Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28096 del 24/11/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 28096 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

SENTENZA

sul ricorso 24501-2012 proposto da:
GROSSI PIERANTONIO C.F.
in ROMA, PIAllA CAVOUR,

GRUFNT56T23E648A, domiciliato
presso

la cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli
Avvocati MARIO ANTONIO PEZZI, MAURIZIO BORALI, giusta
delega in atti;
– ricorrente –

2017
3253

contro
TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. 00471850016, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA LEONE IV 99, presso lo

Data pubblicazione: 24/11/2017

studio dell’avvocato CARLO FERZI, rappresentata e
difesa dall’avvocato LUCIANO RACCHI, giusta delega in
atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 442/2012 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/07/2017 dal Consigliere Dott.
ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’inammissibilità e in subordine rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato RACCHI LUCIANO.

di MILANO, depositata il 15/05/2012 R.G.N. 1608/2009;

Fatti di causa

1. Con sentenza n. 442 /2012 la Corte d’appello di Milano, pronunziando
sull’impugnazione di Pierantonio Grossi, originario ricorrente, ha confermato la
decisione di primo grado che, in parziale accoglimento della domanda del
lavoratore, aveva accertato la dequalificazione dallo stesso subita in relazione

Italia s.p.a. alla reintegra del lavoratore in mansioni professionalmente
confacenti a quelle in precedenza svolte, escludendo il diritto al risarcimento
del danno .
1.1. In merito alla statuizione risarcitoria, l’unica investita da gravame, il
giudice di appello, rilevato che secondo il giudice di primo grado il lavoratore
non aveva, in concreto, provato il venir meno delle capacità professionali a
seguito della sottrazione di mansioni, premesso che con le conclusioni spiegate
nel ricorso introduttivo il Grossi aveva chiesto esclusivamente il risarcimento
del danno alla professionalità e, quindi, un danno di natura meramente
patrimoniale, ha osservato che sia in prime che in seconde cure tale richiesta
era stata fondata sulla durata del periodo di dequalificazione e sul pregiudizio
subito per il fatto di essere stato allontanato da un settore, quello dell’edilizia,
caratterizzato da un costante aggiornamento normativo e dall’uso di applicativi
informatici in continua evoluzione; in relazione a tale secondo profilo il Grossi,
tuttavia, aveva valorizzato, al fine della configurabilità del pregiudizio, l’attività
svolta fino al 1998, senza nulla argomentare per il periodo successivo – fino
all’ottobre 2002-, rispetto al quale il giudice di prime cure, con statuizione non
impugnata, aveva escluso la dequalificazione sul rilievo della equivalenza delle
nuove mansioni rispetto a quelle svolte in precedenza; il lavoratore aveva,
quindi, utilizzato quale parametro di confronto mansioni ormai remote nel
tempo le quali, certamente, non potevano, “quantomeno da sole considerate”,
rappresentare il solo criterio di valutazione al fine del decidere; da quanto
sopra scaturiva che l’unico profilo valutabile dal Collegio al fine della pretesa
risarcitoria era costituito dalla durata della dequalificazione, rapportata al
periodo decorrente dall’ottobre 2002, elemento questo, tuttavia, che in

al periodo decorrente dall’ottobre 2002 e condannato la resistente Telecom

assenza di ulteriori ed adeguate allegazioni, risultava inidoneo a sorreggere,
anche solo in via presuntiva, le deduzioni attoree; infine, le deduzioni in ordine
al danno non patrimoniale andavano disattese, sia perché non oggetto di
conformi conclusioni nella domanda di primo grado sia perché, pur volendo
ritenere, che il ricorrente avesse comunque inteso richiedere anche il ristoro di
tale pregiudizio, la relativa richiesta non era sorretta da adeguate allegazioni

periodo risalente e sulla durata della dequalificazione, per cui valevano le
considerazioni a riguardo sviluppate in ordine al danno professionale.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Pierantonio Grossi
sulla base di due motivi.
3. La parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
4. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione
dell’art. 2013 cod. civ., anche in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e
agli artt. 1226, 2728 e 2729 cod. civ.; si censura la decisione per avere, in
sintesi, negato, in sostanziale violazione dei principi affermati dal giudice di
legittimità, il diritto al risarcimento, avendo il giudice di seconde cure
riconosciuto che il ricorrente aveva allegato elementi rilevanti, seppure senza,
fornire la prova circa la “misura” di tale danno; tali elementi, costituiti dal
pregresso svolgimento di mansioni in continua evoluzione e dalla durata della
dequalificazione subita, erano idonei a giustificare il ricorso al ragionamento
presuntivo in merito alla sussistenza ed entità dell’allegato pregiudizio, in
conformità delle indicazioni del giudice di legittimità ( Cass. 4/4/2007 n. 8475,
21/6/2006 n. 14302)
2. Con il secondo motivo si deduce omessa motivazione circa un punto
decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti, osservandosi
che le caratteristiche delle mansioni svolte nel periodo dal 1998 al 2002
periodo in relazione al quale era stata esclusa la dequalificazione, non

risultando le stesse incentrate, anche in questo caso, sul riferimento ad un

potevano che considerarsi analoghe a quelle del periodo precedente ; pertanto,
nel momento in cui il lavoratore aveva dedotto che l’attività da lui svolta
necessitava “di continuo aggiornamento normativo” ciò stava a significare che
egli aveva allegato che le mansioni di sua pertinenza erano tali da subire un
inevitabile deterioramento anche in termini di obsolescenza delle competenze
acquisite, in caso di mancato esercizio protratto nel tempo; in ordine al

conteneva specifiche affermazioni, supportate da allegata relazione medica, in
ordine al pregiudizio psicofisico sofferto a causa della situazione lavorativa,
corredate da richiami alla giurisprudenza di legittimità. Si chiede, quindi, non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la determinazione in via
equitativa del risarcimento.
3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto ancorato
all’insussistente presupposto che il giudice di appello avrebbe riconosciuto la
sufficienza e rilevanza degli elementi allegati ed avrebbe respinto la domanda
risarcitoria solo per carenza di prova in ordine alla misura del pregiudizio
asseritamente subito dal lavoratore. Invero, a differenza di quanto assume
parte ricorrente, dalla complessiva lettura della sentenza impugnata si evince
che il giudice di appello, premessa la necessità di allegazione in concreto del
pregiudizio del quale era chiesto il ristoro, ha espressamente affermato la
inidoneità a riguardo degli elementi offerti da parte attrice, per essere le
allegazioni attoree riferite ad un periodo non immediatamente precedente a
quello nel quale si era realizzata la dequalificazione; le allegazioni relative alla
esigenza di continuo aggiornamento normativo e di evoluzione degli applicativi
informatici si riferivano infatti espressamente all’epoca nella quale il Grossi era
stato addetto al settore dell’edilizia di talchè non se ne potevano trarre
implicazioni in merito al preteso danno alla professionalità, per effetto della
dequalificazione subita nel periodo successivo a quello nel quale il Grossi era
stato adibito a mansioni amministrative, ritenute, con statuizione non investita
da gravame, equivalenti a quella in precedenza svolte. In tale contesto
argomentativo il riferimento, in motivazione, al “difetto di significativa
allegazione circa la misura del danno subito in un così significativo arco

pregiudizio alla situazione psicofisica si osserva che la domanda di primo grado

temporale senza dubbio impoverisce la tese dell’appellante che valorizza
mansioni ormai remote nel tempo e che certamente non possono (
quantomeno da sole considerate) rappresentare il solo metro di valutazione al
fine del decidere” costituisce argomentazione aggiuntiva destinata ad
avvalorare l’assunto della carenza di adeguate allegazioni relative al pregiudizio
sofferto, e non, come sembra presupporre parte ricorrente, a giustificare il

sofferto.
3.1. In questa prospettiva non è ravvisabile, con riferimento all’art. 2103
cod. civ., alcun errore di diritto del giudice di secondo grado, avendo questi
dato coerente applicazione al principio, consolidatosi a partire da Cass. Sezioni
U. 24/03/2006 n. 6572, secondo il quale il riconoscimento del danno
professionale richiede un adeguato compendio di allegazione da parte del
lavoratore; deve, inoltre, osservarsi che, se è vero, alla stregua della
giurisprudenza di questa Corte, che dalla complessiva valutazione di precisi
elementi dedotti si può, attraverso un prudente apprezzamento,
coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, in base agli
elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa
pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento,
all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto
(v. tra le altre, Cass. 19/9/2014, n. 19778, Cass. 10/4/2010, n. 8893), questo
non esclude, comunque, la necessità di specifica allegazione da parte del
lavoratore degli elementi di fatto sui quali fondare la valutazione presuntiva,
valendo il principio generale per cui il giudice – se può sopperire alla carenza di
prova attraverso il ricorso alle presunzioni ed anche alla esplicazione dei poteri
istruttori ufficiosi previsti dall’art. 421 cod. proc. civ, – non può, invece, mai
sopperire all’onere di allegazione che concerne sia l’oggetto della domanda, sia
le circostanze in fatto su cui questa trova supporto (v., tra le altre, Cass.
Sezioni U. 3/2/1998 n. 1099). Nel caso di specie il giudice di secondo grado ha
ritenuto che tale onere di allegazione non era stato assolto ed il relativo
accertamento si sottrae al sindacato di legittimità in quanto sorretto da
motivazione congrua ed adeguata (v., tra le altre, Cass. 09/09/2008 n.

rigetto della domanda sul rilievo della mancata precisazione del pregiudizio

22893). L’accertamento del giudice di merito, in particolare, non appare in
alcun modo inficiato dalle generiche deduzioni del ricorrente – prive, peraltro,
della riproduzione dei pertinenti brani della domanda introduttiva – destinate,
in tesi, a dimostrare, in particolare, la riferibilità – esclusa dal giudice d’appello
– anche al periodo decorrente dal marzo 1998, nel quale il Grossi non operava
più nell’ambito del settore edile, di quelle esigenze collegate al continuo

specificamente prospettate con riguardo alle mansioni espletate nel settore
edile.
4.11 secondo motivo è anch’esso da respingere.
4.1. In relazione al profilo con il quale si denunzia vizio di motivazione,
deducendosi che il giudice di appello avrebbe dovuto considerare che le
caratteristiche ravvisabili nelle mansioni svolte nel periodo 1998 /2002 non
potevano che considerarsi analoghe a quelle del periodo precedente per cui
valevano le medesime deduzioni a riguardo svolte in ordine alla necessità di
aggiornamento continuo e di obsolescenza delle conoscenze, si rileva la
inammissibilità della censura in quanto, al fine di contrastare la diversa
ricostruzione operata dal giudice di merito, parte ricorrente avrebbe dovuto
dedurre la errata interpretazione del contenuto della originaria domanda e,
prima ancora riprodurre, in maniera completa le parti di pertinenza al fine di
consentire la verifica ex actis al giudice di legittimità della fondatezza degli
assunti alla base delle doglianze articolate.
4.2. In ordine alle censure concernenti il mancato riconoscimento del
danno non patrimoniale si rileva che l’ accertamento del giudice di merito,
secondo il quale le allegazioni attoree, analogamente a quanto avvenuto per il
danno professionale si riferivano ad un periodo risalente nel tempo e
risultavano sostanzialmente intese a valorizzare esclusivamente la durata della
dequalificazione, senza ulteriori elementi, non risulta contrastato è frutto di un
ragionamento privo di incongruità e illogicità che in quanto tale si sottrae al
controllo del giudice di legittimità .

5. A tanto consegue il rigetto del ricorso.

aggiornamento normativo ed all’evoluzione degli applicativi informatici,

6. Le spese sono regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle
spese di lite che liquida in C 3.500,00 per compensi professionali, C 200,00 per
esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Roma 13 luglio 2017

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