Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28072 del 24/11/2017


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 28072 Anno 2017
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 772/2011 R.G. proposto da
Pascucci Stefano, rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Clementi
con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Gregorio XI, n.
107;
– ricorrente contro
Agenzia delle entrate;
e
Equitalia Gerit S.p.A.;
– intimate avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,
n. 168/22/2009, depositata il 20 novembre 2009;

Data pubblicazione: 24/11/2017

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 settembre
2017 dal Consigliere Emilio Iannello.
Rilevato che Stefano Pascucci ricorre con unico mezzo nei
confronti dell’Agenzia delle entrate e di Equitalia Gerit S.p.A. (che
non svolgono difese nella presente sede) avverso la sentenza in

— pronunciando in controversia relativa all’impugnazione dei
provvedimenti con i quali l’Ufficio aveva accolto solo parzialmente le
istanze di sgravio in autotutela degli importi iscritti a ruolo per Irpef
relativa agli anni 1986 e 1987 e ciò per la ritenuta inapplicabilità del
condono

ex

d.l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con

modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, cui il
contribuente aveva aderito — ha rigettato l’appello del contribuente,
ritenendo che «la non applicabilità del condono deriva dalla
definitività dei ruoli emessi per le due annualità» stante il rigetto, con
sentenze divenute definitive, dei ricorsi proposti avverso le relative
cartelle esattoriali;
considerato che, con l’unico motivo di ricorso, il contribuente
denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3, 4 e 5, cod. proc.
civ.: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 2-quinquies d.l. n. 564
del 1994 e dell’art.

36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; b)

omessa pronuncia su motivo di gravame; c) omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;
che al riguardo egli svolge, in sintesi, i seguenti argomenti di
critica:
– la sola condizione che pone l’art. 2-quinquies d.l. n. 564 del
1994 (nel testo originario) è che la lite sia pendente alla data del
17/11/1994 — condizione nella specie sussistente — non ricavandosi
invece dal testo normativo alcuna esclusione per le liti relative a
importi liquidati ai sensi dell’art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973;

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epigrafe con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio

-

è immotivata, in sentenza, l’affermazione secondo cui le

liquidazioni effettuate ai sensi dell’art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973
sono da considerarsi definitive;
– ove tale convincimento sia tratto dalle sentenze della C.T.P. che
hanno respinto i ricorsi proposti avverso le cartelle esattoriali emesse

seguono di parecchi anni la presentazione delle domande di condono
e sono pertanto da considerarsi viziate dalla mancata conoscenza
della esistenza di tale domanda di sanatoria: ignoranza a sua volta
«dovuta alla scorrettezza/negligenza dell’A.F. ed alla assenza … (del
ricorrente, n.d.r.) alle udienze di trattazione di cui non ha ricevuto
avviso»;
– la C.T.R. non ha dato risposta neppure al motivo subordinato
con il quale si faceva valere il diritto allo sgravio degli interessi di
mora applicati dal 31/3/1995 (data dei pagamenti delle imposte
principali) nonché alla ripetizione di quanto versato, in aggiunta alle
imposte principali, con riferimento alle somme accessorie di cartella,
per ottenere i benefici del condono;
ritenuto che le prime due delle suesposte censure si appalesano
inammissibili non confrontandosi con l’effettivo contenuto della
sentenza dalla quale emerge chiaro il riferimento, a fondamento della
statuizione di rigetto dell’appello, al giudicato formatosi sulle
sentenze nn. 253/39/2000 e 346/2004 di rigetto dei ricorsi proposti
dal contribuente avverso le cartelle esattoriali emesse, ai sensi
dell’art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973, per le imposte di che trattasi;
che l’inammissibilità della seconda censura deriva altresì
dall’impossibilità di configurare vizio di motivazione in relazione a
questioni di mero diritto quale quella dedotta;
che è altresì inammissibile la terza censura, in quanto riferita a
asseriti vizi delle sentenze conclusive di diversi giudizi: vizi che
ovviamente avrebbero dovuto essere fatti valere mediante
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ai sensi della citata disposizione, occorre considerare che tali decisioni

tempestiva impugnazione delle sentenze medesime, restando invece
preclusa nel presente diverso giudizio ogni valutazione circa la loro
sussistenza dal giudicato formatosi su queste ultime in assenza
appunto di tempestiva rituale impugnazione;
che è infine infondata l’ultima censura, con cui si lamenta omessa

del diritto al rimborso di ulteriori somme versate in adesione al
condono, posto che la sentenza impugnata si esprime chiaramente
anche su tale tema rilevando che il d.l. n. 564 del 1994 «dispone la
non ripetizione delle somme versate in sede di condono»;
che può peraltro rilevarsi, in via prioritaria e assorbente, che la
sostanziale correttezza della decisione di merito deriva, a monte,
dalla non impugnabilità dei provvedimenti assunti su istanze di
autotutela rivolte all’amministrazione finanziaria: rilievo questo che
non può considerarsi precluso nella specie atteso il (non
incompatibile) tenore del dispositivo adottato nelle decisioni di merito
e operabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (cfr. Cass.
05/07/2017, n. 16520; Cass. 11/11/2016, n. 22997; Cass.
30/11/2012, n. 21356);
che occorre al riguardo invero ribadire il principio affermato da
Cass., Sez. U, 16/02/2009, n. 3698, secondo il quale «in tema di
contenzioso tributario, l’atto con il quale l’Amministrazione manifesti il
rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto
definitivo, non rientra nella previsione di cui alli art. 19 del d.lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, e non è quindi impugnabile, sia per la
discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata in questo
caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile
controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo»
(v. anche da ultimo Cass. 06/07/2016, n. 13757; Cass. 15/04/2016,
n. 7511);
che tale principio trova peraltro positivo riscontro, proprio in
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pronuncia sul motivo di gravame con cui si chiedeva il riconoscimento

materia di condono ex d.l. n. 564 del 1994, dalle previsioni contenute
nell’art. 2-quater del medesimo testo normativo, a mente della quale,
invero, se da un lato è prevista la possibilità dell’Amministrazione
finanziaria di disporre l’annullamento d’ufficio o la revoca degli atti
«illegittimi o infondati», «anche in pendenza di giudizio o in caso di

espressamente che «l’annullamento o la revoca parziali non sono
impugnabili autonomamente» [comma 1-octies, aggiunto dall’art. 11,
comma 1, lett. a), d.lgs. 24 settembre 2015, n. 159];
che deve pertanto pervenirsi al rigetto del ricorso;
considerato che tuttavia, non avendo gli enti intimati svolto difese
nel presente giudizio, non v’è luogo a provvedere sulle relative spese;
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso il 13/9/2017
Il Presidente

non impugnabilità» (comma 1), dall’altro si prevede tuttavia

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