. 12808; Cass. 11307/10).

Conseguentemente, ove i tempi di durata media, quali indicati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, siano stati superati (ciò che, nel caso in esame, il giudice di merito ha già accertato), il rinvio della causa per un tempo superiore al termine di quindici giorni previsto dall’art. 81 disp. att. c.p.c. – che, pure, ha carattere ordinatorio, e non perentorio – va addebitato a disfunzioni dell’apparato giudiziario salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta alla P.A. evidenziare, riconducibili alla fisiologia del processo, che lo giustifichino (Cass. 23 agosto 2005 n. 17110).

A questa regola non si è attenuta la corte territoriale, che, avendo accertato un superamento della durata ragionevole del processo, pur determinato in una misura superiore a quella media in ragione della sua complessità, ha poi addebitato alla parte un ritardo nella definizione della causa, motivando la decisione con l’argomento che la sua difesa aveva chiesto dei rinvii o, comunque, non si era opposta a quelli richiesti dalla controparte, senza alcuna indagine sull’imputabilità della lunghezza dei rinvii a disfunzioni dell’apparato giudiziario (Cass. 11307/10).

Il motivo va, pertanto, accolto.

Il secondo motivo con cui ci si duole della insufficiente liquidazione del danno e del fatto che lo stesso è stato liquidato complessivamente e non per ciascuno dei ricorrenti è inammissibile.

Al ricorso per cassazione in questione devono essere applicate le disposizioni di cui al capo I del D.Lgs. 12 febbraio 2006, n. 40, (in vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l’illustrazione del motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, nn. 1 – 2 – 3 – 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; mentre per l’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorso deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Il quesito di diritto deve inoltre essere adeguato alla fattispecie, esso deve cioè porre in modo sintetico a questa corte la questione di diritto di cui si chiede la soluzione in relazione alla fattispecie concreta e che corrisponde a quanto esposto nel motivo.

Nel caso di specie, il quesito contiene una affermazione del tutto generica secondo cui le situazioni di stress indotte dalla eccessiva durata del processo dovrebbero valutarsi non in termini minimali bensì massimali, tenendo in massimo conto i disagi subiti. Tale affermazione è del tutto avulsa dal contenuto del motivo e non fa riferimento ad alcun principio di diritto ma involge esclusivamente una valutazione sull’esercizio del potere discrezionale del giudice nella determinazione dell’indennizzo. Nessun riferimento si rinviene poi nel quesito circa la liquidazione complessiva dell’equo indennizzo.

Pertanto il ricorso va accolto per quanto di ragione con conseguente cassazione del decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, sussistendo i presupposti di cui all’art. 384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito con la condanna del Ministero al pagamento dell’equo indennizzo liquidato in Euro 4850,00 in favore dei ricorrenti sulla base di un ritardo di anni 5 e mesi sette (come richiesto dai ricorrenti,detratto un anno per il rigetto della censura relativa alla determinazione del periodo di durata ragionevole del processo e di ulteriori 120 giorni non addebitabili all’Amministrazione, come riconosciuto dagli stessi ricorrenti) come la liquidazione di Euro 750 per i primi tre anni di ritardo ed Euro mille per i successivi., oltre interessi legali dalla domanda al saldo nonchè al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato in ragione della censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 4850,00 in favore dei ricorrenti oltre interessi legali dalla domanda al saldo nonchè al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 600,00 per onorari oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre spese generali ed accessori di legge, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di merito liquidate in Euro 378,00 per diritti, in Euro 450,00 per onorari ed Euro 50,00 per spese oltre spese generali ed accessori di legge da distrarsi in favore dell’avv.to Scappaticci.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2011

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