Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28099 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 31/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 31/10/2019), n.28099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16482-2015 proposto da:

C.I., G.G., CO.DI., A.P.,

R.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PORTUENSE 104 C/O DE

ANGELIS ANTONIA, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO COPPA, che

li rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, MINISTERO DELLA SALUTE C.F. (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE

DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA SCIENTIFICA (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore, SECONDA UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI,

in persona del Rettore pro tempore, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE

FINANZE C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, tutti

domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

e contro

REGIONE CAMPANIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 8624/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/12/2014 r.g.n. 1632/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli che aveva a sua volta rigettato le domande proposte da C.I., R.A., A.P., G.G. e Co.Di. – medici che avevano svolto, dall’anno accademico 2003-2004 al 2007, attività di formazione specialistica ai sensi delle disposizioni contenute nel titolo VI del D.Lgs. n. 368 del 1999, conseguendo nel dicembre 2007 il diploma di medici chirurgi

specialisti in cardiologia – i quali chiedevano la condanna delle convenute Regione Campania, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Ministero della Salute, Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Seconda Università degli Studi di Napoli al pagamento di un’equa remunerazione per l’attività professionale espletata a partire dall’anno accademico 2003/2004 in misura pari a quella prevista dalla L. n. 266 del 2005 e dal D.P.C.M. 7 marzo 2007 o, in subordine, di quella diversa risultante a titolo di differenze retributive, ferie non godute, omesso versamento di contributi previdenziali o ancora a titolo risarcitorio in relazione all’inadempimento anche con riguardo alla perdita di chances ovvero per mancata o incompleta attuazione della direttiva 93/16/CEE.

2. La Corte territoriale, in esito alla ricostruzione della normativa comunitaria e statale applicabile alla vicenda esaminata, ha ritenuto che in virtù di quanto disposto dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 4, con il quale si è data attuazione alla Direttiva n. 82/76/CEE, il rapporto che si instaura tra l’Università ed i medici specializzandi non è qualificabile come rapporto di impiego non essendo neppure configurabile un rapporto di lavoro subordinato e non rientrando tra le ipotesi di c.d. parasubordinazione. Ha escluso poi che l’attuazione della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 368 del 1999, solo dall’anno accademico 2006/2007 abbia integrato una violazione delle direttive comunitarie e, nello specifico, della direttiva n. 16 del 1993. Ha evidenziato infatti che, già con il D.Lgs. n. 257 del 1991, lo Stato italiano aveva dato attuazione alla direttiva n. 76 del 1982 ed aveva previsto un compenso annuo per i medici specializzandi, adeguato per consentire allo specialista in formazione di dedicare tutta la sua attività professionale alla formazione teorico pratica, compenso da adeguarsi con cadenza annuale secondo il tasso di inflazione e triennale sulla base degli aumenti retributivi previsti dal contratto di categoria. Ha osservato al riguardo che la disciplina sopravvenuta nel 1999 aveva regolamentato più specificatamente il rapporto introducendo una disciplina più favorevole non richiesta dalla normativa comunitaria. Ha escluso qualunque rilievo di incostituzionalità del D.Lgs. n. 368 del 1999, che ha differito l’entrata in vigore del trattamento di miglior favore. Esclusa quindi l’esistenza di un comportamento illegittimo, ha ritenuto assorbita ogni valutazione circa l’esistenza di un comportamento colpevole dello Stato Italiano nel dare attuazione alla direttiva n. 93/16, fonte di respondabilità per i danni che i ricorrenti assumono di aver subito. In ultimo ha ritenuto che non fossero ravvisabili i presupposti per l’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti dello Stato e dell’Università, invocando al riguardo la consolidata giurisprudenza della Cassazione.

3. Per la Cassazione della sentenza propongono tempestivo ricorso C.I., R.A., A.P., G.G. e Co.Di. ed articolano tre motivi. Oppongono difese con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Seconda Università degli Studi di Napoli, mentre la Regione Campania è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 10, 189 e 249 del Trattato Istitutivo della Comunità Europea e la violazione e falsa applicazione della direttiva 93/16/CEE, del D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. da 37 a 42 e 46 e del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6. Inoltre si deduce che la motivazione della sentenza sarebbe insufficiente, carente e contraddittoria in ordine al fatto decisivo dell’omesso o ritardato recepimento della normativa comunitaria.

4.1. Espongono i ricorrenti che il D.Lgs. n. 368 del 1999, con il quale è stata data attuazione alla Direttiva 93/16/CEE, è divenuto efficace, per effetto della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 300 (Finanziaria 2006), solo a decorrere dall’anno 2006-2007 e quindi solo da tale anno accademico essi furono in grado di sottoscrivere il contratto di lavoro, previsto dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 37, con la Seconda Università degli Studi di Napoli e la Regione Campania. In contrasto con quanto previsto dalla direttiva comunitaria 93/16/CEE recepita con il ricordato D.Lgs. n. 368 del 1999 – che aveva previsto la corresponsione di un trattamento economico adeguato comprensivo di tutti gli oneri contributivi – nel periodo antecedente (e dunque dall’anno accademico 2003-2004) essi percepirono solo una borsa di studi dell’importo di circa Euro 930,00 senza diritto a ferie, pensione, maternità e malattia, con divieto di svolgere ogni altra attività professionale e senza garanzia sulla qualità della formazione. Deducono inoltre di aver svolto, sin dal primo anno della formazione specialistica, sempre la stessa attività professionale e di aver invece beneficiato di due diversi trattamenti. Conseguentemente denunciano l’inadempimento dello Stato Italiano e reclamano il diritto a percepire il miglior trattamento economico previsto dalla L. n. 266 del 2005 e dal D.P.C.M. 7 marzo 2007. Si dolgono del fatto che la Corte di appello, ignorando la giurisprudenza formatasi sulla tardata trasposizione ed attuazione delle direttive comunitarie, abbia immotivatamente ritenuto che la sua ritardata attuazione non comportasse per il periodo intermedio un contrasto con i precetti della direttiva escludendo il diritto alla tutela risarcitoria conseguente alla mancata adeguata compensazione della prestazione da quantiicarsi nella misura pari alle differenze non percepite nel periodo antecedente la sua attuazione.

5. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 10, 189 e 249 del Trattato Istitutivo della Comunità Europea e la violazione e falsa applicazione della direttiva 93/16/CEE, D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. da 37 a 42 e 46 e del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6. Inoltre è censurata la sentenza per aver omesso di pronunciare sulla denunciata omessa indicizzazione annuale e rideterminazione triennale della borsa di studio in funzione del miglioramento tabellare stipendiale minimo previsto dalla contrattazione collettiva in favore del medico dipendente del S.S.N. ed evidenziano che, per il periodo interessato, non trovava applicazione il blocco degli adeguamenti.

6. Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti espongono che la sentenza sarebbe incorsa nella violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 10, 189 e 249 del Trattato Istitutivo della Comunità Europea, della direttiva 93/16/CEE, del D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. da 37 a 42 e 4, D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, oltre che nell’omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, in relazione alla domanda di risarcimento danni da perdita di chance (ravvisato nella perdita di possibilità, opportunità e speranza di vedersi applicato il trattamento economico, contrattuale e previdenziale spettante perchè previsto da un’apposita normativa comunitaria).

7. Le censure sono destituite di fondamento.

7.1. Con sentenza del 23/02/2018 n. 4449, alla cui articolata motivazione si rinvia, questa Corte, in esito ad una completa ricostruzione del quadro normativo comunitario e nazionale applicabile al rapporto dei medici in specializzazione, ha accertato che la disciplina recata dalla direttiva 93/16/CEE in ordine alle modalità ed ai tempi della formazione specialistica, in continuità con la direttiva 82/76/CEE, mira a garantire che i medici specializzandi dedichino alla loro formazione pratica e teorica tutta la propria attività professionale, ovvero nel caso degli specialisti in formazione a tempo ridotto, una parte significativa di quest’ultima. Tale disciplina non obbliga, tuttavia, gli Stati membri a disciplinare l’attività di formazione specialistica dei medici secondo lo schema del rapporto di lavoro subordinato.

7.2. La ricordata sentenza ha poi sottolineato che la Direttiva 93/16/CEE, al pari della Direttiva 82/76/CE, non contiene alcuna definizione comunitaria della remunerazione da considerarsi adeguata, nè dei criteri di determinazione di tale remunerazione. Ha evidenziato che il legislatore, che con il D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, ha dato attuazione alla direttiva 93/16/CEE, nel disporre il differimento dell’applicazione delle disposizioni contenute negli artt. da 37 a 42 e la sostanziale conferma del contenuto del D.Lgs. n. 257 del 1991, ha esercitato legittimamente la sua potestà discrezionale.

7.3. Ha quindi ritenuto che l’attività svolta dai medici iscritti alle scuole di specializzazione non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, trattandosi di una particolare ipotesi di “contratto di formazione-lavoro”, oggetto di specifica disciplina, rispetto alla quale non può essere ravvisata una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività suddetta e la remunerazione prevista dalla legge a favore degli specializzandi.

7.4. Esclusa la configurabilità della subordinazione nei rapporti di formazione specialistica disegnati dal legislatore, la Corte di Cassazione nella ricordata sentenza ha ritenuto inapplicabile l’art. 36 Cost., ed ha accertato poi che l’importo della borsa di studio prevista del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6, comma 1, non è soggetto ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita per gli anni dal 1993 al 2005 e che, del pari, ai sensi della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 12 e della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36, comma 1, per i medici specializzandi iscritti negli anni accademici dal 1998 al 2005, non è soggetto all’adeguamento triennale previsto del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1.

7.5. In proposito è stato escluso che sussista una irragionevole disparità di trattamento tra gli specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione a decorrere dall’anno 2006/2007 e quelli frequentanti i corsi nei precedenti periodi accademici. Si è osservato infatti che al legislatore è consentito di differire nel tempo gli effetti di una riforma, senza che, per ciò solo, ne possa derivare una disparità di trattamento tra soggetti che, in ragione dell’applicazione differente nel tempo della normativa in questione, ricevano trattamenti diversi. Del pari ha escluso che sia ravvisabile una disparità di trattamento tra i medici specializzandi iscritti presso le Università Italiane e quelli iscritti in scuole di degli altri paesi Europei, osservando che le situazioni non sono comparabili, perchè la Direttiva 93/16/Ce non ha previsto nè imposto uniformità di disciplina e di trattamento economico. La peculiarità del rapporto di formazione specialistica non consente di ravvisare, poi, una disparità di trattamento rispetto alla posizione economico normativa dei medici neoassunti, che lavorano nell’ambito del S.S.N..

8. Tanto premesso va rilevato che la Corte territoriale, nel rigettare le domande avanzate dagli odierni ricorrenti, si è esattamente attenuta ai principi sopra riportati e non è incorsa nella denunciata violazione delle disposizione comunitarie e nazionali.

8.1. Analizzandoli partitamente si osserva infatti che il primo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. In adesione ai principi di diritto sopra esposti la Corte territoriale ha infatti escluso che fosse ravvisabile una violazione della normativa comunitaria e nazionale nell’aver procrastinato l’entrata in vigore della disciplina dettata dalla normativa di recepimento della direttiva al 2006. La censura è stata formulata anche in termini di insufficiente, carente e contraddittoria motivazione in ordine al fatto decisivo dell’omesso o ritardato recepimento della normativa comunitaria ma tale vizio è inammissibile poichè trova applicazione alla fattispecie l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, con il quale è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte Cass. S.U. 07/04/2014 n. 8053). Ne consegue che non è più denunciabile, nel nuovo regime dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la censura di insufficiente, carente e contraddittoria motivazione in ordine al fatto decisivo dell’omesso o ritardato recepimento della normativa comunitaria e tale vizio.

8.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto, pur denunciando promiscuamente la violazione della disciplina comunitaria e nazionale sopra riportata e l’omessa pronuncia su un punto decisivo per la controversia, nella sostanza la doglianza si appunta sulla dedotta mancata risposta, sin dal primo grado, alla domanda di adeguamento annuale e triennale della borsa di studio. Anche a voler tralasciare gli altri profili di inammissibilità, e comunque l’infondatezza della pretesa per le ragioni che si sono più sopra richiamate, va rilevato che la censura è generica poichè non riporta il contenuto della domanda formulata in primo grado nè quello della censura mossa in appello alla sentenza di primo grado. In tale complessiva situazione, allora, la domanda di cui, nella sostanza, si lamenta l’omesso esame è nuova e perciò inammissibile.

8.3. L’ultimo motivo è infondato. La legittimità della condotta esclude infatti l’esistenza di un diritto al risarcimento del danno. Di tanto dà puntualmente conto la sentenza che anche per questa parte va confermata.

9. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Quanto alle spese l’esistenza di orientamenti di merito difformi e gli approdi della giurisprudenza di legittimità successivi alla proposizione del ricorso in cassazione ne consigliano la compensazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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