Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28073 del 21/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 21/12/2011), n.28073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 146-2007 proposto da:

C.I., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PILETTA ALBERTO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144,

presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI, PUGLISI LUCIA,

che lo rappresentano e difendono, giusta procura speciale notarile in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 523/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 04/05/2006 R.G.N. 2019/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2011 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato FAVATA EMILIA per delega LA PECCERELLA LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per inammissibilità, in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 28.3 – 4.5.2006 la Corte d’Appello di Torino respinse il gravame proposto da C.I. nei confronti dell’Inail avverso la sentenza di prime cure, che aveva dichiarato estinta l’azione volta ad ottenere il ripristino della rendita per silicosi nella percentuale del 27%, essendosi compiuto, all’atto del deposito del ricorso giudiziale, il termine triennale di prescrizione ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112. A sostegno del decisum la Corte territoriale ritenne che:

– il primo Giudice aveva esposto in misura sufficiente le ragioni in base alle quali aveva ritenuto l’avvenuta maturazione del termine prescrizionale;

– nella sentenza impugnata non vi era contraddizione tra motivazione e dispositivo, atteso che la declaratoria di estinzione dell’azione aveva comportato null’altro che il rigetto del ricorso;

– nel caso di specie trovava applicazione il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112 e il termine triennale di prescrizione ivi previsto era decorso già al momento della richiesta di riesame, avanzata con raccomandata del 1.9.2004, a fronte del rigetto del ricorso amministrativo comunicato dall’Inail in data 11.5.2001.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, M. C. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi.

L’intimato Inail ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), assumendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che il primo Giudice avesse adeguatamente esposto le ragioni del suo convincimento in ordine all’affermato decorso del termine prescrizionale.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in ordine a quanto sostenuto dalla Corte territoriale per escludere il dedotto contrasto, nella pronuncia di prime cure, fra motivazione e dispositivo.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’artt. 2646 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), deducendo che:

– nella fattispecie dedotta, avrebbe dovuto trovare applicazione la prescrizione ordinaria decennale, interrotta con raccomandata non valutata dalla Corte territoriale;

– secondo la giurisprudenza di legittimità, la prescrizione triennale prevista dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112 può formare oggetto di rinuncia tacita da parte dell’Inail, per effetto di un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi della prescrizione già maturata;

– l’Inail aveva rettificato la rendita oltre il decimo anno dalla sua costituzione, mentre esso ricorrente aveva proposto ricorso entro i dieci anni dall’intervenuta rettifica;

– il disposto ripristino del valore economico della rendita da parte dell’Inail, seppur in modo lesivo degli interessi di esso ricorrente, costituiva riconoscimento da parte dell’Istituto di aver effettuato un atto non corretto.

2. Osserva preliminarmente la Corte che l’art. 366 bis c.p.c. è applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore (2.3.2006) del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (cfr, D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) e anteriormente al 4.7.2009 (data di entrata in vigore della L. n. 68 del 2009) e, quindi, anche al presente ricorso, atteso che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 4.5.2006.

In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Secondo l’orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio de giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20360/2007), mentre la censura concernente l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007). In particolare deve considerarsi che il quesito di diritto imposto dall’art. 366 bis c.p.c., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 11535/2008; 19892/2007). Conseguentemente è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico (cfr, ex plurimis, Cass., SU, 20360/2007, cit.). Nel caso che ne occupa con i primi due motivi del ricorso principale sono stati denunciati vizi di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e con il terzo vizio di violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ma i primi due motivi sono privi della formulazione dei momento di sintesi diretto a circoscrivere i limiti delle censure inerenti ai lamentati vizi motivazionali e il terzo è privo della formulazione del quesito di diritto nel senso prescritto, essendosi il ricorrente limitato ad indicare che “La questione di diritto che emerge riguarda l’applicabilità del termine di prescrizione ordinaria alla richiesta di revisione della rendita I.N.A.I.L in luogo della prescrizione triennale prevista dall’art. 112 del T.U., alla luce della giurisprudenza sopra riportata e delle osservazioni apportate ai documenti prodotti, nonchè il mancato ripristino della percentuale invalidante del 27% in occasione della riattribuzione della rendita operata dall’Inail dopo il ricorso proposto dallo stesso C. I. ed accolto” e, quindi, senza enunciazione della regula iuris da applicare alla fattispecie dedotta in giudizio.

Ne discende l’inammissibilità di tutti i motivi.

3. In definitiva, quindi, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione della spese, che liquida in Euro 30,00, oltre ad Euro 2.000,00 (duemila) per onorari ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011

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