Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28075 del 24/11/2017


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 28075 Anno 2017
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28244/2014 R.G. proposto da
Palozzi Leucio, rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Massari con
domicilio eletto in Roma, via Ugo De Carolis, n. 100, presso lo studio
Favetti;
– ricorrente contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi,
n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,
n. 6865/02/2014, depositata ilr23 settembre 201LD

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Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 settembre
2017 dal Consigliere Emilio Iannello.
Rilevato che Leucio Palozzi ricorre con due mezzi nei confronti

Data pubblicazione: 24/11/2017

dell’Agenzia delle entrate (che resiste con controricorso) avverso la
sentenza in epigrafe con la quale la Commissione tributaria
regionale del Lazio — pronunciando in controversia relativa
all’impugnazione del diniego di rimborso parziale delle ritenute Irpef
operate sulle somme corrisposte in suo favore dal Ministero degli

di risarcimento del danno conseguente alla perdita patrimoniale
subita dal 1997 al 2001 per la mancata percezione dell’assegno
personale di sede all’estero — ha rigettato l’appello del contribuente,
ritenendo legittima l’operata tassazione;
che a fondamento della decisione la C.T.R. — esclusa la
sussistenza di vincolo di giudicato derivante dalla sentenza n.
512/16/11 del 1 dicembre 2011 con cui la C.T.P. di Roma, in parziale
accoglimento del ricorso proposto dallo stesso contribuente avverso la
cartella di pagamento (con la quale, determinata in C 28.989,30 la
complessiva imposta dovuta, detratto l’importo già trattenuto,
l’Ufficio aveva ingiunto il pagamento del residuo saldo di C 4.556,20),
ha dichiarato tassabile «il solo assegno mensile di base nella misura
del 50% del suo importo» — ha posto l’affermazione, già contenuta
nella sentenza di primo grado, secondo cui, ai sensi dell’art. 6,
comma 2, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, «le indennità conseguite
… a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi,
esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte,
costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o
perduti» e, pertanto, ove le somme percepite dal contribuente trovino
causa nella funzione di riparare la perdita di un reddito, devesi
affermare la tassazione della relativa indennità;
che il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1
cod. proc. civ.;
considerato che, con il primo motivo di ricorso il contribuente

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affari esteri, in esecuzione di sentenza del giudice del lavoro, a titolo

denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 2, e 51,
comma 8, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in relazione all’art. 360,
comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di
considerare che, nel caso di specie, il pagamento al quale era
commisurato il risarcimento conseguito aveva natura reddituale solo

reddituale per la residua parte (assegno previsto per il lavoro in sede
estera ai sensi dell’art. 51, comma 8, t.u.i.r.), apoditticamente
affermando la natura reddituale in toto del risarcimento in questione;
segnala che l’Ufficio, in sede di ottemperanza, ha determinato la
somma richiesta in restituzione in C 22.428,99 (pur non avendo avuto
tale determinazione alcun seguito in quel giudizio, conclusosi con il
rigetto dell’istanza del contribuente motivato dal rilievo, fatto proprio
anche dalla C.T.R. nella sentenza in questa sede impugnata, che
l’invocato giudicato si è limitato ad imporre all’amministrazione
finanziaria di rideterminare le imposte dovute sulla minore base
imponibile ma nulla ha disposto circa il rimborso);
che con il secondo motivo il ricorrente deduce altresì la violazione
dell’art. 2909 cod. civ., per non essersi la C.T.R. conformata al
giudicato formatosi sulla menzionata sentenza della C.T.P. di Roma n.
512/16/11 che, come detto, pronunciando alla controversia relativa
alla impugnazione della cartella di pagamento emessa per la causale
in discorso nei confronti del contribuente, ha dichiarato «tassabile il
solo assegno mensile di base nella misura del 50% del suo importo»;
ritenuto che entrambi i motivi sono fondati;
che, con riferimento al secondo, di rilievo preliminare e
assorbente, occorre invero rilevare che, secondo principio consolidato
nella giurisprudenza di legittimità e peraltro richiamato anche nella
sentenza impugnata, «qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano
riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato
definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così
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in minima parte (per il 50% dell’assegno mensile di base) e non

compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di
questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale
comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica
indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della
sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e

che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo» (v. Cass. Sez.
U. 16/06/2006, n. 13916, e succ. conff.);
che, nel caso di specie, non può dubitarsi che la regula iuris
fissata, con efficacia di giudicato secondo quanto pacifico in causa,
nel giudizio sorto dalla impugnazione della cartella esattoriale emessa
per il recupero dell’importo preteso a saldo dell’Irpef dovuta sulle
somme di che trattasi, circa la tassabilità del «solo assegno mensile
di base nella misura del 50% del suo importo», involga un «punto
fondamentale comune ad entrambe le cause», che forma la
«premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel
dispositivo della sentenza» (di accoglimento parziale del ricorso in
quella sede proposto), e che come tale esso precluda il riesame dello
stesso «punto di diritto accertato e risolto» nel presente giudizio,
riguardante il medesimo rapporto d’imposta negli identici suoi
riferimenti oggettivi e temporali, ancorché in funzione di un diverso
petitum (impugnazione del diniego di rimborso dell’imposta versata in
eccedenza): diversità che però, come condivisibilmente evidenziato
nel principio surrichiamato, non esclude la vincolatività del giudicato,
in quanto collocantesi (tale diversità) in un momento successivo e
consequenziale rispetto al passaggio logico argomentativo nel quale
viene a incidere la regola già affermata nel precedente giudizio, con
valore «condizionante» inderogabile rispetto alla disciplina della
fattispecie esaminata;
che in tale contesto erroneo si appalesa il richiamo al limite bensì
riconosciuto nella giurisprudenza d questa Corte alla efficacia

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risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle

espansiva del giudicato esterno, laddove esso sia invocato in
relazione alla mera «interpretazione giuridica» della norma tributaria:
tale limite infatti vale certamente ove l’interpretazione della norma
sia contenuta nel giudicato in ipotesi vincolante alla stregua di una
«mera argomentazione avulsa dalla decisione del caso concreto»

consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale,
inidonea a costituire un limite all’esegesi esercitata da altro giudice,
né suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda
e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo una funzione
meramente strumentale rispetto alla decisione: v. Cass. n. 23723 del
2013); ma non può essere invocato nella fattispecie in esame in cui
l’affermazione della regola di diritto, lungi dall’essere avulsa dalla
decisione del caso concreto, costituisce passaggio logico
argomentativo di rilievo centrale e fondamentale nella disciplina del
medesimo rapporto d’imposta che qui viene in considerazione;
che benché le considerazioni che precedono assumano rilievo
assorbente, mette conto rilevare anche la fondatezza del primo
motivo di ricorso;
che anche rispetto ad esso non può non rimarcarsi il carattere
monco e sostanzialmente contraddittorio delle argomentazioni svolte
nella sentenza impugnata laddove, da un lato, essa richiama
correttamente il principio secondo cui, ai sensi dell’art. 6, comma
secondo, d.P.R. n. 917 del 1986, le indennità conseguite, a titolo di
risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli
dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi
della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti, e sono pertanto
tassabili se e nei limiti in cui lo erano questi ultimi, dall’altro però
omette di trarne le dovute conseguenze finendo con l’affermare la
tassabilità dell’intero importo delle somme corrisposte al contribuente
per le causali predette, anziché nei soli limiti fissati dall’art. 51,

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(trattandosi in tal caso di attività, compiuta dal giudice e

comma 8, t.u.i.r. a mente del quale «gli assegni di sede e le altre
indennità percepite per servizi prestati all’estero costituiscono reddito
nella misura del 50 per cento. Se per i servizi prestati all’estero dai
dipendenti delle amministrazioni statali la legge prevede la
corresponsione di una indennità base e di maggiorazioni ad esse

misura del 50 per cento»;
che in ragione delle considerazioni che precedono, il ricorso
merita pertanto accoglimento e la sentenza impugnata va cassata,
con rinvio al giudice a quo il quale dovrà esaminare i motivi d’appello
alla luce dei principi sopra affermati, provvedendo altresì alla
quantificazione delle somme dovute a rimborso; al giudice del rinvio
va altresì demandato il regolamento delle spese anche del presente
giudizio di legittimità;
P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza; rinvia alla Commissione
tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda di
provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso il 13/9/2017
Il Presidente

collegate concorre a formare il reddito la sola indennità base nella

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