Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28098 del 24/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 28098 Anno 2017
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: BOGHETICH ELENA

ORDINANZA

sul ricorso 26270-2012 proposto da:
MANGHISI

BARTOLOMEO

C.F.

MNGBTL58S10C134R,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA PRATI DEGLI
STROZZI 32, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO
LANIGRA, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato PAOLO SALVINI, giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
3277

SAINT GOBAIN SEKURIT ITALIA S.R.L., in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 29, presso
lo studio dell’avvocato TINA GREGORI,

che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VILLANI

Data pubblicazione: 24/11/2017

MARCO GIOVANNI, giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 874/2012 della CORTE D’APPELLO

di TORINO, depositata il 03/08/2012 R.G.N. 1268/2011.

n. 26270/2012 R.G.

RILEVATO
che con sentenza del 3.8.2012, la Corte di appello di Torino, in riforma della
pronuncia del Tribunale di Saluzzo, ha respinto la domanda di Bartolomeo Manghisi di
risarcimento del danno per comportamento integrante mobbing da parte del datore di
lavoro, Saint Gobain Sekurit Italia s.r.I., con decorrenza giugno 2002, rilevando
l’insussistenza di una molteplicità di comportamenti persecutori (trattandosi di episodi

che avverso questa pronuncia ricorre il Manghisi per cassazione prospettando un
motivo ricorso;

che la società resiste con controricorso, illustrato da memoria;
CONSIDERATO
che l’unico motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 2087 cod.civ. nonché vizio di
motivazione avendo, la Corte distrettuale, trascurato la strategia unitaria persecutoria
con finalità di emarginazione del dipendente manifestatasi, senza ragionevole
spiegazione (se non quello della partecipazione alle rappresentanze sindacali), dopo
dodici anni (dalla data di assunzione) di sereno svolgimento del rapporto di lavoro e
non essendo stato esaurientemente spiegato dal consulente tecnico d’ufficio

la”ovvietà” della pre-esistenza del disturbo paranoideo di personalità che affligge il
Manghisi;

che questa Corte ha affermato che, per la configurabilità del

mobbing lavorativo

debbono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o
anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in
essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo,
direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di
altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute,
della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte
condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o
nella propria dignità; d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di
tutti i comportamenti lesivi (v. da ultimo Cass. nn. 2142/2017, 158/2016, 1258/2015,
17698/2014, 18836/2013);

che la ricostruzione della vicenda operata dal giudice di merito non è sussumibile nella
fattispecie astratta così definita e si fonda su un giudizio valutativo immune da vizi
1

collocati a notevole distanza uno dall’altro e in numero assai limitato);

n. 26270/2012 R.G.

logici e adeguato a sorreggere la decisione, dovendo osservarsi che il controllo di
logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360, primo comma, cod.proc.civ., n.
5, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha
condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata,
posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si
risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla

che non risulta contraddittorio l’iter logico seguito dalla sentenza impugnata ove ha
rilevato «le modalità e la inusitata frequenza con cui [il datore di lavoro] ha esercitato
il potere disciplinare», trattandosi della valutazione di (quattro) episodi concernenti
l’utilizzo del vestiario aziendale circoscritti tra giugno e ottobre 2005, distaccati come ha rilevato la Corte distrettuale – da un lasso di tempo apprezzabile sia da
precedenti episodi (due contestazioni disciplinari dell’ottobre 2003) che da quelli
successivi (contestazione disciplinare, non seguita da sanzione, del novembre 2006;
sanzione disciplinare del settembre 2007, successivamente dichiarata giudizialmente
illegittima) e, quindi, sforniti i hioc~carattere della sistematicità, della durata
ddl’azione e non collegati tra loro da un medesimo intento persecutorio (pag. 16
sentenza impugnata);

che i dedotti vizi di motivazione non corrispondono al modello enucleabile negli
esposti termini dal n. 5 del citato art. 360 cod.proc.civ., poichè, si sostanziano nel
.

rtG(tiro
,

ripercorrere criticamente il ragionamento decisorio svolto dal giudice del Yt1=Mg nel
valutare le stesse risultanze istruttorie da quest’ultimo esaminate; nel trarne
implicazioni e spunti per la ricostruzione della vicenda in senso difforme da quello
esposto nella sentenza impugnata; nel desumerne apprezzamenti circa la maggiore o
minore valenza probatoria di alcun elementi rispetto ad altri, incidendo sull’intrinseco
delle opzioni nelle quali propriamente si concreta il giudizio di merito, risultando per
ciò stesso estranee all’ambito meramente estrinseco entro il quale è circoscritto il
giudizio di legittimità (v. ex plurimis Cass. n. 6288 del 2011);

che, infine, con riguardo ai lamentati errori e alle lacune della consulenza tecnica
d’ufficio, sono suscettibili di esame in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del
vizio di motivazione della sentenza, quando siano riscontrabili carenze o deficienze
diagnostiche o affermazioni scientificamente errate e non già quando si prospettino
semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato
patologico e la valutazione della parte (Cass. nn. 3307/2012, 22707/2010, 569/2011),
2

funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità;

n. 26270/2012 R.G.

non essendo stata denunziata alcuna palese devianza dalle nozioni correnti della
scienza medica od omissione di accertamenti strumentali;
i-i;

che il ricorso va respinto gi (le spese di lite sono regolate secondo il criterio della
soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;

P.Q.M.

presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00
per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso nella camera di consiglio del 18 luglio 2017.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del

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