Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2809 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/02/2020, (ud. 08/11/2019, dep. 06/02/2020), n.2809

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Maria Teresa Liana – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19884-2013 proposto da:

EDIL EURO D.S. & C. SNC in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA SONIA VULCANO

giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TORINO, in persona dei Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIALE BRUNO BUOZZI 87, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO COLARIZI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIAMBATTISTA

RIZZA giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21/2013 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 05/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2019 dal Consigliere Dott. MAURA CAPRIOLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato COLARIZI che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

Con sentenza nr 21/2013 la CTR di Torino rigettava l’appello proposto da Edil Euro s.n.c. di S.D. avverso la sentenza della CTP nr 118/2011 con cui era stata respinta l’impugnativa relativa all’avviso di accertamento ICI per gli anni 2006/2007.

Il Giudice di appello rilevava la correttezza dell’operato del Comune in ordine alle contestazioni sollevate (mancata allegazione delle perizie e della Delib. del 2007, apposizione di una firma a stampa in luogo dell’autografia, omessa dimostrazione del titolo di studio del sottoscrittore dell’atto e della relativa qualifica, omessa avvertenza nell’atto impugnato dell’Autorità presso la quale tutelare la propria posizione giuridica, applicazione della sanzione in misura superiore al 30%) che erano analizzate partitamente.

Avverso tale sentenza la società Edil Euro s.n.c. di S.D. propone ricorso per cassazione affidato ad X motivi cui resiste con controricorso il Comune di Torino il quale ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, denuncia ai sensi del D.L. n. 546 del 1992, art. 62, e dell’art. 260 c.p.c., nn. 3 e 5.

Critica in articolare il valore di stima preso a riferimento nell’atto impugnato che non terrebbe conto dei vincoli su cui è gravata l’area e dei valori risultanti dall’atto di acquisto e con i dati forniti da una consulenza di parte.

Con il secondo motivo la contribuente si duole della violazione e falsa applicazione della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 162, mancata applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, secondo periodo, denuncia ai sensi del D.L. n. 546 del 1992, art. 62, e dell’art. 260 c.p.c., nn 3 e 5.

Lamenta, in particolare, la mancata allegazione all’atto impositivo delle perizie e comune della Delib. relativa all’anno 2007.

Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione e mancata applicazione della L. n. 549 del 1985, art. 1, comma 87, primo e secondo periodo, violazione e falsa applicazione della L. n. 421 del 1992, art. 2, lett MM, denuncia ai sensi del D.L. n. 546 del 1992, art. 62, e dell’art. 260 c.p.c., nn. 3 e 5.

Contesta, infatti, la mancata sottoscrizione autografa del Dirigente il cui nominativo compare in calce nell’atto impugnato.

Con il quarto motivo la contribuente lamenta la violazione e mancata applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 181, violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, denuncia ai sensi del D.L. n. 546 del 1992, art. 62, e dell’art. 260 c.p.c., nn 3 e 5.

Censura la legittimità dell’atto impositivo in quanto sottoscritto dal Dirigente del settore senza che fosse stato dimostrato la presenza di un titolo di studio di scuola media superiore.

Con il quinto motivo la società lamenta la violazione e falsa applicazione D.L. n. 267 del 2000, art. 50,commi 2 e 3, art. 107, commi 2 e 3, della L. n. 296, del 2006, art. 1, comma 173, denuncia ai sensi del D.L. n. 546 del 1992, art. 62, e dell’art. 260 c.p.c., nn. 3 e 5.

La ricorrente si duole della mancata dimostrazione da parte del Comune della qualifica dirigenziale in capo al firmatario dell’atto.

Con il sesto motivo deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, lett. C, del D.P.R. n. 1199 del 1971, art. 1, denuncia ai sensi del D.L. n. 546 del 1992, art. 62, e dell’art. 260 c.p.c., nn. 3 e 5.

Censura la mancata avvertenza nell’avviso impugnato dell’Autorità amministrativa presso la quale tutelare le proprie ragioni.

Con il settimo motivo lamenta la violazione e mancata applicazione del D.L. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2 bis; violazione e falsa applicazione del D.L. n. 472 del 1997, art. 7, comma 1, art. 16, comma 2, denuncia ai sensi del D.L. n. 546 del 1992, art. 62, e dell’art. 260 c.p.c., nn. 3 e 5.

Critica l’applicazione della sanzione in misura superiore al 30%.

Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.L. n. 472 del 1997, art. 12, commi 1, 2 e 3, denuncia ai sensi del D.L. n. 546 del 1992, art. 62, e dell’art. 260 c.p.c., nn. 3 e 5.

Sostiene, in particolare, che le sanzioni avrebbero dovuto essere calcolate nella forma del cumulo giuridico in luogo del cumulo materiale.

Con il nono deduce la violazione e mancata applicazione del D.L. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. G, del D.L. n. 267 del 2000, art. 48, comma 2, denuncia ai sensi del D.L. n. 546 del 1992, art. 62, e dell’art. 260 c.p.c., nn. 3 e 5.

Contesta la legittimità dell’avviso impugnato in quanto adottato da un organo incompetente (la Giunta in luogo del Consiglio).

Con il decimo motivo denuncia la violazione del D.lgs. n. 504 del 1992, art. 6, comma 2, denuncia ai sensi del D.L. n. 546 del 1992, art. 62, e dell’art. 260 c.p.c., nn. 3 e 5.

Censura, in particolare, la Delib. del 2006, di individuazione dei valori delle aeree fabbricabili per mancata istruttoria.

Il primo motivo è infondato.

Il ricorrente non coglie l’effettiva ratio decidendi.

La Ctr in relazione a tale aspetto, condividendo il ragionamento seguito dalla CTP, ha affrontato in maniera completa le contestazioni relative alla motivazione dell’accertamento in ordine al valore del bene spiegando che il prezzo indicato in un atto di vendita non può ai fini in questione ergersi a parametro di riferimento essendo lo stesso influenzato da vari fattori sottolineando che in assenza di terreni che presentano caratteristiche similari il valore non può che essere ancorato ai criteri normativi fissati nel Decreto n. 504 del 1992, art. 5.

Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, che, nel dettare i criteri per la determinazione della base imponibile ICI, con riferimento alle aree fabbricabili, come nel caso di specie, stabilisce che: “Per le aree fabbricabili, il valore è costituito da quello venale in comune commercio al primo gennaio dell’anno di imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche”.

Detti criteri, devono considerarsi tassativi, pertanto il giudice del merito, investito della questione del valore attribuito ad un’area fabbricabile, non può esimersi dal verificarne la corrispondenza, tenuto conto dell’anno di imposizione, ai predetti parametri, con una valutazione incensurabile in sede di legittimità, qualora congruamente motivata (Cass. n. 13567 del 2017; Cass. n. 14385 del 2010).

La CTR, con la sentenza impugnata, esprimendosi nei termini sopra riportati ha fatto buon governo dei principi normativi.

Infatti, una volta verificata la corretta applicazione dei criteri di legge nelle perizie redatte dalla Divisione Patrimonio, non era necessario prendere posizione sui diversi valori contenuti nella consulenza di parte.

Relativamente al secondo motivo va osservato che la CTR con una valutazione che si sottrae al sindacato di legittimità ha affermato che tali atti (perizia e Delib. del 2007), risultavano allegati all’atto impositivo, come del resto attestato anche dalla lettura del provvedimento impugnato, sottolineando comunque la mancanza di un obbligo in tal senso trattandosi di atto a contenuto generale e ciò in conformità a quanto già affermato da questa Corte.

E’ stato infatti rilevato che in tema di ICI, l’obbligo di allegazione all’atto impositivo, o di riproduzione al suo interno, di ogni altro atto dal primo richiamato, previsto della L. n. 212 del 2000, art. 7, (cd. Statuto del contribuente), avendo la funzione di rendere, comprensibili le ragioni della decisione, riguarda i soli atti necessari per sostenere quelle ragioni intese in senso ampio e, quindi, non limitate a quelle puramente giuridiche ma comprensive anche dei presupposti di fatto. Ne deriva che sono esclusi dall’obbligo dell’allegazione gli atti irrilevanti a tal fine e gli atti (in specie, quelli a contenuto normativo, anche secondario quali le delibere o i regolamenti comunali) giuridicamente noti per effetto ed in conseguenza dell’avvenuto espletamento delle formalità di legge relative alla loro pubblicazione.

In questo senso è stato affermato che la stima dei valori quanto alla determinazione della base imponibile per le aree di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, sia assolutamente equiparabile alle delibere comunali in materia, che quali atti amministrativi a contenuto generale, non sono soggette all’obbligo di allegazione ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 1, al fine di assicurare il soddisfacimento del requisito motivazionale dell’atto (tra le molte, quanto alle delibere comunali, cfr. Cass. 22254/2016, Cass. sez. 5 13 giugno 2012, n. 9601; Cass. sez. 5, ord. 25 luglio 2012, n. 13105; Cass. sez. 5, nn. 1295, 1296, 1297 e 1298 del 26 gennaio 2015; Cass. sez. 6-5, ord. 18 luglio 2016, n. 14676).

Nello specifico, non può pertanto considerarsi che rientri tra gli atti esterni, da allegare ad un avviso in materia di ICI, la delibera della Giunta comunale determinativa dei valori degli immobili in base a quelli di mercato delle aree edificabili (Cfr. Cass., Sez. 5, n. 13105 del 25 luglio 2012; Cass. 2019 nr 12756). Va peraltro osservato che la presa di posizione da parte della contribuente circa i valori contenuti nelle perizie e la redazione di una diversa valutazione ad opera di un proprio perito dimostrano la piena conoscenza del loro contenuto da parte della società.

Relativamente ai motivi terzo, quarto e quinto che investono prospettate irregolarità correlate alla figura del funzionario sottoscrittore dell’atto va ricordato che in tema di tributi regionali e locali, qualora l’atto di liquidazione o di accertamento sia prodotto mediante sistemi informativi automatizzati, la sottoscrizione di esso può essere legittimamente sostituita, ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87, dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, individuato da apposita determina dirigenziale (Cass., Sez. 6-5, n. 20628 del 31 agosto 2017; Cass. 2019 nr 12756).

In particolare, la L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87, stabilisce che “la firma autografa prevista dalle norme che disciplinano i tributi regionali e locali sugli atti di liquidazione e accertamento è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, nel caso in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informatici automatizzati”.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito (Cass., Sez. 6-5, n. 20628 del 31 agosto 2017, in motivazione, non massimata sul punto; Cass. sez. 5, n. 9079 del 6 maggio 2015, non massimata) che il citato art. 1, comma 87, è norma speciale non abrogata e che conserva, pertanto, la sua efficacia.

Con riguardo poi al preteso obbligo di allegare all’avviso di accertamento il provvedimento di livello dirigenziale con cui è stato nominato il funzionario responsabile per l’emanazione dell’atto impugnato occorre rilevare che la menzionata L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87, stabilisce che il nominativo del funzionario responsabile per l’emanazione degli atti in questione nonchè la fonte dei dati deve essere indicata in un apposito provvedimento dirigenziale

La norma non prevede alcun obbligo nel senso voluto dalla ricorrente.

L’atto impugnato reca il nominativo di T.D., designato funzionario responsabile dell’imposta comunale sugli immobili con Delib. della Giunta 18 marzo 2003, allegata agli atti di causa.

Va altresì osservato (quarto motivo) che i requisiti richiesti dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 187, si riferiscono al potere degli enti locali di nominare degli accertatori cui conferire determinati poteri (contestazione immediata, redazione e sottoscrizione del verbale) e non a quelli che devono possedere i Dirigenti responsabile dell’imposta comunale sugli immobili nominati ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, come correttamente rilevato dalla CTR.

In ordine al quinto profilo di censura va rilevata l’infondatezza anche in relazione al secondo aspetto del motivo con il quale si deduce la mancata dimostrazione da parte della amministrazione del possesso della qualifica dirigenziale in capo al soggetto cui è ricondotta la paternità dell’atto.

Osserva la Corte che, avuto riguardo alla specificità del giudizio tributario, riconducibile allo schema del processo di tipo impugnatorio esteso anche al merito del rapporto (essendo veicolata la pretesa della Amministrazione finanziaria dall’atto tributario emesso nell’esercizio della potestà impositiva), nonchè alla posizione processuale che le parti vengono ad assumere rispetto al rapporto obbligatorio dedotto in giudizio (rivestendo la Amministrazione finanziaria la posizione di attore in senso sostanziale) sul piano dell”onus probandi” grava sulla PA la dimostrazione dei fatti costitutivi della pretesa, mentre grava sul contribuente la prova della inefficacia dei fatti indicati dalla parte attrice, ovvero la prova dei fatti modificativi od estintivi della obbligazione tributaria, tra i quali debbono certamente ricomprendersi le eccezioni di invalidità od inefficacia, per vizi formali o sostanziali, dell’atto impositivo impugnato.

Principio questo cui si è attenuta la CTR la quale ha sottolineato che in merito al preteso vizio formale non era stata fornita dalla contribuente alcuna prova senza considerare che il Comune aveva comunque dato, attraverso la produzione della Delib. n. 01719 del 2013, la dimostrazione dell’inquadramento del T. nei ruoli del Comune con la qualifica di dirigente.

Sulla mancata indicazione nell’avviso dell’avvertenza circa l’autorità giudiziaria cui tutelare le ragioni del contribuente (sesto motivo) la circostanza è smentita dalla mera lettura dell’avviso come riprodotto nel controricorso del Comune.

Con riferimento alle contestazioni relative all’apparato sanzionatorio (motivo settimo) va osservato che il giudice di appello, con accertamento in fatto, condotto in base all’esame del provvedimento irrogativo, ha ritenuto la correttezza dell’importo irrogato in linea con le contestazioni sollevate giacchè per l’anno 2006 è stata applicata la sanzione dell’omessa denuncia e per l’anno 2007 quella riguardante l’omesso versamento.

Con riguardo poi all’omessa motivazione nel provvedimento impugnato e all’omessa enunciazione dei criteri posti a base della misura afflittiva va osservato che il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 17, contenente le disposizioni generali in materia di sanzioni tributarie, prevede che” in deroga alle previsioni dell’art. 16, le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono sono irrogate, senza previa contestazione e con l’osservanza, in quanto compatibili, delle disposizioni che regolano il procedimento di accertamento del tributo medesimo, con atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, motivato a pena di nullità”. Il collegamento fra il provvedimento impositivo e la sanzione irrogata consentono di far ricorso ad una procedura più snella di quella prevista dall’art. 16, per quel che attiene alla motivazione della sanzione che ben può coincidere con quella dell’avviso.

Con l’ottavo motivo la società ricorrente invoca l’applicazione del cumulo giuridico in luogo di quello materiale correttamente esclusa dalla CTR.

In questo senso giova ricordare che il D.L. n. 472 del 1997, art. 12, comma 1, punisce con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, colui che, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi ovvero commette, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione. Il comma successiva stabilisce che “. Alla stessa sanzione soggiace chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo.

In relazione a tale ultima previsione questa Corte ha affermato il principio per cui le violazioni tributarie che si esauriscono nel tardivo od omesso versamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione fiscale non sono soggette all’istituto della continuazione disciplinato dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 2, perchè questo concerne le violazioni potenzialmente incidenti sulla determinazione dell’imponibile o sulla liquidazione del tributo, mentre il ritardo o l’omissione del pagamento è una violazione che attiene all’imposta già liquidata, per la quale il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, dispone un trattamento sanzionatorio proporzionale ed autonomo per ciascun mancato pagamento (senso Cass. 2019 nr 8148; Sez. 5, Sentenza n. 1540 del 20/01/2017, Rv. 642457; in termini vedi anche Sez. 5, Sentenza n. 5897 del 08/03/2013, Rv. 625953).

Ora applicando tali principi al caso in esame si deve escludere che gli illeciti contestati possano essere ricondotti nella situazione di cui al menzionato art. 12, comma 2, e ciò in quanto la sanzione inflitta con riferimento all’anno 2006 era legata all’omessa denuncia mentre quella irrogata per l’anno 2007 è riferita all’omesso versamento ed quindi attiene alla fase successiva alla liquidazione del tributo per la quale non può operare l’istituto del cumulo giuridico come affermato dalla CTR.

Con riguardo al nono motivo e alla prospettata disapplicazione dell’atto impugnato per preteso vizio delle deliberazioni relative alla determinazione del valore correlata all’incompetenza dell’organo che le ha adottate la censura è inammissibile.

Correttamente la CTR ha evidenziato che l’avviso di accertamento ha preso in considerazione il valore individuato dalle perizie redatte sul bene in questione dal Settore Valutazioni e non già i valori medi individuati sulla base del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59.

Va peraltro osservato che in base al Decreto n. 267 del 2000, art. 42, comma 2, vigenti ratione temporis la competenza del Consiglio Comunale è limitata ad alcuni atti fondamentali indicati dalla norma quali per gli aspetti che qui rilevano l’istituzione e ordinamento dei tributi con esclusione delle relative aliquote con esclusione della determinazione delle aliquote che costituisce attività di dettaglio che spetta proprio alla Giunta.

Questa Corte ha già chiarito con sentenza n. 16702 del 27 luglio 2007 (conformi Cass. n. 9216 del 2007, n. 24504 del 2009; n. 15555 del 2010; n. 1661 del 2013; n. 5068 del 2015; n. 15312 del 2018) che “In tema di imposta comunale sugli immobili (I.C.I.), poichè il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g), riconosce al consiglio comunale la facoltà di “determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della limitazione del potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato”, i regolamenti comunali adottati in proposito, ai sensi del medesimo D.Lgs., art. 52, pur non avendo natura imperativa, sono assimilabili agli studi di settore, nel senso che si tratta di fonti di presunzioni dedotte da dati di comune esperienza idonei a costituire supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, ed utilizzabili, quali indici di valutazione, anche retroattivamente, analogamente al c.d. redditometro. Di tale potere può fare uso la Giunta comunale, cui la competenza in materia di I.C.I., già del Consiglio comunale, è stata riassegnata dal D.Lgs. n. 267 del 2000″.

Sul punto è stato ulteriormente precisato che in difetto di esercizio del potere regolamentare erga omnes da parte del Consiglio comunale, e quindi di adozione di un atto idoneo a rivestire la forza ed il valore di fonte normativa secondaria, non può ritenersi preclusa per ciò stesso all’ente locale, attraverso l’organo di governo, lo svolgimento di una attività ricognitiva a fini statistici (trattandosi di attività strumentale all’esercizio delle funzioni di programmazione ed amministrative) dei valori commerciali degli immobili situati nel territorio comunale individuati secondo criteri omogenei per “zone territoriali”, per “caratteristiche tipologiche uniformi”, per “destinazione urbanistica” desunti da ricerche di settore ovvero dai dati rilevati dalle CCIAA o dalle stime del “(OMISSIS)”, rientrando anche tale attività di rilevazione statistica nelle competenze istituzionali del Comune – ente autonomo politico a fini generali -, e non essendo individuabile in tale materia, certamente non riconducibile alla materia concernente la “istituzione e l’ordinamento dei tributi una riserva di legge a favore dell’organo consiliare (cfr. Cass. n. 13105 del 2012; Cassazione civile, sez. trib., 30/10/2018, n. 27572).

Nel solco di tale indirizzo è stato altresì rilevato che le delibere con le quali la giunta municipale provvede ai sensi della L. n. 446 del 1997, art. 52, ad indicare i valori di riferimento delle aree fabbricabili costituiscono esercizio del potere riconosciuto al Consiglio Comunale dalla L. n. 446 del 1997, art. 59, lett. G., e riassegnato alla Giunta dal D.Lgs n. 267 del 2000, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della delimitazione del potere di accertamento del Comune qualora la imposta sia versata in misura non inferiore a quella predeterminata (Cass. 2019 n. 17248).

Relativamente all’ultimo profilo di censura (decimo) e alla dedotta mancata conoscenza dei dati relativi alle ricerche presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari, osservazioni campionarie, valori unitari degli edifici di nuova costruzione, operazioni di media, si tratta di documentazione per la quale, come correttamente rilevato dalla CTR, non sussiste alcun obbligo di allegazione all’avviso.

In ogni caso va osservato che la valutazione dell’area è avvenuta sulla base di perizie predisposte dal Settore Valutazioni della Divisione Patrimonio del Comune di Torino. (Cass. n. 15312/2018).

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta ricorso; condanna la ricorrente a rifondere al Comune controricorrente le spese di lite che si liquidano in complessive Euro 600,00 oltre accessori di legge ed al 15% per spese generali; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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