Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2809 del 06/02/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 2809 Anno 2018
Presidente: AMBROSIO ANNAMARIA
Relatore: FICHERA GIUSEPPE

Data pubblicazione: 06/02/2018

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27113/2012 R.G. proposto da
Stefano D’Ercole (C.F. DRCSFN47A15E506G), rappresentato e
difeso dagli avv.ti Romano Vaccarella, Leonardo Di Brina e Massimo
Garutti, elettivamente clorniciiiato presso lo studio del primo in
Roma, corS0 Vittorio Emanuele II 269.

– ricorrente contro
Federazione Italiana dei Consorzi Agrari soc.coop.ar .I., in
liquidazione e in concordato preventivo (C.F. 004318660584), in
persona del commissario liquidatore pro tempore, rappresentata e
difesa dall’avv. Paolo Troncassini, elettivamente domiciliata presso
il suo studio in Roma, viale delle Milizie 106.
– controricorrente e contro
Liquidazione giudiziale della Federazione Italiana dei Consorzi
Agrari soc.coop.ar .I., in liquidazione e in concordato preventivo
(C.F. 004318660584), in persona del liquidatore giudiziale
tempore,

pro

rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Cabras,
(

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, viale Regina
Margherita 278.

controricorrente

avverso
la sentenza n. 2036/2012 della Corte d’appello di Roma, depositata
il 17 aprile 2012.
Lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Luigi

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 ottobre
2017 dal Consigliere Giuseppe Fichera.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Roma il 5 ottobre 1992 omologò il concordato
preventivo della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari
soc.coop.ar .I., in liquidazione (di seguito breviter Federconsorzi),
nominando quale liquidatore giudiziale la medesima società e senza
diritto a compenso; in seguito, il Ministero dell’Agricoltura e delle
Foreste nominò Stefano D’Ercole commissario governativo della
Federconsorzi.
Sottoscritta

la

vendita

in

blocco

delle

attività

della

Federconsorzi, Stefano D’Ercole convenne quindi in giudizio davanti
al Tribunale di Roma la liquidazione giudiziale della Federconsorzi e
la Federconsorzi in concordato preventivo, per sentirle condannare,
la seconda in subordine alla prima, al pagamento del compenso per
l’opera prestata quale liquidatore giudiziale.
Rigettata la domanda in primo grado, l’attore propose gravame
limitando tuttavia la domanda di condanna soltanto nei confronti
della liquidazione della Federconsorzi.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 17 aprile
2012, respinse l’appello condannando l’istante al pagamento delle
spese processuali sostenute da entrambe le appellate, assumendo
che la nomina della medesima società Federconsorzi quale
liquidatore giudiziale senza diritto ad alcun compenso, pure in

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Salvato, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

ipotesi illegittima, non risultava essere stata impugnata nei termini
di rito, né poteva condurre ad una automatica sostituzione
nell’incarico con il suo commissario.
Soggiunse il giudice di merito che non vi era neppure prova di
ulteriori attività del liquidatore, oltre alla sottoscrizione dell’atto di
cessione delle attività, restando assorbita ogni altra doglianza in
ordine all’entità del compenso spettante.

detta sentenza, affidato a cinque mezzi, cui resistono con
controricorso la Federconsorzi in concordato preventivo e la
liquidazione giudiziale della Federconsorzi.
Il

ricorrente

e

la

controricorrente

liquidazione

della

Federconsorzi hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo Stefano D’Ercole deduce violazione
dell’art. 180 I.fall., dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., nonché
vizio di motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., poiché
la corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto coperta da
giudicato la nomina di una società quale liquidatore giudiziale nel
concordato preventivo con cessione dei beni, traendo peraltro
conferma della possibilità di tale nomina dalla disciplina introdotta
nella legge fallimentare solo successivamente alla detta nomina.
Con il secondo motivo assume violazione di legge e vizio di
motivazione, ex art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., avendo il
giudice di merito omesso di considerare che il provvedimento di
nomina del liquidatore giudiziale senza diritto al compenso,
adottato dalla sentenza di omologa del concordato preventivo, era
stato successivamente revocato dal medesimo tribunale, con una
ordinanza che presupponeva l’onerosità dell’incarico.
Con il terzo motivo assume violazione di legge e vizio di
motivazione, ex art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., considerato
che la corte d’appello ha ritenuto non provata l’attività di

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Stefano D’Ercole ha proposto ricorso per cassazione avverso la

liquidatore espletata dal ricorrente, nonostante la documentazione
prodotta e le prove orali articolate in primo grado.
Con il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 2233 c.c.,
nonché vizio di motivazione, ex art. 360, primo comma, n. 5),
c.p.c., poiché il giudice di merito ha omesso di pronunciare sulla
sua richiesta di liquidazione del giusto compenso maturato alla
stregua di un funzionario di fatto.

c.c., dell’art. 9 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con
modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nonché vizio di
motivazione, ex art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., avendo la
corte d’appello condannato l’appellante al pagamento delle spese
processuali nei confronti anche della Federconsorzi in concordato
preventivo, verso la quale non erano state proposte domande in
grado di appello, applicando altresì le ormai abrogate tariffe
professionali.
2. Il primo motivo è inammissibile, non cogliendo il ricorrente in
maniera esatta la ratio decidendi della pronuncia impugnata.
Dalla lettura della sentenza d’appello si evince chiaramente che
il giudice di merito non ha inteso opporre la formazione di un
giudicato sulla nomina di una società quale liquidatore giudiziale,
avendo assai più semplicemente osservato che la detta nomina,
essendo contenuta in un provvedimento non impugnato dagli
interessati, anche se in thesi viziata, non poteva ormai certo
determinare una sostituzione “automatica”, nella veste di
liquidatore, della società nominata con il suo commissario
governativo.
Così esattamente inquadrate le ragioni del deciso esposte dalla
Corte d’appello, per un verso, inammissibili si mostrano le censure
ancorate alla denunciata violazione della disciplina sul giudicato e,
per altro verso, irrilevanti appaiono tutte quelle doglianze riferite
alla sopravvenuta disciplina fallimentare, che – a seguito della

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Con il quinto motivo deduce violazione degli artt. 2225 e 2233

riforma dell’art. 28, comma primo, lett. b), I.fall. introdotta dal
d.lgs. n. 5 del 2006 – ammette oggi la nomina di una società tra
professionisti quale curatore, come pure ogni approfondimento
sulla posizione di pubblico ufficiale del liquidatore giudiziale
(peraltro esclusa dalle sezioni penali di questa Corte: Cass. pen.
16/01/2015, n. 15951; Cass. pen. s.u. 30/09/2010, n. 43428).
3. Il secondo motivo resta inammissibile per sopravvenuta

teso a censurare quanto statuito della corte d’appello sulla nomina
della società – e non del suo legale rappresentante -, quale
liquidatore nel concordato preventivo.
4. Il terzo motivo è inammissibile.
Invero, il ricorrente ancora una volta non censura esattamente
la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha giudicato privo
della necessaria specificità, ex art. 342 c.p.c., il motivo con il quale
il D’Ercole lamentava la mancata ammissione dei mezzi di prova
articolati innanzi al tribunale; dunque, avverso siffatta chiara
statuizione il ricorrente avrebbe dovuto muovere le sue doglianze,
non limitandosi a riaffermare senz’altro l’ammissibilità e rilevanza
di quei mezzi istruttori già formulati nella memoria ex art. 184
c.p.c. e di cui ha riprodotto il contenuto in ricorso.
5. Il quarto motivo è parimenti inammissibile.
Secondo il granitico orientamento di questa Corte, il ricorso per
cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e
tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, c.p.c., deve
essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera
immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di
impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la
necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione
numerica di una delle predette ipotesi.
Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa
pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle

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carenza di interesse, avuto riguardo al rigetto del primo motivo

domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia
esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4
del primo comma dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112
c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della
decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece,
dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la
motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare

16/03/2017, n. 6835; Cass. 27/10/2014, n. 22759; Cass.
31/10/2013, n. 24553).
Orbene, nella vicenda all’esame, nonostante il ricorrente abbia
chiaramente dedotto di avere articolato nel corso del giudizio di
appello un motivo incentrato sul suo diritto a percepire il compenso
quale funzionario di fatto, a fronte del silenzio serbato dalla corte
d’appello sul tema, il medesimo istante nel ricorso che ci occupa
non ha eccepito la nullità della decisione impugnata ex art. 360, n.
4), c.p.c., né ha lamentato alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c.,
limitandosi in maniera inammissibile a dedurre un vizio di
motivazione della ridetta decisione.
Né è consentito – come invece mostra di ritenere il ricorrente integrare il motivo inammissibile, invocando espressamente una
violazione dell’art. 112 c.p.c. in seno alla memoria ex art. 380-bisl
c.p.c., dovendosi ribadire che detto scritto difensivo – come la
memoria ex art. 378 c.p.c. – ha la sola funzione di illustrare i
motivi del ricorso, e non è pertanto idonea a far venire meno una
causa di inammissibilità dei motivi stessi, sostituendosi

quoad

effectum ad essi (Cass. 07/04/2005, n. 7260).
6. Il quinto motivo è infondato.
Secondo l’orientamento di questa Corte, cui si intende dare
continuità, se l’impugnazione nel merito deve essere notificata, in
qualità di litisconsorte processuale, ad uno dei convenuti in primo
grado, nei cui confronti nessuna delle altre parti in secondo grado

.

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sulla violazione di legge (Cass. s.u. 24/07/2013, n. 17931; Cass.

abbia formulato domande, a costui debbono essere rimborsate le
spese processuali da colui la cui pretesa è dichiarata ingiustificata
(Cass. 14/04/2016, n. 7401).
Dunque, correttamente la corte d’appello, respingendo il
gravame proposto da D’Ercole, lo ha condannato al pagamento
delle spese processuali sostenute anche dalla Federconsorzi in
concordato preventivo, nonostante nel secondo grado non fossero

Quanto alla lamentata applicazione delle tariffe forensi previste
dall’abrogato d.m. 127 del 2004, è sufficiente osservare che al
momento del deposito della decisione impugnata (17 aprile 2012)
non era ancora stata emanato il d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e,
dunque, in forza della disciplina transitoria prevista dall’art. 9,
comma 3, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni
dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, dovevano trovare applicazione
ancora le ridette tariffe professionali.
7. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione in favore delle controricorrenti
delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 8.000,00 per
la Federazione Italiana dei Consorzi Agrari soc.coop.ar .I., in
liquidazione e in concordato preventivo, e in Euro 10.000,00 per la
liquidazione giudiziale della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari
soc.coop.ar .I., in liquidazione e in concordato preventivo, oltre alle
spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati
in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2017.

state spiegate domande nei suoi confronti.

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