Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28097 del 09/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/12/2020, (ud. 10/11/2020, dep. 09/12/2020), n.28097

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1194-2018 proposto da:

M.L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GREGORIO VII 396, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO GIUFFRIDA,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIO GIULIO MONTELEONE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4804/23/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 26/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO

RAGONESI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Napoli, con sentenza n. 1334/15, sez. 19, accoglieva il ricorso proposto da M.L.G. avverso l’avviso di accertamento (OMISSIS) per catasto.

Avverso detta decisione l’Agenzia delle entrate proponeva appello innanzi alla CTR Campania che, con sentenza 4804/23/2017, accoglieva l’impugnazione.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il contribuente sulla base di due motivi illustrati con memoria.

L’Amministrazione ha resistito con controricorso.

La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce l’inammissibilità dell’appello per tardività.

Con il secondo motivo censura, sotto il profilo della violazione di legge e della omessa motivazione, la sentenza impugnata laddove ha ritenuto legittimo il nuovo classamento (A7) attribuito all’immobile di sua proprietà.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Dalla documentazione in atti, cui la Corte ha accesso trattandosi di una questione processuale, risulta che la sentenza di primo grado è stata depositata il 21.1.2015 e l’atto di appello è stato depositato presso l’Ufficio postale in data 21.7.15 come si evince dal timbro apposto da quest’ultimo ufficio sull’elenco degli atti di cui l’Amministrazione chiedeva la notifica che comprendeva anche l’appello nei confronti della sentenza di primo grado riguardante il M..

La giurisprudenza di questa Corte ha a più riprese chiarito che nel processo tributario, per la notificazione a mezzo posta dell’appello secondo le modalità fissate dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 20, comma 2, richiamato dal successivo art. 53, comma 2, la data di presentazione delle raccomandate consegnate all’ufficio postale, risultante dalla copia dell’elenco delle raccomandate consegnate per la spedizione alle poste italiane, che annovera il codice a barre identificativo e che reca il timbro postale, è certa e validamente attestata, risultando da atto equipollente a quelli pure contenenti lo stesso timbro, sia che questo sia stato apposto sul piego postale, sia che lo sia stato sulla busta della raccomandata, secondo una prassi adottata dagli uffici postali, di notoria conoscenza, e riconducibile ad una nozione costituzionalmente adeguata delle dette disposizioni, anche in rispondenza della nozione ristretta delle inammissibilità processuali, posta a cardine interpretativo del processo tributario dalla Corte costituzionale (sentenze n. 189 del 2000 e n. 520 del 2002). (Cass. 123/18; Cass. 24568/14).

Il secondo motivo è manifestamente infondato.

Va premesso che il nuovo classamento è stato attribuito all’immobile del ricorrente a seguito di procedura Docfa.

A tale proposito va richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza tra la rendita proposta e quella attribuita derivi da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni, mentre, nel caso in cui vi sia una diversa valutazione degli elementi di fatto, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente e sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso. (Cass. 31809/18; Cass. 12777/18).

Ciò posto si osserva, in primo luogo, che il ricorrente non ha dedotto che l’avviso di accertamento fosse basato su diversi elementi di fatto rispetto a quelli indicati nella proposta di Docfa.

In secondo luogo, la decisione del giudice di secondo grado appare adeguatamente motivata sulla base della documentazione fotografica prodotta dalle parti da cui ha desunto che nella fattispecie trattavasi di una abitazione in villino rientrante nella categoria A7 fornendo una descrizione delle sue caratteristiche e rilevando inoltre che il fatto che l’appartamento fosse mal tenuto non rilevava ai fini del suo classamento e che inoltre lo stesso era ubicato in una delle più prestigiose zone di (OMISSIS).

Tale motivazione non è oggetto di specifica censura da parte del ricorrente il quale non deduce in alcun modo quali siano stati gli elementi di fatto decisivi il cui esame sia stato omesso dalla sentenza, dovendosi a tale proposito rammentare che attualmente è possibile censurare in sede di legittimità una sentenza unicamente sotto il profilo della motivazione meramente apparente ovvero dell’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Il ricorso va dunque respinto.

Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro,1000,00 oltre spese prenotate a debito. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020

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